Aug 12 8:56 am
Are you star(t)ing to have the feeling that when it comes to economic policy Xi-who-must-be-obeyed has no idea what he’s doing?
China’s decision to devalue the renminbi had some economic logic behind it. As David Beckworth rightly points out, it’s not just about gaining a competitive advantage. China clearly has a weakening economy, whatever the official numbers may say, and would like to use monetary stimulus. But monetary autonomy and a fixed exchange rate don’t go well together; China’s capital controls give it some leeway, but it is nonetheless suffering from a lot of capital flight — and it wants to liberalize the capital account in pursuit of reserve-currency status. (A foolish goal, but that’s a subject for another day.)
So it would make sense on purely economic grounds for China to move to a free float, and gain the freedom to use monetary policy that, say, Japan has.
But it’s important to understand how that works. When Japan loosens money, it creates an incentive to move funds abroad, causing the yen to fall. This process only stops once the yen has fallen enough that investors consider it undervalued, and are willing to buy Japanese securities in the expectation of a future yen rise. Exchange rate overshooting is an essential part of the story.
China, however, did not let the renminbi float, nor did it devalue by enough to persuade investors that any future move was likely to be up. Instead, it only devalued a little.
This is what Charlie Kindleberger used to call “taking the first bite of the cherry”. (Nobody takes just one bite out of a cherry.) China has now demonstrated that its currency peg is no longer solid; but it has come nowhere near to devaluing enough to create expectations of future appreciation. This is a recipe for convincing investors that the future direction of the currency is down — which means that capital flight will accelerate (and apparently already has.)
Now what? China could just let the renminbi float; given the current state of the Chinese economy, that would surely mean a large depreciation. But this would greatly increase trade tensions and pose problems for foreign policy. Maybe that’s a tradeoff worth accepting, but nothing in events so far suggests that China’s leadership was prepared to take that step. Instead, they went for a small move that was sufficient to destabilize expectations while producing trivial benefits.
A reminder, then, of the lack of wisdom with which the world is governed.
La Cina morde la ciliegia
Cominciate ad avere la sensazione che quando si arriva alla politica economica, Xi-a-cui-si-deve-obbedire non abbia idea di quello che sta facendo?
La decisione della Cina di svalutare il renminbi aveva una qualche logica economica, non riguardando soltanto il guadagno di un vantaggio competitivo. Chiaramente la Cina ha un’economia che si sta indebolendo, qualsiasi cosa dicano i dati ufficiali, e vorrebbe usare lo stimolo monetario. Ma l’autonomia monetaria ed il tasso di cambio fisso non vanno d’accordo; il controllo dei capitali da parte della Cina le dà qualche margine, ciononostante essa sta soffrendo di una notevole fuga di capitali – e vuole liberalizzare il conto capitale per conseguire lo status di valuta di riserva (un obbiettivo sciocco, ma questo è un tema per un altro intervento).
Dunque, su basi puramente economiche, avrebbe senso spostarsi verso una libera fluttuazione, ed ottenere la libertà di utilizzare la politica monetaria che, ad esempio, ha il Giappone.
É però importante capire come tutto ciò funzioni. Quando il Giappone libera moneta, crea un incentivo per spostare i capitali all’estero, provocando una caduta dello Yen. Il processo si interrompe soltanto una volta che lo yen è caduto a sufficienza da venir considerato sottovalutato dagli investitori, e da invogliarli a comperare titoli giapponesi nella aspettativa di una futura risalita dello yen. Una parte essenziale di quella storia è il fenomeno di un tasso di cambio che finisce per collocarsi sopra l’obbiettivo.
La Cina, tuttavia, non ha consentito al renminbi di fluttuare, né lo ha svalutato abbastanza da persuadere gli investitori che ogni futuro spostamento è probabile che sia al rialzo. Piuttosto, l’ha svalutato solo un po’.
Questo è quello che Charlie Kindleberger [1] era solito chiamare come il “portar via solo un morso della ciliegia” (nessuno si accontenta di un solo morso da una ciliegia). La Cina ha adesso dimostrato che l’ancoraggio della sua valuta non è più solido; ma non si è avvicinata in alcun modo a svalutarla abbastanza da creare aspettative di un futuro apprezzamento. Questa è la ricetta per convincere gli investitori che la futura direzione della valuta è verso il basso – il che significa che la fuga dei capitali subirà una accelerazione (e sembra lo stia già facendo).
E adesso? La Cina potrebbe semplicemente far fluttuare il renminbi; il che sicuramente comporterebbe una ampia svalutazione. Ma questo aumenterebbe grandemente le tensioni commerciali e porrebbe problemi alla politica estera. Forse si tratta di uno scambio che varrebbe la pena di accettare, ma niente in quello che è accaduto sin qua indica che la dirigenza della Cina fosse pronta a fare quel passo. Piuttosto, si sono indirizzati ad un piccolo movimento che è stato sufficiente a destabilizzare le aspettative nel mentre ha prodotto benefici banali.
Dunque, un promemoria della mancanza di saggezza con la quale il mondo è governato.
[1] Charles Poor “Charlie” Kindleberger è stato un importante storico americano dell’economia, deceduto nel 2003. Autore di molti libri, in particolare ha ricostruito i fenomeni delle bolle speculative nei mercati finanziari (molto noto il suo libro “Manias, Panics e Crashes” del 1978). In italiano è stato tradotto presso Donzelli Editore “I primi del mondo”, uno studio sui fenomeni delle supremazie economiche mondiali dal 1500 al 1990.
By mm
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