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La rabbia sui tassi (dal blog di Krugman, 19 settembre 2015)

 

Rate Rage

September 19, 2015 1:51 pm

OK, I should have seen that one coming, but didn’t: the banking industry has responded to the Fed’s decision not to hike rates with a primal cry of rage. And that, I think, tells us what we need to know about the political economy of permahawkery.

The truth is, I’ve been getting this one wrong. I’ve tried to understand demands that rates go up despite the absence of inflation pressure in terms of broad class interests. And the trouble is that it’s not at all clear where these interests lie. The wealthy get a lot of interest income, which means that they are hurt by low rates; but they also own a lot of assets, whose prices go up when monetary policy is easy. You can try to figure out the net effect, but what matters for the politics is perception, and that’s surely murky.

But what we should be doing, I now realize, is focusing not on broad classes but on very specific business interests. In particular, commercial bankers really dislike a very low interest rate environment, because it’s hard for them to make profits: there’s a lower bound on the interest rates they can offer, and if lending rates are low that compresses their spread. So bankers keep demanding higher rates, and inventing stories about why that would make sense despite low inflation.

Now, you can argue, as Brad DeLong does, that easy money is in the long-run interest of commercial banks — that in the end the nominal interest rate depends on the rate of inflation, and that locking us into a lowflation or deflation world would be very bad for the banks. But nobody has ever accused bankers of being especially clear about macroeconomics, and in any case what matters for today’s bank executives is not the long run but the next few years, during which they either will or won’t be getting big bonuses; in the long run they are all full-time golfers.

So the demand for higher rates is coming from a narrow business interest group, not the one percent in general. But it’s an interest group that has a lot of clout among central bankers, because these are people they see every day — and in many cases are people they will become once they go through the revolving door. I doubt there’s much crude corruption going on at this level (or am I naive?), but officials at public monetary institutions — certainly the BIS, but also the Fed — are constantly holding meetings with, having lunch with, commercial bankers who have a personal stake in seeing rates go up no matter what the macro situation.

Like everyone, the bankers no doubt are able to persuade themselves that what’s good for them is good for America and the world; more alarmingly, they may be able to persuade officials who should know better. Does this explain the puzzling divergence between the views of Fed officials and those of outsiders like Larry Summers (and yours truly) who have a similar model of how the world works, but are horrified by the eagerness to raise rates while inflation is still below target?

I don’t know about you, but I feel that I’m having an Aha! moment here. Oh, and raising rates is still a terrible idea.

 

 

La rabbia sui tassi

Lo ammetto, me ne sarei dovuto accorgere, ma non l’ho fatto: il settore bancario ha risposto alla decisione della Fed di non alzare i tassi con un primordiale pianto di rabbia. E ciò, penso, ci dice quello che abbiamo bisogno di sapere sulla politica economica dei ‘falchi eterni’.

La verità è che stavo intendendo tutto questo in modo sbagliato. Avevo cercato di comprendere le richieste che i tassi salissero nonostante l’assenza di una spinta inflazionistica in termini di generali interessi di classe. E il guaio è che non è affatto chiaro dove questi interessi si collochino. I ricchi ottengono molto reddito dall’interesse, il che significa che sono colpiti dai tassi bassi; ma sono anche proprietari di una grande quantità di asset, i cui prezzi salgono quando la politica monetaria è agevolata. Potete cercare di immaginarvi l’effetto netto, ma quello che conta per la politica è la percezione, ed essa è certamente confusa.

Ma quello che dovevamo fare, lo comprendo adesso, non era concentrarci sulle classi in generale, ma sugli interessi specifici delle società. In particolare, gli operatori della banche commerciali [1] davvero non gradiscono un contesto di basso tasso di interesse, perché è difficile per loro fare profitti: c’è un limite inferiore sui tassi di interesse che possono offrire, e se i tassi nei prestiti sono bassi ciò comprime il loro differenziale. Così i banchieri continuano a chiedere tassi più alti e si inventano spiegazioni sul perché avrebbero senso nonostante la bassa inflazione.

Ora, si può sostenere, come fa Brad DeLong, che la moneta facile nel lungo periodo è nell’interesse della banche commerciali – che alla fine il tasso di interesse nominale dipende dal tasso di inflazione, e che rinchiuderci in una bassa inflazione o in una deflazione sarebbe molto negativo per le banche. Ma nessuno ha mai imputato ai banchieri di essere particolarmente chiari in materia di teoria economica, e in ogni caso quello che conta per gli amministratori odierni delle banche non è il lungo periodo ma i prossimi pochi anni, durante i quali essi percepiranno oppure no grandi liquidazioni; nel lungo periodo loro sono tutti giocatori di golf a tempo pieno.

Dunque, la richiesta di tassi più alti proviene da un ristretto gruppo di interesse affaristico, non in generale dall’1 per cento dei più ricchi. Ma è un gruppo di interesse che ha molta influenza sui banchieri centrali, giacché sono gli individui che frequentano quotidianamente – e in molti casi sono ciò che diventeranno una volta che passeranno dalla porta girevole [2]. Dubito che ci sia molta rozza corruzione diffusa a questo livello (o sono ingenuo?), ma i dirigenti presso le istituzioni monetarie pubbliche – sicuramente nel caso della Banca Internazionale dei Regolamenti, anche della Fed – tengono costantemente riunioni e sono continuamente a pranzo con i dirigenti della banche commerciali che hanno un interesse personale nel veder salire i tassi, a prescindere dalla situazione macroeconomica.

Come tutti, i banchieri sono senza dubbio capaci di persuadersi che quello che è buono per loro, è buono per l’America e per il mondo; è più allarmante che siano capaci di persuadere quei dirigenti pubblici che dovrebbero saperne di più. É questo che spiega la differenza tra i punti di vista dei dirigenti della Fed e coloro che non operano dall’interno come Larry Summers (e il sottoscritto) che hanno modelli simili su come il mondo funziona, ma sono terrorizzati dall’entusiasmo di elevare i tassi mentre l’inflazione è ancora al di sotto del suo obbiettivo?

Non so l’effetto su di voi, ma in questo caso io sto avendo un momento rivelatorio. E aggiungo che elevare i tassi è ancora un’idea terribile.

 

[1] La definizione di “banca commerciale” indica semplicemente un istituto che offre servizi finanziari come la accettazione di depositi, la concessione di prestiti e l’offerta di prodotti di base di investimento. Ciononostante, a differenza delle “retail banks”, generalmente una “commercial bank” opera in rapporto a grandi società, mentre la prima agisce in rapporto a soggetti singoli della popolazione. In aggiunta, negli Stati Uniti il termine “commercial bank” indica una differenziazione dalla “investment bank”, e tra le due tipologie c’è una lunga storia di diversa regolamentazione. Dopo la Grande Depressione, la Legge Glass-Steagall stabilì che soltanto le banche commerciali potevano occuparsi generalmente delle attività bancarie, mentre le banche di investimento erano limitate al settore della attività sul mercato dei capitali. Nel 1999 questa distinzione venne abrogata, ma venne ripristinata nel 2014 con un emendamento ispirato da Paul Volcker alla legge di riforma del sistema finanziario Dodd-Frank (notizie da Wikipedia in lingua inglese).

[2] Ovvero, che smetteranno di fare i banchieri centrali e andranno ad altri incarichi.

 

 

 

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