SEPT. 21, 2015
Last week the Federal Reserve chose not to raise interest rates. It was the right decision. In fact, I’m among the economists wondering why we’re even thinking about raising rates right now.
But the financial industry’s response may explain what’s going on. You see, the Fed talks a lot to bankers — and bankers reacted to its decision with sheer, unadulterated rage. For those trying to understand the political economy of monetary policy, it was an “Aha!” moment. Suddenly, a lot of what has been puzzling about the discussion makes sense: just follow the money.
The basic principles of interest rate policy are fairly simple, and go back more than a century to the Swedish economist Knut Wicksell. He argued that central banks like the Fed or the European Central Bank should set rates at their “natural” level, defined in terms of what happens to inflation. If rates are too low, inflation will accelerate; if rates are too high, inflation will fall and perhaps turn into deflation.
By this criterion, it’s hard to argue that current rates are too low. Inflation has been low for years. In particular, the Fed’s preferred inflation measure, which strips out volatile food and energy prices, has consistently fallen short of its own target of 2 percent, and shows no sign of rising.
It’s true that rates — near zero for the short-term interest rates the Fed controls more or less directly — are very low by historical standards. And it’s interesting to ask why the economy seems to need such low rates. But all the evidence says that it does. Again, if you think that rates are much too low, where’s the inflation?
Yet the Fed has faced constant criticism for its low-rate policy. Why?
The answer is that the story keeps changing. In 2010-2011 the Fed’s critics issued dire warnings about looming inflation. You might have expected some change in tune when inflation failed to materialize. Instead, however, those who used to demand higher rates to head off inflation are still demanding higher rates, but for different reasons. The justification du jour is “financial stability,” the claim that low interest rates breed bubbles and crashes.
I suppose this latest excuse for raising rates could be right. But it’s striking how convoluted and dubious the case for rate hikes has become. I like to think of it this way: if left-leaning politicians were to offer rationales for their policies that were this dependent on shaky logic and weak evidence, they would be lambasted for their irresponsibility. Why does anyone take this stuff seriously?
Well, when you see ever-changing rationales for never-changing policy demands, it’s a good bet that there’s an ulterior motive. And the rate rage of the bankers — combined with the plunge in bank stocks that followed the Fed’s decision not to hike — offers a powerful clue to the nature of that motive. It’s the bank profits, stupid.
Many people have been led astray here by trying to figure out whether easy money is good or bad for wealthy people in general. That’s actually a complicated question. What’s clear, however, is that low rates are bad for bankers.
For banks make their profits by taking in deposits and lending the funds out at a higher rate of interest. And this business gets squeezed in a low-interest environment: the rates banks can charge on loans are pushed down, but rates on deposits can only go so low. The net-interest margin — the difference between the interest rate banks receive on loans and the rate they pay on deposits — has fallen sharply over the past five years.
The appropriate response of policy makers to this observation should be, “So?” There’s no reason to believe that what’s good for bankers is good for America. But bankers are different from you and me: they have a lot more influence. Monetary officials meet with them all the time, and in many cases expect to join their ranks when they come out on the other side of the revolving door. Also, it’s widely assumed that bankers have special expertise on economic policy, although nothing in the record supports this belief. (The bankers do, however, have excellent tailors.)
So we shouldn’t be surprised to see institutions that cater to bankers, not to mention much of the financial press, spinning elaborate justifications for a rate hike that makes no sense in terms of basic economics. And the debate of the past few months, in which the Fed has seemed weirdly eager to raise rates despite warnings from the likes of Larry Summers that it would be a terrible mistake, suggests that even U.S. monetary officials aren’t immune.
But the Fed did the right thing last week: nothing. And the howling of the bankers should be taken not as a reason to reconsider, but as a demonstration that the clamor for higher rates has nothing to do with the public interest.
La rabbia dei banchieri, di Paul Krugman
New York Times 21 settembre 2015
La scorsa settimana la Federal Reserve ha scelto di non alzare i tassi di interesse, ed è stata la decisione giusta. In realtà, io sono tra gli economisti che si chiedono perché si stesse persino pensando di elevare i tassi in un momento come questo.
Ma la risposta del settore finanziario può spiegare cosa sta succedendo. Vedete, la Fed si rivolge molto ai banchieri – ed i banchieri hanno reagito con completa, genuina rabbia. Per coloro che cercano di comprendere la politica economica del governo della moneta, è stato un momento rivelatore. All’improvviso, quello che nel dibattito era apparso misterioso è diventato comprensibile: basta andar dietro ai soldi.
I principi fondamentali della politica dei tassi di interesse sono abbastanza semplici, e si deve tornare a più di un secolo fa, all’economista svedese Knut Wicksell. Egli sosteneva che le banche centrali come la Federal Reserve o la Banca Centrale Europea dovrebbero tenere i tassi al loro livello “naturale”, definito nei termini di quello che accade all’inflazione. Se i tassi sono troppo bassi, l’inflazione si accelererà; se sono troppo alti, l’inflazione cadrà e forse si trasformerà in deflazione.
Sulla base di questo criterio, è difficile sostenere che i tassi attuali siano troppo bassi. L’inflazione è bassa da anni. In particolare, la misura preferita dell’inflazione della Fed, che esclude i prezzi volatili dei generi alimentari e dell’energia, è stabilmente rimasta inferiore al suo stesso obbiettivo del 2 per cento e non mostra alcun segno di ascesa.
É innegabile che i tassi – vicini allo zero per i tassi di interesse a breve termine che la Fed controlla più o meno direttamente – sono molto bassi nelle serie storiche. Ed è interessante chiedersi perché l’economia sembra aver bisogno di tassi talmente bassi. Ripetiamolo: se si pensa che i tassi siano molto bassi, dov’è l’inflazione?
Tuttavia la Fed si è misurata con critiche costanti per la sua politica di bassi tassi. Perché?
Il punto è che la spiegazione continua a cambiare. Nel 2010-2011 i critici della Fed mettevano in giro ammonimenti terribili sul fatto che c’era l’inflazione alle porte. Ci si sarebbe attesi qualche mutamento nei toni, considerato che non ci fu alcuna inflazione. Ciononostante, coloro che erano soliti chiedere tassi più alti per sbarrare la strada all’inflazione, continuano a chiedere tassi più elevati, ma per differenti ragioni. La giustificazione del momento è la “stabilità finanziaria”, l’argomento secondo il quale i bassi tassi di interesse producono bolle e crolli.
Non escludo che questa ultimissima scusa per alzare i tassi potrebbe essere giusta. Ma è straordinario come sia diventato contorto e dubbio l’argomento per elevare i tassi. Mi piace pensare ad esso in questo modo: se uomini politici della sinistra avessero offerto per le loro politiche una base razionale che fosse talmente dipendente da una logica precaria e da prove deboli, sarebbero stati strigliati per la loro irresponsabilità. Perché si dovrebbero prendere sul serio cose del genere?
Ebbene, quando osservate spiegazioni razionali che cambiano in continuazione per richieste politiche che non cambiano mai, potete scommettere che c’è una ragione ulteriore. E la rabbia dei banchieri sui tassi – combinata con la caduta dei titoli del settore bancario che è seguita alla decisione di non rialzare da parte della Fed [1] – offre un indizio potente sulla natura di tali motivazioni. Si tratta dei profitti delle banche, stupidi! [2]
In questo caso, molte persone sono state portate fuori strada col cercare di immaginarsi se la moneta facile sia in generale positiva o negativa per le persone ricche. Per la verità, quella è una questione complicata. Tuttavia, quello che è chiaro è che i tassi bassi sono negativi per i banchieri.
Perché le banche fanno i loro profitti prendendo dai loro depositi e dando in prestito i finanziamenti ad un tasso di interesse più elevato. E questo affare subisce una stretta in un contesto di bassi tassi di interesse; i tassi che le banche possono caricare sui prestiti sono spinti in basso, ma i tassi sui depositi possono soltanto starsene sotto. Il margine dell’interesse netto – la differenza tra il tasso di interesse che le banche ricevono sui prestiti e il tasso che pagano sui depositi – è caduto bruscamente nel corso dei cinque anni passati .
La risposta appropriata degli operatori politici a questa osservazione dovrebbe essere: “E allora?” Non c’è ragione di credere che quello che è positivo per i banchieri sia positivo per l’America. Ma i banchieri sono diversi da noi comuni mortali, hanno molta più influenza. I dirigenti della politica monetaria li incontrano in continuazione, e in molti casi si aspettano di approdare nelle loro fila al momento in cui usciranno dall’altro lato della porta girevole. Inoltre, in generale si considera che i banchieri abbiano una esperienza particolare sulla politica economica, sebbene niente nelle loro prestazioni sostenga questa convinzione (i banchieri, tuttavia, hanno dei sarti eccellenti!).
Dovremmo dunque essere sorpresi nel vedere istituzioni, per non dire della stampa finanziaria, che soddisfano le esigenze dei banchieri manipolando complicate giustificazioni per un rialzo dei tassi che in termini di elementare economia non ha senso. E il dibattito dei mesi passati, nel quale la Fed è apparsa stranamente ansiosa di elevare i tassi nonostante gli ammonimenti provenienti da soggetti come Larry Summers, secondo i quali sarebbe stato un errore terribile, indica che persino i dirigenti della politica monetaria degli Stati Uniti non ne sono immuni.
Ma la Fed ha fatto la cosa giusta la scorsa settimana, non facendo un bel niente. E gli ululati dei banchieri non dovrebbero provocare alcuna riconsiderazione, semmai andrebbero considerati come una dimostrazione che il clamore per tassi più alti non ha niente a che fare con l’interesse pubblico.
[1] La connessione nel testo inglese è con un articolo su tale questione – l’effetto della decisione di non toccare i tassi sul settore finanziario – da BloombergBusiness. Per avere un’idea di tale effetto, può essere utile riportare da quell’articolo il seguente diagramma, che mostra l’andamento dei titoli relativi dal 2012 ai giorni recenti:
[2] Come si ricorderà (l’espressione è frequente) questo modo di esprimersi con l’aggiunta finale di “stupido/i!”, ha un’origine; la stessa espressione, nel corso di un dibattito pubblico, ‘sfuggì’ anni orsono a Bill Clinton (più o meno disse al suo interlocutore “E’ l’economia, stupido!”). Da allora è diventata famosa, a significare che ‘ogni discussione è chiusa!”.
By mm
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