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Spiegazioni sul keynesismo (dal blog di Krugman, 15 settembre 2015)

 

Sep 15 9:18 am

Keynesianism Explained

Attacks on Keynesians in general, and on me in particular, rely heavily on an army of straw men — on knocking down claims about what people like me have predicted or asserted that have nothing to do with what we’ve actually said. But maybe we (or at least I) have been remiss, failing to offer a simple explanation of what it’s all about. I don’t mean the models; I mean the policy implications.

So here’s an attempt at a quick summary, followed by a sampling of typical bogus claims.

I would summarize the Keynesian view in terms of four points:

  1. Economies sometimes produce much less than they could, and employ many fewer workers than they should, because there just isn’t enough spending. Such episodes can happen for a variety of reasons; the question is how to respond.
  2. There are normally forces that tend to push the economy back toward full employment. But they work slowly; a hands-off policy toward depressed economies means accepting a long, unnecessary period of pain.
  3. It is often possible to drastically shorten this period of pain and greatly reduce the human and financial losses by “printing money”, using the central bank’s power of currency creation to push interest rates down.
  4. Sometimes, however, monetary policy loses its effectiveness, especially when rates are close to zero. In that case temporary deficit spending can provide a useful boost. And conversely, fiscal austerity in a depressed economy imposes large economic losses.

Is this a complicated, convoluted doctrine? It doesn’t sound that way to me, and the implications for the world we’ve been living in since 2008 seem very clear: aggressive monetary expansion, plus fiscal stimulus as long as the zero lower bound constrains monetary policy.

But strange things happen in the minds of critics. Again and again we see the following bogus claims about what Keynesians believe:

B1: Any economic recovery, no matter how slow and how delayed, proves Keynesian economics wrong. See [2] above for why that’s illiterate.

B2: Keynesians believe that printing money solves all problems. See [3]: printing money can solve one specific problem, an economy operating far below capacity. Nobody said that it can conjure up higher productivity, or cure the common cold.

B3: Keynesians always favor deficit spending, under all conditions. See [4]: The case for fiscal stimulus is quite restrictive, requiring both a depressed economy and severe limits to monetary policy. That just happens to be the world we’ve been living in lately.

I have no illusions that saying this obvious stuff will stop the usual suspects from engaging in the usual bogosity. But maybe this will help others respond when they do.

 

Spiegazioni sul keynesismo

Gli attacchi al keynesismo, e al sottoscritto in particolare, si fondano ampiamente su un esercito di argomentazioni fittizie – si buttano giù pretese su quello che persone come me hanno previsto o sostenuto che non hanno niente a che fare con quello che abbiamo detto veramente. Ma forse noi (o almeno io) siamo stati negligenti, mancando di offrire una spiegazione di quello di cui stiamo dibattendo. Non intendo i modelli; intendo le implicazioni politiche.

Ecco dunque un tentativo di un rapido sommario, seguito da un campionamento di tipici argomenti fasulli.

Sintetizzerei il punto di vista keynesiano in quattro punti:

1 – Le economie talvolta producono molto meno di quello che potrebbero, ed occupano molti meno lavoratori di quelli che dovrebbero, semplicemente perché non c’è una spesa sufficiente. Tali episodi possono avvenire per una varietà di ragioni; la questione è come rispondere.

2 – Ci sono normalmente forze che tendono a riportare l’economia in condizioni di piena occupazione. Ma esse operano lentamente; una politica di non-intervento verso le economie depresse comporta di accettare un periodo di sofferenze lungo e non necessario.

3 – E’ spesso possibile accorciare drasticamente questo periodo di sofferenze e ridurre le perdite umane e finanziarie “stampando moneta”, utilizzando il potere della banca centrale di creare valuta per spingere verso l’alto i tassi di interesse.

4 – Talvolta, tuttavia, la politica monetaria perde la sua efficacia, specialmente quando i tassi di interesse sono vicini allo zero. In quel caso una provvisoria spesa pubblica in deficit può fornire un incoraggiamento utile. Di converso, l’austerità della finanza pubblica in una economia depressa impone ampie perdite economiche.

Si tratta di una dottrina complicata, involuta? Non mi pare, e le implicazioni per il mondo in cui viviamo, a partire dal 2008, sembrano molto chiare: una aggressiva espansione monetaria e in aggiunta misure di sostegno della finanza pubblica, finché il limite inferiore dello zero (dei tassi di interesse) condiziona la politica monetaria.

Ma accadono cose strane nelle teste dei critici. Constatiamo in continuazione i seguenti argomenti fasulli a proposito delle presunte convinzioni dei keynesiani:

B1 – Ogni ripresa economica, non conta quanto lenta e quanto ritardata, prova che l’economia keynesiana è sbagliata. Si veda sopra il punto (2) a proposito delle ragioni per le quali quell’argomento è segno di ignoranza.

B2 – I keynesiani credono che lo stampare moneta risolva tutti i problemi. Si veda il punto (3): stampare moneta può risolvere il problema specifico di un’economia che opera al di sotto delle sue potenzialità. Nessuno ha detto che esso possa produrre per magia una produttività più elevata, o curare un normale raffreddore.

B3 – I keynesiani sono a favore della spesa pubblica in deficit, a tutte le condizioni. Si veda il punto (4): il caso di misure di sostegno di finanza pubblica è abbastanza restrittivo, richiedendo le condizioni sia di una economia depressa che di gravi limiti alla politica monetaria. Si dà il caso che queste siano proprio le condizioni recenti del mondo in cui stiamo vivendo.

Non mi illudo che dire queste cose ovvie fermerà i soliti noti dall’impegnarsi nelle consuete fesserie. Ma può dare una mano agli altri a rispondere quando lo fanno.

 

 

 

 

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