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L’inclusione del Renmimbi potrebbe suscitare un grande rimescolamento, di Dan Steinbock (dal blog Economonitor, 16 settembre 2015)

 

September 16th, 2015

RMB’s Inclusion Could Spark Big Reshuffle

Author: Dan Steinbock

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The inclusion of the renminbi in the currency reserve basket is only a matter of time. It could trigger a US $1 trillion re­allocation of global reserve portfolios.

Before the summer, investment banks estimated that, in the medium-term, at least US$1 trillion of global reserves could switch into Chinese assets when, and if, the International Monetary Fund endorses the renminbi as a reserve currency.

However, a few weeks ago, the IMF recommended a delay of the inclusion. When will the IMF include the yuan in its basket and what will be the impact of that decision?

The IMF’s two-step tango

The IMF debate involves the review of its Special Drawing Rights (SDR). Cre­ated in 1969, the SDR is an international reserve asset, which today includes four major currencies: the US dollar, euro, British pound and Japanese yen.

China’s first effort to have the yuan included in the SDR basket took place at the previous IMF review in 2010. That attempt failed, due to inadequate capital account convertibility.

After half a decade, the Chinese gov­ernment has made the liberalization of the capital account and the exchange rate a major priority. however, even if the liberalization is completed in due time, the inclusion is not automatic.

The IMF review consists of two steps. The first step requires that the currency country is a major trading nation. Today, China is the world’s largest exporter and second-largest importer. However, the currency should also be “freely usable.” In China, some capital account restric­tions do remain. however, reforms are accelerating and in april the chief of the People’s Bank of China Zhou Xiaochuan vowed to make the yuan capital account convertible by the “end of this year.”

Full convertibility is not an explicit IMF requirement. For instance, the Japanese yen was seen as freely usable already in 1978; two years before Tokyo eliminated its foreign exchange controls.

The second step requires a final vote by its board. In practice, the renminbi needs a 70 percent majority in the final vote to become a reserve currency.

In early august, the IMF was asked to delay its yuan inclusion until September 2016. But even if China misses the cut in fall 2015, there is a high likelihood of an interim review that will grant the yuan SDR status before 2020.

What does it all mean?

RMB’s inclusion impact

In the near-term, the yuan’s inclusion in the IMF reserve currency basket may be small. It would involve the reweighing of the IMF’s SDR basket, which amounts to almost US$30 billion. Currently, the US dollar accounts for 42 percent and the euro for 37 percent of the total, whereas the British pound and Japanese yen are about 9-11 percent each.

However, the long-term consequences of the yuan’s inclusion would be huge.

An endorsement by the IMF could unleash a significant, though gradual, reweighing of the entire global reserve portfolio, which today amounts to some US$11.6 trillion. It is also likely that non-public, private investors would follow in the central banks’ footprints, especially as China’s capital markets grow more efficient and liquid.

If, initially, the renminbi would be 10 percent of the IMF reserve currency bas­ket, along with Japanese yen and British pound, then the position of the US dollar could decrease to 38 percent and the euro to 34 percent, respectively.

Assuming the global reserve portfolio would mimic these shifts, some 10 per­cent of the global reserves — more than US$1.1 trillion — could flow into yuan assets. That would herald a new era in the global capital markets.

The yuan’s adoption as a major reserve currency is now a matter of time. In the short-term, it means increased volatility. In the medium-term, it has potential to support China’s rebalancing and thus growth prospects globally.

 

 

 

L’inclusione del Renmimbi [1] potrebbe provocare un grande rimescolamento,

di Dan Steinbock

L’inclusione del renmimbi nel paniere delle valute di riserva è solo una questione di tempo. Essa potrebbe innescare una riallocazione di mille miliardi di dollari statunitensi nei portafogli della riserva globale.

Prima dell’estate, le banche di investimento stimavano che, nel medio termine, almeno mille miliardi di dollari statunitensi delle riserve globali potevano trasformarsi in asset cinesi allorquando, e se, il Fondo Monetario Internazionale appoggiasse il renmimbi come valuta di riserva.

Tuttavia, poche settimane fa, il Fondo Monetario Internazionale ha raccomandato un rinvio della inclusione. Quando il FMI includerà lo yuan nel suo paniere e quale sarà l’impatto di quella decisione?

 

Il tango a passo doppio del FMI

 

Il dibattito nel FMI riguarda la revisione dei suoi Diritti Speciali di Prelievo (SDR). Creato nel 1969, i SDR sono asset internazionali di riserva, che oggi includono quattro importanti valute: il dollaro statunitense, l’euro, la sterlina inglese e lo yen giapponese.

Il primo sforzo della Cina per l’inclusione dello yuan nel paniere dei SDR ebbe luogo in occasione della precedente revisione da parte del FMI del 2010. Quel tentativo non riuscì a seguito della inadeguata convertibilità del conto capitale [2].

Dopo mezzo decennio, il Governo cinese ha realizzato la liberalizzazione del conto capitale ed ha reso il tasso di cambio una priorità importante. Tuttavia, anche se la liberalizzazione è stata completata per tempo, l’inclusione non è automatica.

La revisione del FMI consiste in due passi. Il primo passo richiede che il paese della valuta in questione sia una importante nazione commerciale. La Cina odierna è il più grande esportatore al mondo, e il secondo più grande importatore. Tuttavia, la valuta dovrebbe anche essere “liberamente utilizzabile”. In Cina, effettivamente rimangono alcune restrizioni al “conto capitale”. Tuttavia le riforme stanno avendo una accelerazione e in aprile il direttore della Banca del Popolo della Cina ha promesso di rendere il conto capitale in yuan convertibile “entro la fine di quest’anno”.

La piena convertibilità non è una esplicita condizione del FMI. Ad esempio, lo yen giapponese fu considerato come ‘utilizzabile liberamente’ già nel 1978; due anni dopo Tokio eliminò i suoi controlli sugli scambi esteri.

Il secondo passo richiede il voto finale da parte del consiglio del Fondo. In pratica, il renmimbi ha bisogno di una maggioranza del 70 per cento nel voto finale, per diventare valuta di riserva.

Agli inizi di agosto, al FMI è stato chiesto di posticipare la sua inclusione dello yuan sino al settembre 2016. Ma anche se la Cina non ottiene la selezione nell’autunno del 2015, c’è une elevata possibilità di una revisione intermedia che garantirà allo yuan lo status dei Diritti Internazionali di Prelievo prima del 2020.

 

Impatto dell’inclusione del renmimbi

 

Nel breve termine, l’impatto della inclusione dello yuan nel paniere delle valute di riserva del FMI può essere modesto. Esso riguarderebbe una rivalutazione dei valori del paniere dei SDR del Fondo, che corrisponde a circa 30 miliardi di dollari statunitensi. Attualmente, il dollaro statunitense pesa per il 42 per cento e l’euro per il 37 per cento del totale, mentre la sterlina inglese e lo yen giapponese pesano rispettivamente il 9 e l’11 per cento.

Tuttavia, le conseguenze a lungo termine della inclusione dello yuan sarebbero vaste.

La approvazione da parte del FMI potrebbe provocare una significativa, ancorché graduale, rivalutazione dei valori dell’intero portafoglio delle riserve globali, che oggi corrisponde a circa 11,6 mila miliardi di dollari statunitensi. É anche probabile che gli investitori non pubblici, quelli privati, seguirebbero i passi delle banche centrali, in particolare al momento in cui i mercati dei capitali della Cina crescessero in modo più efficiente e liquido.

Se, inizialmente, il renmimbi costituisse il 10 per cento del paniere delle valute di riserva del FMI, assieme allo yen giapponese ed alla sterlina inglese, allora la posizione del dollaro statunitense e quella dell’euro scenderebbero rispettivamente al 38 per cento e al 34 per cento.

Assumendo che il portafoglio delle riserve globali segua questi spostamenti, circa il 10 per cento delle riserve globali – più di 1.100 miliardi di dollari statunitensi – potrebbe finire in asset espressi in yuan. Una cosa del genere annuncerebbe una nuova epoca nei mercati dei capitali globali.

L’adozione dello yuan come importante valuta di riserva è adesso una questione di tempo. Nel breve termine, essa comporterà una accresciuta volatilità. Nel medio termine avrà la potenzialità di sostenere il riequilibrio della Cina e di conseguenza le prospettive globali della crescita.

 

 

 

[1] In questo articolo si usano indifferentemente i termini “renmimbi” e “yuan” per indicare la valuta cinese. In realtà, i significati sono leggermente diversi. “Renmimbi” – che significa “la valuta del popolo” – è il nome ufficiale della valuta, che venne introdotto nel 1949 dalla Repubblica Popolare cinese. “Yuan” è il nome di una unità della valuta renmimbi; un oggetto può costare uno yuan o 10 yuan, ma non sarebbe corretto dire che esso costa 10 renmimbi. Lo stesso, del resto, vale per la valuta britannica, che ufficialmente si denomina “pound sterling”. Si può dire che qualcosa costa 10 pound, ma non sarebbe corretto dire che costa 10 sterling.

[2] Il “capital account” è un valore che mostra il cambiamento netto nella proprietà degli asset in una nazione; è il risultato netto degli investimenti pubblici e privati che entrano ed escono in/da un paese ed è una delle due componenti della bilancia dei pagamenti. L’altra componente, il conto corrente, riflette il reddito netto di una nazione; il ‘conto capitale’ riflette invece la variazione netta della proprietà degli asset nazionali.

Rispetto a questa definizione generalmente utilizzata nella letteratura economica, la definizione del Fondo Monetario Internazionale (e dell’OCSE e delle Nazioni Unite) – da quello che comprendo – è diversa. Il FMI definisce “conto finanziario” quello che altrove si definisce “conto capitale”, e definisce “conto capitale” una sotto categoria più ristretta, che in buona parte comprende i trasferimenti finanziari (i trasferimenti sono flussi in un’unica direzione, come gli aiuti finanziari, diversamente dagli scambi commerciali).

Il difetto di ‘convertibilità’ nel conto capitale di cui si parla nell’articolo, dipende, come si spiega in seguito, da forme di limitazione alla mobilità dei capitali che caratterizzano (o soprattutto ‘caratterizzavano’) la situazione cinese, e che dunque mi pare prescinda dalla interpretazione più restrittiva del linguaggio del FMI.

 

 

 

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