settembre 2015 Archive

La scomparsa del centro del Labour, di Paul Krugman (New York Times 14 settembre 2015)

Sarebbe arduo spiegare la clamorosa vittoria di Jeremy Corbyn nelle primarie del Partito Laburista inglese con un improvviso, massiccio e convinto spostamento a sinistra dei suoi sostenitori. E' più semplice constatare che i moderati di quel Partito sono in pratica scomparsi, facendo proprie tutte le tesi dei conservatori, in particolare sulle presunte responsabilità dei Governi laburisti che governarono l'Inghilterra dal 1997 al 2010 nella Grande Recessione. Non uno di quegli argomenti regge ad una analisi obbiettiva, ma si è consentito che i media britannici li avallassero come fatti indiscutibili, in sostanza implicitamente facendoli propri. Sarebbe come se negli Stati Uniti, dopo l'attentato alle Torri Gemelle, i democratici se ne fossero attribuiti la responsabilità, per difetti nella loro politica della sicurezza nazionale. Si vedrà in seguito se la nomina di Corbyn comporterà insuccessi elettorali per il Labour; quello che oggi è certo è che essa non aveva alternative.

Libri antichi e sensazioni recenti, di Marco Marcucci (13 settembre 2015)

z 933 Quest’estate la scelta delle mie letture è stata come guidata da una sensazione un po’ misteriosa, che non saprei spiegare in altro modo se non come la perplessità per l’abbondanza di fatti che assomigliano al “ritorno” di qualcosa di antico, talmente antico che la mia stessa generazione, più che viverlo, l’aveva soltanto letto sui libri. Da anni percepivamo il mondo come uno scenario che tende ad essere dominato in continuazione da cose nuove (le tecnologie anzitutto) e, prima del 2008, lo percepivamo anche come incamminato su strade relativamente sicure. Poi lo abbiamo scoperto tutt’altro che al riparo dal ripetersi di problemi antichi, e tra essi in modo particolare il tema della differenza tra le nazioni, dei possibili conflitti delle vocazioni e degli interessi nazionali. Nell’ultimo mio intervento su questo blog, scrivevo che alla Grecia stava toccando, in virtù delle sue maggiori disgrazie, di andare a votare su un tema che incombe su tutti, ma che altrove non si riesce bene ancora ad esprimere. Come se i problemi della politica, che sono ragioni naturali di chiari conflitti, subissero un taglio, una sorta di censura, nella loro rappresentazione sui normali scenari delle democrazie. Onestamente, mi chiedevo anche – senza dirlo - cosa guidasse, oltre gli interessi, la politica tedesca; non c’è qualcosa di profondo che ‘agisce’ quel paese, anche a dispetto della sua stessa consapevolezza? ...

Gli economisti e l’economia, di Dani Rodrik (da Project Syndicate, 11 settembre 2015)

     

L’economia del Giappone, paralizzata dalla cautela, di Paul Krugman (New York Times 11 settembre 2015)

Non è così facile comprendere le difficoltà economiche del Giappone. Chi visita quel paese non ha l'impressione di una economia profondamente depressa, perchè in realtà non è così. Dal punto di vista della occupazione, il Giappone è soprattutto un paese con una demografia debole e con un conseguente numero di persone sempre minore che entra nel mercato del lavoro; ma la crescita del Giappone misurata in rapporto al totale degli occupati non è stata inferiore all'America, ed è stata superiore all'Europa. Eppure la deflazione tiene il Giappone inchiodato alla sua 'trappola'. Parrebbe semplice uscirne fuori, ma non è così. Il rimedio ormai diffuso è quello della 'facilitazione quantitativa': le banche centrali stampano nuova moneta. Ma questa non entra nella circolazione dell'economia reale e di solito si ferma nelle riserve degli istituti. Perché allora, invece di utilizzarla per acquistare titoli sul debito, non la si usa direttamente per acquistare "cose" (ovvero, ad esempio, per fare investimenti in deficit sulle infrastrutture)? Soprattutto perchè non è convenzionale, perchè appare irresponsabile. E così sarebbe in tempi normali, sennonché oggi non sono tempi normali. In questo modo il pregiudizio della rispettabilità danneggia le economie.

Follie cinesi sulle attività di cambio, di Barry Eichengreen (da Project Syndicate 11 settembre 2015)

[1] Cogliamo l’occasione per una nota sul duplice nome della moneta cinese: “Renmimbi” e “Yuan”. Sono entrambi denominazioni corrette, ma in sensi leggermente diversi. “Renmimbi” ...

La Polonia a confronto con la Grecia (dal blog di Krugman, 11 settembre 2015)

Stravaganti, ciarlatani e uomini d’apparato (11 settembre 2015)

[1] Forse c’è un errore nel testo inglese, mi pare che dovrebbe essere “non traggono”. [2] In un vecchio post del settembre 2010, Krugman citava ...

Energico Voodoo (9 settembre 2015)

[1] Come qualcuno ricorderà, Krugman scrive Jeb Bush con l’aggiunta di un punto esclamativo perché intende ironizzare sul logo del candidato repubblicano (in realtà, il ...

Jeb l’impreparato (8 settembre 2015)

(1) La tabella mostra gli andamenti dell’occupazione nei due Stati simbolo delle poltiche economiche dei democratici e dei repubblicani, la California e il Kansas. Gli ...

Ne abbiamo abbastanza della Fed, di Joseph E. Stiglitz (da Project Syndicate, 7 settembre 2015)

[1] Il titolo potrebbe sembrare anche per Stiglitz un tantino “irrispettoso” nei confronti della banca centrale degli stati Uniti. Ma, a parte il fatto che ...

Sull’economia ha ragione Trump, di Paul Krugman (New York Times 7 settembre 2015)

Jeb Bush di recente è passato all'attacco del temibile concorrente, attualmente favorito, Donald Trump. Ma non lo ha attaccato sulle proposte assurde di concentrare e deportare 11 milioni di immigrati, bensì sulla sua disponibilità ad accettare tasse più alte per i più ricchi ed un sistema di assistenza sanitaria universalistico. L'accusa è di eresia rispetto alla dottrina economica dei repubblicani. Sennonché, si scopre da alcuni sondaggi che la base repubblicana non è affatto turbata da queste eresie. Probabilmente ciò dipende dal fatto che il miliardario Trump si paga la campagna elettorale di tasca sua, e non ha necessità di un preventivo giuramento di lealtà verso i ricchi sovvenzionatori del Partito Repubblicano. Tutto questo non cambia niente, quanto alla assurdità e grossolanità di Trump. Ma si scopre un aspetto del senso comune degli elettori repubblicani che potrebbe costituire una novità rilevante.

Affinità e inflazione (7 settembre 2015)

[1] Ovvero, un reato espressamente previsto dalle leggi statunitensi, che consiste nel truffare altre persone sfruttando una condizione di ‘affinità’ con le stesse (perché si ...

Produttività e compensi (dal blog di Krugman, 6 settembre 2015)

[1] Le varie linee indicano: quella in blu, l’incremento netto della produttività; quella sottostante, i reali compensi medi orari, laddove per “reali” si intende in ...

Un falso allarme sulla Cina, di Shang-Jin Wei (da Project Syndicate, 4 settembre 2015)

[1] Lo stesso concetto che si trova nella connessione, Frankel lo spiega nell’articolo che abbiamo qua appena tradotto, del 4 settembre. [2] I “requisiti al ...

I dollari degli altri e il loro posto nell’economia globale, di Paul Krugman (New York Times 4 settembre 2015)

Quattro paesi al mondo hanno una valuta che si chiama dollaro: oltre agli Stati Uniti, il Canada, l'Australia e la Nuova Zelanda. Questa banale constatazione offre qualche insegnamento? Intanto che, diversamente da quello che si pensa in Europa, si può essere profondamente connessi con altre economie, continuando a gestire una propria valuta (Canada e Stati Uniti). Poi che operare svalutazioni della propria moneta non è quella disgrazia che pretende la destra (tornò assai utile negli anni '90 al Canada e negli anni 1997 - 1998 all'Australia, che si tenne fuori dalla crisi finanziaria asiatica). Infine, che rinunciare al "prestigio" di una valuta internazionale - ovvero al far parte del paniere delle moneta di riserva - non è una gran danno, giacchè quello che conta, nell'attrarre capitali e nel commercio internazionale, è la stabilità delle norme e dei sistemi politici. La moneta è un tema da trattare con pragmatismo, fuori dai miti.

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