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Produttività e compensi (dal blog di Krugman, 6 settembre 2015)

 

Sep 6 6:42 pm

Productivity and Pay

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Still in Sydney (next stop Tokyo), where it’s much too beautiful a day to sit inside blogging. But I did want to flag an excellent report by Josh Bivens and Larry Mishel on the productivity-pay gap.

The divergence between pay and productivity — a lot of productivity gains, almost total failure to trickle down — is one of the most striking features of American economics these past 40 (!) years. It’s also the subject of endless attempts at debunking, of claims that the divergence is somehow a statistical artifact. What Bivens and Mishel do is take on these arguments carefully, not dismissing them completely, but showing that they explain only a fraction of what we see. Rising benefits are mainly a pre-1979 issue, explaining almost nothing since then; the “terms of trade” — consumer prices rising faster than the prices of U.S. output — is also mostly pre-1979, and in any case only a fractional concern. And so on.

One thing they don’t say explicitly, but is important: the next time you hear someone claiming that middle-class families have, in fact, seen a big rise in living standards, you should know that to the extent that this is true (which is less than claimed), it’s mainly about working more hours. Pay really has almost stagnated despite rising productivity.

 

Produttività e compensi

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[1]

Sono ancora a Sidney (prossima tappa a Tokio), ed è una giornata troppo bella per stare al chiuso dinanzi al blog. Ma volevo segnalare un eccellente resoconto di Josh Bivens e Larry Mishel sul differenziale tra produttività e paghe.

La differenza tra produttività e paghe – grandi incrementi nella produttività, una assenza quasi totale di ricadute di questi guadagni verso il basso – è una delle caratteristiche più sorprendenti dell’economia americana di questi ultimi 40 (!) anni. É anche l’occasione per ininterrotti tentativi di demistificazione, per pretese secondo le quali tale divergenza sarebbe in qualche modo un artificio statistico. Quello che Bivens e Mishel fanno è un intervento scrupoloso su questi argomenti, non liquidandoli per intero, ma dimostrando che essi spiegano solo una frazione di ciò che stiamo vedendo. I sussidi sociali in crescita sono principalmente un tema precedente al 1979 e da allora non spiegano quasi niente; anche i “rapporti di scambio” – l’aumento più rapido del prezzi al consumo e i prezzi della produzione degli Stati Uniti – sono anch’essi in gran parte precedenti al 1979, e in ogni caso sono una preoccupazione solo marginale. E via dicendo.

C’è una cosa che essi non dicono esplicitamente ma che è importante: la prossima volta che sentirete dire da qualcuno che le famiglie di classe media hanno, di fatto, conosciuto un grande incremento nei livelli di vita, dovreste sapere che nella misura in cui questo è vero (ed è meno vero di quanto si sostiene), esso dipende principalmente dall’aver lavorato ore in più. Le paghe in realtà sono rimaste quasi stagnanti nonostante la crescita della produttività.

 

 

 

 

[1] Le varie linee indicano: quella in blu, l’incremento netto della produttività; quella sottostante, i reali compensi medi orari, laddove per “reali” si intende in quel caso deflazionati sulla base del deflatore della produzione interna; quella più in basso, i diversi reali compensi medi orari, laddove in questo caso per reali si intende deflazionati sulla base del deflatore al consumo (ovvero, suppongo, sulla base della variazione dei prezzi dei beni prodotti all’interno ed all’estero); l’intervallo tra le due linee suddette si spiega, dunque, in conseguenza della variazione dei “rapporti di scambio”; l’ultima linea in celeste chiaro, esprime i valori reali dei compensi mediani.

I valori mediani non sono i valori ‘medi’, ovviamente. Diciamo che sono i valori centrali di una serie. I valori medi sono deformati dalla ineguaglianza (se i redditi superiori crescono di molto, essi trainano anche i valori medi, ma in realtà chi sta nelle posizioni medio basse non se ne accorge). E questo è stato appunto il fenomeno che si è manifestato con particolare chiarezza negli Stati Uniti: (1) la produttività è cresciuta molto di più dei compensi, ma (2) i compensi medi sono cresciuti molto di più degli effettivi compensi “mediani”, che praticamente sono rimasti fermi.

Si noti, infine, che il fenomeno riguarda il periodo dal 1974 in poi (Krugman estrapola quel periodo dallo studio di Bivens e Mishel, ma se si legge direttamente quello studio si osserva che i valori mediani dei compensi – nel periodo dal 1948 al 1974 – erano cresciuti praticamente nello stesso modo della produttività). Non riesco a trasferire l’intera tabella dello studio nel testo, ma si consideri che – ponendo al livello 0 i dati della produttività e dei compensi mediani (ovvero, di un lavoratore normale) nel 1948 – essi erano arrivati entrambi ad un livello 100 nel 1974; nei decenni successivi la produttività è schizzata al livello 238, i compensi sono rimasti al livello 100 (circa).

 

 

 

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