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L’economia del Giappone, paralizzata dalla cautela, di Paul Krugman (New York Times 11 settembre 2015)

 

Japan’s Economy, Crippled by Caution

SEPT. 11, 2015

Paul Krugman

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TOKYO — Visitors to Japan are often surprised by how prosperous it seems. It doesn’t look like a deeply depressed economy. And that’s because it isn’t.

Unemployment is low; overall economic growth has been slow for decades, but that’s largely because it’s an aging country with ever fewer people in their prime working years. Measured relative to the number of working-age adults, Japanese growth over the past quarter century has been almost as fast as America’s, and better than Western Europe’s.

Yet Japan is still caught in an economic trap. Persistent deflation has created a society in which people hoard cash, making it hard for policy to respond when bad things happen, which is why the businesspeople I’ve been talking to here are terrified about the possible spillover from China’s troubles.

Deflation has also created worrisome “debt dynamics”: Japan, unlike, say, the United States after World War II, can’t count on growing incomes to make past borrowing irrelevant.

So Japan needs to make a decisive break with its deflationary past. You might think this would be easy. But it isn’t: Shinzo Abe, the prime minister, has been making a real effort, but he has yet to achieve decisive success. And the main reason, I’d argue, is the great difficulty policy makers have in breaking with conventional notions of responsibility.

Respectability, it turns out, can be an economy-killer, and Japan isn’t the only place where this happens.

As I said, you might think that ending deflation is easy. Can’t you just print money? But the question is what do you do with the newly printed money (or, more usually, the bank reserves you’ve just conjured into existence, but let’s call that money-printing for convenience). And that’s where respectability becomes such a problem.

When central banks like the Federal Reserve or the Bank of Japan print money, they generally use it to buy government debt. In normal times this starts a chain reaction in the financial system: The sellers of that government debt don’t want to sit on idle cash, so they lend it out, stimulating spending and boosting the real economy. And as the economy heats up, wages and prices should eventually start to rise, solving the problem of deflation.

These days, however, interest rates are very low in most major economies, reflecting the weakness of investment demand. What this means is that there’s no real penalty for sitting on cash, and that’s what people and institutions do. The Fed has bought more than $3 trillion in assets since 2008; most of the cash it has pumped out there has ended up just sitting in bank reserves.

How, then, can policy fight deflation?

Well, the answer currently being tried in much of the world is so-called quantitative easing. This involves printing a very large amount of money and using it to buy slightly risky assets, in the hope of doing two things: pushing up asset prices and persuading both investors and consumers that inflation is coming, so they’d better put idle cash to work.

But is this sufficient? Doubtful. America is recovering, but it has taken a long time to get there. Europe’s monetary efforts have fallen well short of expectations. And so far the same is true of “Abenomics,” the bold — but not bold enough — effort to turn Japan around.

What’s remarkable about this record of dubious achievement is that there actually is a surefire way to fight deflation: When you print money, don’t use it to buy assets; use it to buy stuff. That is, run budget deficits paid for with the printing press.

Deficit finance can be laundered, if you like, by issuing new debt while the central bank buys up old debt; in economic terms it makes no difference.

But nobody is doing the obvious thing. Instead, all around the advanced world governments are engaged in fiscal austerity, dragging their economies down, even as their central banks are trying to pump them up. Mr. Abe has been less conventional than most, but even he set his program back with an ill-advised tax increase.

Why? Part of the answer is that demands for austerity serve a political agenda, with panic over the alleged risks of deficits providing an excuse for cuts in social spending. But the biggest reason it’s so hard to fight deflation, I contend, is the curse of conventionality.

After all, printing money to pay for stuff sounds irresponsible, because in normal times it is. And no matter how many times some of us try to explain that these are not normal times, that in a depressed, deflationary economy conventional fiscal prudence is dangerous folly, very few policy makers are willing to stick their necks out and break with convention.

The result is that seven years after the financial crisis, policy is still crippled by caution. Respectability is killing the world economy.

 

 

 

L’economia del Giappone, paralizzata dalla cautela, di Paul Krugman

New York Times 11 settembre 2015

TOKYO – I visitatori del Giappone restano di solito sorpresi da quanto sembri in buona salute. Non pare un’economia profondamente depressa, semplicemente perché non è tale.

La disoccupazione è bassa; la crescita economica complessiva è stata lenta per decenni, ma è dipeso in gran parte dal fatto che è un paese che invecchia, con sempre minori persone nella fascia d’età della prima attività lavorativa. Misurata in relazione al numero di adulti in età lavorativa, la crescita del Giappone nell’ultimo quarto di secolo è stata quasi altrettanto veloce di quella dell’America e migliore di quella dell’Europa Occidentale.

Tuttavia il Giappone è ancora impigliato in una trappola economica. Una persistente deflazione ha creato una società nella quale la gente accumula contante, rendendo difficile alla politica rispondere ad eventi negativi, che è la ragione per la quale gli uomini di impresa con i quali ho parlato in questo soggiorno, sono terrorizzati dal possibile contagio delle difficoltà della Cina.

La deflazione ha anche creato l’inquietante “dinamica del debito”: il Giappone, diversamente ad esempio dagli Stati Uniti, non può contare su redditi crescenti per rendere irrilevante l’indebitamento passato.

Dunque, il Giappone ha bisogno di operare una rottura decisa con il suo passato deflazionista. Potete pensare che questo dovrebbe esser facile. Ma non lo è: Shinzo Abe, il Primo Ministro, sta compiendo uno sforzo reale, ma non ha ancora ottenuto un successo definitivo. E suppongo che la prima ragione sia la grande difficoltà che le autorità hanno nel rompere con i concetti convenzionali di responsabilità.

Si scopre che la rispettabilità può distruggere le economie, e il Giappone non è l’unico posto nel quale questo accade.

Come ho detto, potreste pensare che porre fine alla deflazione sia facile. Non si può semplicemente stampare moneta? Ma la questione è cosa si fa con il denaro stampato di fresco (o, più comunemente, con le riserve della banca che vengono allo scoperto dal nulla, ma per convenienza continuiamo a chiamarlo denaro stampato). Ed è lì che la responsabilità diventa un problema così grande.

Quando le banche centrali come la Federal Reserve o la Banca del Giappone stampano moneta, generalmente la usano per acquistare debito pubblico. In tempi normali questo avvia una reazione a catena nel sistema finanziario: coloro che vendono quei titoli sul debito pubblico non vogliono tenerlo inutilizzato, dunque lo danno in prestito stimolando la spesa e sostenendo l’economia reale. E se l’economia si riscalda, i salari ed i prezzi dovrebbero alla fine cominciare a salire, risolvendo il problema della deflazione.

Di questi tempi, tuttavia, i tassi di interesse sono molto bassi nella maggior parte delle economie importanti, riflettendo la debolezza della domanda di investimenti. Quello che questo comporta è che non c’è una vera penalizzazione nel detenere contante, ovvero quello che fanno sia gli individui che gli istituti finanziari. La Fed ha acquistato più di tremila miliardi di dollari di asset a partire dal 2008; gran parte del contante che essa ha emesso, alla fine, è semplicemente rimasto inutilizzato nelle riserve della banca.

Come può, allora, la politica combattere la deflazione?

Ebbene, la risposta che attualmente viene sperimentata in gran parte del mondo è la cosiddetta ‘facilitazione quantitativa”. Essa comporta stampare una quantità molto ampia di valuta ed utilizzarla per acquistare asset poco rischiosi, nella speranza di ottenere due risultati: spingere in alto i prezzi degli asset e persuadere sia gli investitori che i consumatori che l’inflazione è in arrivo, in modo che essi mettano al lavoro il contante inutilizzato.

Ma è sufficiente? É molto dubbio. L’America si sta riprendendo, ma c’è voluto molto tempo per arrivare a questo punto. Gli sforzi monetari dell’Europa hanno prodotto effetti molto inferiori alle aspettative. E sinora lo stesso è vero nel caso della politica economica di Abe, con lo sforzo coraggioso – ma non coraggioso abbastanza – di dare una svolta al Giappone.

Quello che è rilevante in questa serie di dubbi risultati è che in verità ci sarebbe un modo sicuro al cento per cento per combattere la deflazione: quando si stampa moneta non usarla per acquistare asset finanziari, ma usarla per acquistare cose vere. Ovvero, gestire deficit di bilancio pagati tramite i soldi emessi dalla banca centrale.

Il finanziamento in deficit può essere liquidato, se preferite, emettendo nuove obbligazioni sul debito nel mentre la banca centrale ripaga il vecchio; in termini economici non fa alcuna differenza.

Ma nessuno sta facendo la cosa più ovvia. Piuttosto, in tutto il mondo avanzato i governi sono impegnati nell’austerità delle finanze pubbliche, fanno calare le loro economie, anche se le banche centrali cercano di mettere in circolazione maggiore moneta. Rispetto alla maggioranza, il signor Abe è stato meno convenzionale, ma anche lui ha ritardato il suo programma con un malaccorto incremento di tasse.

Perché? In parte la risposta è che le richieste dell’austerità sono al servizio di un programma politico, laddove il panico sui pretesi rischi dei deficit forniscono una scusa per tagli ai programmi sociali. Ma la ragione più grande per la quale è così difficile combattere l’inflazione, sono fermamente convinto che sia la maledizione della convenzione.

Dopo tutto, stampare moneta per pagare cose reali appare irresponsabile, giacché in tempi normali è così. E non conta quante volte alcuni di noi cercano di spiegare che questi non sono tempi normali, che in una economia depressa e deflazionistica la convenzionale prudenza finanziaria è una follia pericolosa; sono pochissimi gli uomini pubblici che sono disponibili a rischiare e a rompere con le convenzioni.

Il risultato è che sette anni dopo la crisi finanziaria, la politica è ancora paralizzata dalla cautela. La rispettabilità sta ammazzando l’economia mondiale.

 

 

 

 

 

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