Blog di Krugman » Selezione del Mese

Il lato negativo della mobilità del lavoro (dal blog di Krugman, 14 agosto 2015)

 

The Downside of Labor Mobility

August 14, 2015 11:49 am

The theory of optimum currency areas is one of those old-fashioned pieces of macroeconomics — like IS-LM, the concept of the liquidity trap, and the theory of secular stagnation — that has turned out to be extremely relevant and useful to the world since 2008. So this is a version of Mark Thoma’s dictum that new economic thinking involves reading old books (or in this case articles). Still, we do learn some new things. And what we’ve learned lately, I’d argue, is that labor mobility — which was supposed to be good, and a prerequisite for currency union — is actually much more problematic than we knew.

In my somewhat stylized intellectual history, we owe OCA theory to three main players: Robert Mundell, Ron McKinnon, and Peter Kenen. All three assumed, realistically, that wages and prices are sticky, so that fixing your exchange rate or adopting a shared currency imposes costs in the form of making it harder to adjust to “asymmetric shocks” that depress your economy relative to trading partners. These costs must be set against the benefits of making business across borders easier and more certain. The question then becomes how the characteristics of an economy affect that tradeoff.

In Mundell’s original version the key question was labor mobility: if workers moved freely and rapidly from slumping to booming regions, asymmetric shocks became a much smaller problem. One of the arguments American euroskeptics used to make was that Europe was less suited to a single currency because it lacked America’s extremely high interstate mobility of labor.

McKinnon offered a different criterion — the share of tradables in output; basically that required relative price adjustments would be smaller in very open economies, and also that having more transactions would increase the benefits of a common currency.

Finally, Kenen argued that fiscal integration or the lack thereof was crucial, that it mattered a great deal whether depressed regions would be cushioned by paying less in taxes and receiving more in benefits from the core.

So what have we learned? I’d say that we’ve learned that Kenen trumps Mundell — that in the absence of effective fiscal integration, labor mobility makes a currency union worse, not better.

I’ve said this before, but it seems worth emphasizing again in the light of this FT report on Portugal’s “perfect demographic storm.” The debt crisis in Portugal, it turns out, looks alarmingly like the trigger for an economic death spiral: a depressed economy is leading to large-scale emigration of working age Portuguese (also lower fertility, although this will take longer to matter), undermining the tax base, making an exit from crisis even harder. It’s not easy to see how this ends before you’re left with a rump nation of old people with no resources to care for them.

Regional economies in the US are less vulnerable to this sort of thing, although our imperfect fiscal integration means that it can still happen to some degree: Puerto Rico is also in a sort of death spiral of emigration and fiscal stress, but the degree of hardship is much less thanks to the national safety net.

But the point is that the Single European Act, which was among other things supposed to prepare the ground for a shared currency, may actually have interacted with the failure to integrate fiscal matters in such a way as to create a whole new kind of catastrophe.

Your cheery euro-thought of the day.

 

Il lato negativo della mobilità del lavoro

La teoria dell’area valutaria ottimale è una di quelle parti della macroeconomia che un tempo andavano per la maggiore – come il modello IS-LM, il concetto di trappola di liquidità e la teoria della stagnazione secolare – che si è rivelata estremamente rilevante e utile per il mondo a partire dal 2008. Dunque, è una versione della massima di Mark Thoma, secondo la quale il nuovo pensiero economico riguarda la lettura di vecchi libri (o, come in questo caso, di articoli). Eppure, è indubbio che impariamo cose nuove. E quello che abbiamo imparato di recente, questo è il mio giudizio, è che la mobilità del lavoro – che si pensava fosse una cosa buona e un prerequisito per una unione valutaria – è effettivamente molto più problematica di quello che sapevamo.

Secondo una mia specie di stilizzata storia intellettuale, noi siamo debitori dell’Area Valutaria Ottimale a tre principali protagonisti: Robert Mundell, Ron McKinnon e Peter Kenen. Tutti e tre considerarono, realisticamente, che i prezzi ed i salari sono tendenzialmente rigidi, cosicché tener fisso il tasso di cambio o adottare una valuta condivisa impone dei costi, nella forma di rendere più difficile la correzione degli “shock asimmetrici” [1] che deprimono un’economia in relazione ai suoi partner commerciali. Questi costi possono essere riconosciuti, a fronte dei benefici del rendere le attività economiche da una parte e dall’altra dei confini più facili e certe. La domanda allora diventa quella di come la caratteristiche di un’economia influenzano quello scambio.

Nell’originale versione di Mundell, la questione chiave era quella della mobilità del lavoro: se i lavoratori si muovono liberamente e rapidamente dalle regioni in crisi a quelle in espansione, gli shock asimmetrici diventano un problema molto minore. Uno degli argomenti che gli euroscettici americani erano soliti avanzare, era che l’Europa era molto meno adatta ad una singola valuta perché essa non aveva la mobilità del lavoro estremamente elevata dell’America.

Un diverso criterio venne offerta da McKinnon – il peso nella produzione dei beni scambiabili; fondamentalmente il fatto che le necessarie correzioni ai prezzi relativi sarebbero state minori in economie molto aperte, ed anche che le maggiori transazioni avrebbero aumentato i benefici di una valuta comune.

Infine, Kenen sosteneva che l’integrazione delle finanze pubbliche, o la sua mancanza, sarebbe stata cruciale, che avrebbe avuto una grande importanza se (le difficoltà economiche in) regioni depresse fossero state attenuate dal pagare minori tasse e ricevere più sussidi dal centro.

Dunque, cos’è che abbiamo imparato? Direi che abbiamo imparato che Kenen ha battuto Mundell – che in assenza di una effettiva integrazione della finanza pubblica, la mobilità del lavoro peggiora le condizioni di un’unione valutaria, non le migliora.

L’ho detto in passato, ma sembra utile insisterci ancora oggi alla luce di questo rapporto del Financial Times [2] “sulla tempesta demografica perfetta” del Portogallo. Si scopre che la crisi del debito in Portogallo appare, in modo allarmante, come l’innesco di una spirale fatale nell’economia: una economia depressa sta portando ad una emigrazione dei portoghesi in età lavorativa su larga scala (anche ad una più bassa fertilità, per quanto questa richieda più tempo per manifestarsi), mettendo in crisi la base fiscale e rendendo ancora più difficile un’uscita dalla crisi. Non è facile accorgersi dell’effetto finale di tutto questo, finché non si resta con una nazione superstite di persone anziane, senza risorse per accudirle.

Le economie regionali negli Stati Uniti sono meno vulnerabili da questo genere di fenomeni, sebbene la nostra imperfetta integrazione delle finanze pubbliche comporti che ciò in una qualche misura possa ancora accadere: Porto Rico rappresenta anche una sorta di spirale fatale dell’emigrazione e della pressione finanziaria, ma il grado di difficoltà è molto minore grazie alla rete nazionale di sicurezza sociale.

Ma il punto è che l’Atto Unico Europeo [3], che tra le altre cose si supponeva preparasse il terreno per una moneta unica, può effettivamente aver interagito con gli aspetti della mancata integrazione delle finanze pubbliche in un modo che ha determinato un genere di catastrofe interamente nuova.

Il vostro allegro euro-pensiero del giorno.

 

[1] Come si intuisce, per “shock asimmetrico” si intende semplicemente la conseguenza di fenomeni – ad esempio una perdita di competitività, l’effetto di un ritardo nella tecnologia, l’effetto di un ritardo nella dotazione di infrastrutture o nei costi energetici, andamenti molto diversi nelle bilance commerciali etc. – che finiscono col mettere in difficoltà un paese in relazione agli altri paesi che si avvalgono della stessa moneta.

[2] L’articolo sul rapido declino demografico del Portogallo è apparso il 12 agosto su Financial Times, a cura di Peter Wise.

[3] L’Atto Unico Europeo fu la prima importante revisione del Trattato di Roma del 1957. Venne siglato a Lussemburgo e all’Aia, rispettivamente il 16 ed il 28 febbraio del 1986, ed entrò in funzione con la Commissione Delors il 1 luglio 1987.

 

 

 

By


Commenti dei Lettori (0)


E' possibile commentare l'articolo nell'area "Commenti del Mese"