AUG. 31, 2015
There are many things we should remember about the events of late August and early September 2005, and the political fallout shouldn’t be near the top of the list. Still, the disaster in New Orleans did the Bush administration a great deal of damage — and conservatives have never stopped trying to take their revenge. Every time something has gone wrong on President Obama’s watch, critics have been quick to declare the event “Obama’s Katrina.” How many Katrinas has Mr. Obama had so far? By one count, 23.
Somehow, however, these putative Katrinas never end up having the political impact of the lethal debacle that unfolded a decade ago. Partly that’s because many of the alleged disasters weren’t disasters after all. For example, the teething problems of Healthcare.gov were embarrassing, but they were eventually resolved — without anyone dying in the process — and at this point Obamacare looks like a huge success.
Beyond that, Katrina was special in political terms because it revealed such a huge gap between image and reality. Ever since 9/11, former President George W. Bush had been posing as a strong, effective leader keeping America safe. He wasn’t. But as long as he was talking tough about terrorists, it was hard for the public to see what a lousy job he was doing. It took a domestic disaster, which made his administration’s cronyism and incompetence obvious to anyone with a TV set, to burst his bubble.
What we should have learned from Katrina, in other words, was that political poseurs with nothing much to offer besides bluster can nonetheless fool many people into believing that they’re strong leaders. And that’s a lesson we’re learning all over again as the 2016 presidential race unfolds.
You probably think I’m talking about Donald Trump, and I am. But he’s not the only one.
Consider, if you will, the case of Chris Christie. Not that long ago he was regarded as a strong contender for the presidency, in part because for a while his tough-guy act played so well with the people of New Jersey. But he has, in fact, been a terrible governor, who has presided over repeated credit downgrades, and who compromised New Jersey’s economic future by killing a much-needed rail tunnel project.
Now Mr. Christie looks pathetic — did you hear the one about his plan to track immigrants as if they were FedEx packages? But he hasn’t changed, he’s just come into focus.
Or consider Jeb Bush, once hailed on the right as “the best governor in America,” when in fact all he did was have the good luck to hold office during a huge housing bubble. Many people now seem baffled by Mr. Bush’s inability to come up with coherent policy proposals, or any good rationale for his campaign. What happened to Jeb the smart, effective leader? He never existed.
And there’s more. Remember when Scott Walker was the man to watch? Remember when Bobby Jindal was brilliant?
I know, now I’m supposed to be evenhanded, and point out equivalent figures on the Democratic side. But there really aren’t any; in modern America, cults of personality built around undeserving politicians seem to be a Republican thing.
True, some liberals were starry-eyed about Mr. Obama way back when, but the glitter faded fast, and what was left was a competent leader with some big achievements under his belt – most notably, an unprecedented drop in the number of Americans without health insurance. And Hillary Clinton is the subject of a sort of anti-cult of personality, whose most ordinary actions are portrayed as nefarious. (No, the email thing doesn’t rise to the level of a “scandal.”)
Which brings us back to Mr. Trump.
Both the Republican establishment and the punditocracy have been shocked by Mr. Trump’s continuing appeal to the party’s base. He’s a ludicrous figure, they complain. His policy proposals, such as they are, are unworkable, and anyway, don’t people realize the difference between actual leadership and being a star on reality TV?
But Mr. Trump isn’t alone in talking policy nonsense. Trying to deport all 11 million illegal immigrants would be a logistical and human rights nightmare, but might conceivably be possible; doubling America’s rate of economic growth, as Jeb Bush has promised he would, is a complete fantasy.
And while Mr. Trump doesn’t exude presidential dignity, he’s seeking the nomination of a party that once considered it a great idea to put George W. Bush in a flight suit and have him land on an aircraft carrier.
The point is that those predicting Mr. Trump’s imminent political demise are ignoring the lessons of recent history, which tell us that poseurs with a knack for public relations can con the public for a very long time. Someday The Donald will have his Katrina moment, when voters see him for who he really is. But don’t count on it happening any time soon.
Un lavoro formidabile [1], di Paul Krugman
New York Times, 31 agosto 2015
Ci sono molto cose che dovremmo tenere a mente sui fatti degli ultimi giorni di agosto e dei primi di settembre del 2005, e le loro ricadute politiche non dovrebbero essere affatto in cima alla lista. Eppure, il disastro a New Orleans fece un gran danno alla Amministrazione Bush, ed i conservatori non hanno mai smesso di cercare di prendersi una rivincita. Ogni volta che è andato male qualcosa nelle funzioni di vigilanza del Presidente Obama, i suoi critici prontamente hanno definito quell’evento la “Katrina di Obama”. Quante Katrina ha avuto Obama sino a questo punto? A un calcolo approssimativo, 23.
In qualche modo, tuttavia, queste presunte Katrina non si sono mai concluse con l’impatto politico della letale debacle che si dispiegò dieci anni orsono. In parte perché molti dei pretesi disastri non erano affatto disastri. Ad esempio, i problemi iniziali del sito governativo della riforma sanitaria furono imbarazzanti, ma alla fine furono risolti – senza perdite di vite umane – e a questo punto la riforma della assistenza sanitaria di Obama appare come un grande successo.
Oltre a ciò, Katrina in termini politici fu qualcosa di speciale perché mise allo scoperto un divario tra l’immagine e la realtà davvero grande. A partire dall’11 settembre, il passato Presidente George W. Bush si era atteggiato come un leader forte ed efficace, capace di tenere l’America al sicuro. Non era così. Ma finché parlava con durezza di terroristi, per l’opinione pubblica era difficile accorgersi del misero lavoro che stava facendo. Ci volle un disastro nazionale, che rese il clientelismo e l’incompetenza della sua amministrazione evidenti a chiunque disponesse di un apparecchio televisivo, per far scoppiare la bolla.
In altre parole, quello che dovremmo aver imparato da Katrina è che, in politica, coloro che si atteggiano senza niente da offrire oltre alla loro spacconate, nondimeno possono ingannare molte persone sino al punto da far credere di essere guide autorevoli. E quella è una lezione che stiamo da capo riapprendendo, nel mentre si sviluppa la competizione per le presidenziali del 2016.
Forse state pensando che mi riferisca a Donald Trump, ed è vero. Ma non è l’unico.
Considerate, se preferite, il caso di Chris Christie. Sino a non molto tempo fa era considerato come un solido concorrente alla Presidenza, in una certa misura perché il suo presentarsi come individuo determinato aveva funzionato così bene con la gente del New Jersey. Sennonché, di fatto, egli è stato un Governatore terribile, che ha svolto le sue funzioni nel corso di ripetuti declassamenti nella affidabilità creditizia del suo Stato, e che ha compromesso il futuro economico del New Jersey liquidando il progetto di un tunnel ferroviario indispensabile.
Ora il signor Christie appare patetico – avete sentito quella sul suo piano per ‘tracciare’ gli immigrati come se fossero pacchetti della Polizia Federale? Non è lui che è cambiato, è solo divenuto più visibile.
Oppure considerate Jeb Bush, che un tempo la destra esaltava come “il migliore Governatore in America”, quando di fatto tutto il suo merito era stato quello di aver avuto la fortuna di essere in carica durante una bolla immobiliare. Adesso molte persone sembrano perplesse per l’incapacità del signor Bush di venirsene fuori con proposte politiche coerenti, o con qualche buon argomento di fondo nella sua campagna elettorale. Cosa è successo a Jeb, il dirigente astuto ed efficace? Non è mai esistito.
E c’è di più. Ricordate quando Scott Walker era l’uomo da tener d’occhio? Oppure quando Bobby Jindal faceva furore?
Lo so, ora ci si aspetta che io sia obbiettivo, e metta in luce figure analoghe dello schieramento democratico. Ma in verità non ce ne sono; nella America contemporanea, i culti della personalità costruiti su personale politico scadente sembrano essere una prerogativa repubblicana.
É vero, alcuni progressisti nel passato subirono il fascino di Obama, ma esso si affievolì velocemente, e quello che rimase fu un leader competente con alcune grandi realizzazioni al suo attivo – la più rilevante delle quali è stata una caduta senza precedenti del numero di americani privi di assicurazione sanitaria. Ed Hillary Clinton, le cui azioni più ordinarie sono ritratte come nefandezze, è fatta oggetto di una specie di contro-culto della personalità (e la faccenda delle email non ha in alcun modo le caratteristiche di uno “scandalo” [2]).
La qualcosa mi riporta al signor Trump.
Sia il gruppo dirigente repubblicano che la categoria dei commentatori politici sono rimasti colpiti dalla perdurante attrazione di Trump nei confronti della base del partito. Si lamentano del fatto che sia una figura ridicola. Le sue proposte politiche, per quello che rappresentano, non possono funzionare, e, in ogni caso, è possibile che la gente non capisca la differenza tra una effettiva capacità di guida e una stella dei reality televisivi?
Eppure, il signor Trump non è l’unico a parlare di programmi insensati. Cercare di deportare 11 milioni di immigrati illegali sarebbe un incubo sotto il profilo logistico e dei diritti umani, ma potrebbe essere teoricamente possibile; raddoppiare il tasso di crescita dell’America, come Jeb Bush ha promesso di fare, è una fantasia completa.
E se Trump non trasuda dignità presidenziale, egli sta cercando di ottenere la nomination da parte di un Partito che un tempo considerava una grande idea infilare George W. Bush in una tuta da volo e farlo atterrare su una portaerei.
Il punto è che coloro che stanno predicendo l’imminente caduta politica di Trump, ignorano le lezioni della storia recente, che ci dicono che coloro che si atteggiano con il fiuto per le relazioni pubbliche possono ingannare la gente per un periodo molto lungo. Un giorno “il Donald” avrà la sua Katrina, quando gli elettori lo vedranno per quello che è. Ma non contate che avvenga così rapidamente.
[1] L’espressione “heckuva job” passò alla storia il 2 settembre del 2005, quando Bush si complimentò con il capo della sua disastrata Protezione civile Michael D. Brown all’indomani dell’uragano Katrina, che come è noto si impresse nella testa degli americani come un inqualificabile disastro. In una seria dichiarazione pubblica, Bush affermò, rivolto al suo collaboratore, che stava facendo un “diavolo di lavoro” (“heck of job”), un lavoro formidabile.
[2] Un riferimento all’evidentemente esagerato recente attacco contro la Clinton per la faccenda della corrispondenza informatica sul suo sito personale, lo si trova nel post del 21 agosto di Krugman dal titolo “Follie classificatorie”, in particolare nella nota 1.
By mm
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