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Tragedie (non) greche dell’America: Porto Rico e gli Appalachi, di Paul Krugman (New York Times 3 agosto 2015)

 

America’s Un-Greek Tragedies in Puerto Rico and Appalachia

AUG. 3, 2015

Paul Krugman

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On Friday the government of Puerto Rico announced that it was about to miss a bond payment. It claimed that for technical legal reasons this wouldn’t be a default, but that’s a distinction without a difference.

So is Puerto Rico America’s Greece? No, it isn’t, and it’s important to understand why.

Puerto Rico’s fiscal crisis is basically the byproduct of a severe economic downturn. The commonwealth’s government was slow to adjust to the worsening fundamentals, papering over the problem with borrowing. And now it has hit the wall.

What went wrong? There was a time when the island did quite well as a manufacturing center, boosted in part by a special federal tax break. But that tax break expired in 2006, and in any case changes in the world economy have worked against Puerto Rico.

These days manufacturing favors either very-low-wage nations, or locations close to markets that can take advantage of short logistic chains to respond quickly to changing conditions. But Puerto Rico’s wages aren’t low by global standards. And its island location puts it at a disadvantage compared not just with the U.S. mainland but with places like the north of Mexico, from which goods can be quickly shipped by truck.

The situation is, unfortunately, exacerbated by the Jones Act, which requires that goods traveling between Puerto Rico and the mainland use U.S. ships, raising transportation costs even further.

Puerto Rico, then, is in the wrong place at the wrong time. But here’s the thing: while the island’s economy has declined sharply, its population, while hurting, hasn’t suffered anything like the catastrophes we see in Europe. Look, for example, at consumption per capita, which has fallen 30 percent in Greece but has actually continued to rise in Puerto Rico. Why have the human consequences of economic troubles been muted?

The main answer is that Puerto Rico is part of the U.S. fiscal union. When its economy faltered, its payments to Washington fell, but its receipts from Washington — Social Security, Medicare, Medicaid, and more — actually rose. So Puerto Rico automatically received aid on a scale beyond anything conceivable in Europe.

Is Puerto Rico’s status as part of the U.S. all good? A recent report commissioned by the commonwealth’s government argues that its economy is hurt by sharing the U.S. minimum wage, which raises costs, and also by federal benefits that encourage adults to drop out of the work force. In principle these complaints could be right. In particular, even economists who support a higher U.S. minimum wage, myself included, generally agree that it could be a problem if set too high relative to productivity — and Puerto Rican productivity is far below mainland levels.

But the evidence that minimum wages or social benefits are really a problem is, as one careful if older study put it, “surprisingly fragile.” Notably, Puerto Rico’s low rate of labor force participation probably has more to do with outmigration than with welfare: when job opportunities dry up, young, able-bodied workers move elsewhere, while the least employable stay in place. You see the same phenomenon in Appalachia, where the disappearance of coal-mining jobs has induced many workers to leave, while the remaining population makes heavy use of the social safety net.

And how terrible is that, really? The safety net is there to protect people, not places. If a regional economy is left stranded by the shifting tides of globalization, well, that’s going to happen now and then. What’s important is that workers be able to find opportunities somewhere, and that those unable for whatever reason to take advantage of these opportunities be protected from extreme hardship.

There is, of course, the problem of maintaining public services for those who remain. Compared with Europe, America benefits hugely from having an integrated national budget – but it’s not integrated enough to deal with really big regional shocks. And Puerto Rico faces some risk of a death spiral in which the emigration of working-age residents undermines the tax base for those who are left, and deteriorating public services then lead to even more emigration.

What this tells us, in turn, is that even for a part of the United States, too much austerity can be self-defeating. It would, in particular, be a terrible idea to give the hedge funds that have scooped up much of Puerto Rico’s debt what they want — basically to destroy the island’s education system in the name of fiscal responsibility.

Overall, however, the Puerto Rican story is one of bad times that fall well short of utter disaster. And the saving grace in this situation is big government — a federal system that provides a crucial safety net for American citizens in times of need, wherever they happen to live.

 

 

 

Tragedie (non) greche dell’America: Porto Rico e gli Appalachi, di Paul Krugman

New York Times 3 agosto 2015

Venerdì il Governo di Porto Rico ha annunciato di essere prossimo a non onorare il pagamento dei bond. Ha sostenuto che per ragioni legali di natura tecnica non si sarebbe trattato di un default, ma questa è una precisazione che non costituisce una differenza.

Dunque, Porto Rico è la Grecia d’America? No, non è così, ed è importante comprendere il perché.

La crisi delle finanze pubbliche di Porto Rico fondamentalmente è un effetto collaterale di una grave crisi economica. Il Governo del territorio associato è stato lento a correggere gli aspetti di fondo che stavano peggiorando, coprendo il problema con l’indebitamento. E adesso ha raggiunto il culmine.

Cosa è andato storto? C’era un tempo nel quale l’isola andava abbastanza bene come centro manifatturiero, in parte incoraggiato da una speciale esenzione fiscale federale. Ma quella esenzione fiscale si concluse nel 2006, e in ogni caso l’economia mondiale ha lavorato a danno di Porto Rico.

Di questi tempi il settore manifatturiero favorisce o le nazioni con salari molto bassi, o quelle località vicine ai mercati che possono trarre vantaggio da catene brevi della logistica, per rispondere rapidamente ai mutamenti delle condizioni. Ma, secondo gli standard mondiali, i salari di Porto Rico non erano bassi. E la localizzazione dell’isola costituisce uno svantaggio non solo a confronto con il continente statunitense ma con luoghi come il nord del Messico, dai quali i beni possono rapidamente essere spediti attraverso autocarri.

Sfortunatamente la situazione è inasprita dal Jones Act, che impone che i beni che viaggiano tra Porto Rico e il continente utilizzino navi statunitensi, aumentando ancora di più i costi di trasporto.

Porto Rico, dunque, è nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Ma qua è il punto: mentre l’economia dell’isola ha avuto un brusco declino, non ha sofferto niente di simile alle catastrofi che vediamo in Europa. Si guardi, ad esempio, ai consumi procapite, che sono caduti del 30 per cento in Grecia ma effettivamente sono continuati a crescere a Porto Rico. Perché le conseguenza umane dei guasti economici sono state attenuate?

La risposta principale è che Porto Rico è parte della unione della finanza pubblica degli Stati Uniti. Quando la sua economia ha vacillato, i suoi pagamenti a Washington sono caduti, ma le sue entrate lorde da Washington – la Previdenza Sociale, Medicare, Medicaid ed altro – effettivamente solo salite. Dunque Porto Rico ha ricevuto un aiuto su una scala che va oltre ciò che è concepibile in Europa.

Non c’è niente da osservare, in questo status di Porto Rico come parte degli Stati Uniti? Un recente rapporto commissionato dal Governo del territorio distaccato sostiene che la sua economia è danneggiata dal condividere i minimi salariali degli Stati Uniti, la qualcosa eleva i costi, ed anche dai sussidi federali che incoraggiano gli adulti a ritirarsi dalle forze di lavoro. In linea di principio queste lamentele potrebbero essere giuste. In particolare, anche economisti che sostengono un minimo salariale più elevato negli Stati Uniti, incluso il sottoscritto, in linea generale concordano che sarebbe un problema fissarlo ad un livello troppo alto rispetto alla produttività – e la produttività portoricana è molto al di sotto dei livelli continentali.

Ma la prova che i salari minimi o i sussidi sociali sono un problema effettivo è, come chiarì uno scrupoloso seppur precedente studio, “sorprendentemente fragile”. In particolare, il basso tasso di partecipazione alla forza lavoro probabilmente ha più a che fare con l’emigrazione che con lo stato assistenziale: quando le opportunità di lavoro si esauriscono i lavoratori giovani e di robusta costituzione si spostano dappertutto, mentre l’ultimo che può trovare una occupazione resta al suo posto. Vedete lo stesso fenomeno negli Appalachi, dove la scomparsa dei posti di lavoro nelle miniere ha indotto molti lavoratori a partire, con la popolazione residua che fa un uso pesante delle reti della sicurezza sociale.

E siamo proprio sicuri che questo sia terribile? Le reti della sicurezza esistono per proteggere la gente, non i luoghi. Se un’economia regionale rimane incagliata per le mutevoli correnti della globalizzazione, ebbene, è una cosa prima o poi destinata a succedere. Quello che è importante è che i lavoratori siano capaci di trovare opportunità da qualche parte, e che quelli che non sono capaci per un qualsiasi motivo di avvantaggiarsi di queste opportunità, siano protetti da difficoltà troppo gravi.

Naturalmente, per coloro che rimangono, c’è il problema di mantenere i servizi pubblici. A confronto con l’Europa, l’America trae una grande beneficio dall’avere un bilancio nazionale integrato – ma esso non è integrato abbastanza da misurarsi con traumi regionali davvero grandi. E Porto Rico si trova dinanzi al rischio di una spirale fatale nella quale l’emigrazione dei residenti in età lavorativa mette e repentaglio la base fiscale per coloro che rimangono, e in seguito i pubblici servizi che si deteriorano portano ad una emigrazione anche superiore.

Quello che questo si insegna, d’altronde, è che persino per una parte degli Stati Uniti, troppa austerità può essere controproducente. In particolare, sarebbe un’idea terribile dare quello che vogliono agli hedge funds che hanno tanto contribuito al debito di Porto Rico [1] – fondamentalmente distruggere il sistema educativo dell’isola in nome della responsabilità finanziaria.

In generale, tuttavia, la storia di Porto Rico è uno dei momentacci che non sono minimamente comparabili ai completi disastri. E in questa situazione la grazia salvifica è un governo generoso – un sistema federale che fornisca ai cittadini americani una rete fondamentale di sicurezza nel momento del bisogno, in qualsiasi posto si trovino a vivere.

 

[1] La connessione è con un articolo apparso su Bloomberg Business a cura di Michelle Kaske, che elenca i vincitori ed i perdenti del collasso portoricano.

Il riferimento successivo alla distruzione del sistema educativo dello Stato è desunto da un articolo apparso sul Time, che riferisce una presa di posizione degli economisti degli hedge funds che hanno semplicemente proposto il licenziamento di tutti gli insegnanti pubblici.

 

 

 

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