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Sull’economia ha ragione Trump, di Paul Krugman (New York Times 7 settembre 2015)

 

Trump Is Right on Economics

SEPT. 7, 2015

Paul Krugman

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So Jeb Bush is finally going after Donald Trump. Over the past couple of weeks the man who was supposed to be the front-runner has made a series of attacks on the man who is. Strange to say, however, Mr. Bush hasn’t focused on what’s truly vicious and absurd — viciously absurd? — about Mr. Trump’s platform, his implicit racism and his insistence that he would somehow round up 11 million undocumented immigrants and remove them from our soil.

Instead, Mr. Bush has chosen to attack Mr. Trump as a false conservative, a proposition that is supposedly demonstrated by his deviations from current Republican economic orthodoxy: his willingness to raise taxes on the rich, his positive words about universal health care. And that tells you a lot about the dire state of the G.O.P. For the issues the Bush campaign is using to attack its unexpected nemesis are precisely the issues on which Mr. Trump happens to be right, and the Republican establishment has been proved utterly wrong.

To see what I mean, consider what was at stake in the last presidential election, and how things turned out after Mitt Romney lost.

During the campaign, Mr. Romney accused President Obama of favoring redistribution of income from the rich to the poor, and the truth is that Mr. Obama’s re-election did mean a significant move in that direction. Taxes on the top 1 percent went up substantially in 2013, both because some of the Bush tax cuts were allowed to expire and because new taxes associated with Obamacare kicked in. And Obamacare itself, which provides a lot of aid to lower-income families, went into full effect at the beginning of 2014.

Conservatives were very clear about what would happen as a result. Raising taxes on “job creators,” they insisted, would destroy incentives. And they were absolutely certain that the Affordable Care Act would be a “job killer.”

So what actually happened? As of last month, the U.S. unemployment rate, which was 7.8 percent when Mr. Obama took office, had fallen to 5.1 percent. For the record, Mr. Romney promised during the campaign that he would get unemployment down to 6 percent by the end of 2016. Also for the record, the current unemployment rate is lower than it ever got under Ronald Reagan. And the main reason unemployment has fallen so much is job growth in the private sector, which has added more than seven million workers since the end of 2012.

I’m not saying that everything is great in the U.S. economy, because it isn’t. There’s good reason to believe that we’re still a substantial distance from full employment, and while the number of jobs has grown a lot, wages haven’t. But the economy has nonetheless done far better than should have been possible if conservative orthodoxy had any truth to it. And now Mr. Trump is being accused of heresy for not accepting that failed orthodoxy?

So am I saying that Mr. Trump is better and more serious than he’s given credit for being? Not at all — he is exactly the ignorant blowhard he seems to be. It’s when it comes to his rivals that appearances can be deceiving. Some of them may come across as reasonable and thoughtful, but in reality they are anything but.

Mr. Bush, in particular, may pose as a reasonable, thoughtful type — credulous reporters even describe him as a policy wonk — but his actual economic platform, which relies on the magic of tax cuts to deliver a doubling of America’s growth rate, is pure supply-side voodoo.

And here’s what’s interesting: all indications are that Mr. Bush’s attacks on Mr. Trump are falling flat, because the Republican base doesn’t actually share the Republican establishment’s economic delusions.

The thing is, we didn’t really know that until Mr. Trump came along. The influence of big-money donors meant that nobody could make a serious play for the G.O.P. nomination without pledging allegiance to supply-side doctrine, and this allowed the establishment to imagine that ordinary voters shared its antipopulist creed. Indeed, Mr. Bush’s hapless attempt at a takedown suggests that his political team still doesn’t get it, and thinks that pointing out The Donald’s heresies will be enough to doom his campaign.

But Mr. Trump, who is self-financing, didn’t need to genuflect to the big money, and it turns out that the base doesn’t mind his heresies. This is a real revelation, which may have a lasting impact on our politics.

Again, I’m not making a case for Mr. Trump. There are lots of other politicians out there who also refuse to buy into right-wing economic nonsense, but who do so without proposing to scour the countryside in search of immigrants to deport, or to rip up our international economic agreements and start a trade war. The point, however, is that none of these reasonable politicians is seeking the Republican presidential nomination.

 

Sull’economia ha ragione Trump, di Paul Krugman

New York Times 7 settembre 2015

Dunque, finalmente Jeb Bush va all’attacco di Donald Trump. Nelle due settimane passate l’uomo che si pensava fosse il favorito ha lanciato una serie di offensive contro il favorito effettivo. Strano a dirsi, tuttavia, Bush non si è concentrato su quello che è veramente aggressivo ed assurdo – aggressivamente assurdo? – della piattaforma del signor Trump, il suo implicito razzismo ed il suo ribadire che in qualche modo lui concentrerebbe 11 milioni di immigrati senza documenti e li allontanerebbe dal nostro suolo.

Bush ha invece scelto di attaccare Trump come un falso conservatore, un concetto che si suppone dimostrato dalle sue deviazioni dalla attuale ortodossia economica repubblicana: la sua intenzione di elevare le tasse sui ricchi, i suoi giudizi positivi sulla assistenza sanitaria universalistica. Il punto è che i temi che la campagna di Bush sta utilizzando per attaccare il suo inatteso castigo fatale, sono precisamente i temi sui quali si dà il caso che Trump abbia ragione e il gruppo dirigente repubblicano si è dimostrato assolutamente in torto.

Per comprendere cosa intendo, si consideri cosa era in gioco nelle precedenti elezioni presidenziali, e come le cose sono andate a finire dopo la sconfitta di Mitt Romney.

Durante la campagna elettorale, Romney accusò il Presidente Obama di essere favorevole ad una redistribuzione del reddito dai ricchi ai poveri, e la verità è che la rielezione di Obama comportò un significativo spostamento in quella direzione. Nel 2013 le tasse sull’1 per cento dei più ricchi aumentarono sostanzialmente, sia perché alcuni degli sgravi fiscali del fratello di Bush andarono in esaurimento [1], sia perché entrarono in funzione nuove tasse connesse con la riforma della assistenza sanitaria di Obama. E la stessa riforma sanitaria, che fornisce notevoli aiuti alle famiglie con redditi più bassi, è entrata pienamente in funzione agli inizi del 2014.

I conservatori furono molto chiari sulla conseguenza che ne sarebbe derivata. Elevare le tasse sui “creatori di posti di lavoro”, ripeterono in continuazione, avrebbe distrutto gli incentivi. Ed erano assolutamente certi che la Legge sulla Assistenza Sostenibile [2] si sarebbe risolta in una “distruzione di posti di lavoro”.

Cosa accadde, dunque, per davvero? Al rilevamento dell’ultimo mese, il tasso di disoccupazione degli Stati Uniti, che era al 7,8 per cento quando Obama entrò in carica, era sceso al 5,1 per cento. Per memoria, Romney aveva promesso durante la campagna elettorale che alla fine del 2016 avrebbe ridotto la disoccupazione al 6 per cento. Sempre per memoria, l’attuale tasso di disoccupazione è più basso di quanto non fosse mai stato sotto Reagan. E la principale ragione per la quale la disoccupazione è scesa tanto è stato il settore privato, che a partire dalla fine del 2013 è aumentato per più di sette milioni di lavoratori.

Non sto dicendo che nell’economia degli Stati Uniti tutto stia funzionando a meraviglia, perché non è così. C’è una buona ragione per ritenere che siamo ancora sostanzialmente lontani dalla piena occupazione [3], e mentre il numero dei posti di lavoro è cresciuto in modo consistente, lo stesso non è avvenuto per i salari. Nondimeno, l’economia è andata assai meglio di come avrebbe dovuto essere possibile se l’ortodossia conservatrice avesse avuto un qualche fondamento di verità. E adesso Trump viene accusato di eresia perché non accetta quella ortodossia fallita?

Sto forse dicendo che Trump è migliore e più serio di quanto non venga accreditato? Niente affatto – egli è esattamente l’ignorante gradasso che sembra. É che quando si passa ai suoi rivali che le apparenze possono diventare ingannevoli. Alcuni di loro possono dar l’impressione di essere ragionevoli e riflessivi, ma in realtà sono tutto ad eccezione di quello.

Il particolare, il signor Bush può atteggiarsi come un soggetto ragionevole e riflessivo, – giornalisti creduloni lo ritraggono addirittura come un grande esperto di governo – ma la sua effettiva piattaforma economica, che si basa sugli sgravi fiscali per realizzare un raddoppio del tasso di crescita dell’America, è la mera magia economica voodoo della teoria dal lato dell’offerta [4].

Ed ecco quello che si scopre interessante: secondo tutte le indicazioni gli attacchi del signor Bush al signor Trump stanno facendo fiasco, giacché la base repubblicana non condivide le illusioni economiche del gruppo dirigente repubblicano.

Il punto è che questa è una cosa che per la verità non conoscevamo finché non è comparso Trump. L’influenza dei ricchi finanziatori delle campagne elettorali comportava che nessuno poteva seriamente partecipare alla nomination del Partito Repubblicano senza promettere lealtà alla dottrina dell’economia dal lato dell’offerta, e questo consentiva ai gruppi dirigenti di immaginare che gli elettori comuni condividessero il loro credo antipopolare [5]. In effetti, il tentativo sfortunato di ridimensionamento da parte di Bush indica che il suo team politico questa cosa ancora non la capisce, e crede che mettere in evidenza le eresie di Donald sarà sufficiente a condannare la sua campagna elettorale.

Ma il signor Trump, che si autofinanzia, non ha bisogno di genuflettersi al grande capitale, e si scopre che la base non si cura delle sue eresie. Questa è una vera scoperta, che può avere un impatto duraturo sulla nostra politica.

Lo ripeto, non sto perorando la causa del signor Trump. C’è un gran numero di altri uomini politici in circolazione che anch’essi rifiutano di prendere per buone le sciocchezze della destra, ma che lo fanno senza proporre di passare al setaccio le campagne in cerca di immigrati da deportare, oppure di stracciare i nostri accordi economici internazionali e di avviare guerre commerciali. Il punto, tuttavia, è che nessuno di questi ragionevoli uomini politici sta cercando di ottenere la nomination presidenziale repubblicana.

[1] Il testo dice più precisamente che a tali sgravi ‘fu consentito’ di andare in esaurimento. La spiegazione è la seguente: tali forti sgravi introdotti da George W. Bush – per aggirare una norma procedurale che avrebbe richiesto una approvazione con una maggioranza qualificata – furono presentati come una misura temporanea. L’intenzione, ovviamente, era di renderli successivamente definitivi; ma con il mandato di Obama solo una parte di essi vennero confermati, mentre per quelli che favorivano i redditi più elevati ‘fu consentito’ che andassero ad esaurimento, ripristinando le aliquote fiscali precedenti.

[2] É la denominazione ufficiale della riforma della assistenza sanitaria di Obama.

[3] Se si leggono vari altri interventi su questo blog, da parte di Krugman e di altri economisti, si trovano le spiegazioni dettagliate di questo concetto. In realtà, un tasso di disoccupazione al 5,1 per cento è molto vicino al livello che la Fed considera normalmente di ‘piena occupazione’. Sennonché il tasso di disoccupazione misura il numero delle persone disoccupate e impegnate ‘attivamente’ nella ricerca del lavoro; cosicché i cosiddetti ‘scoraggiati’ – coloro che non cercano attivamente lavoro perché ritengono di non poterlo trovare – vengono esclusi da quel conteggio. Se, invece, si misura la disoccupazione (o meglio, l’occupazione) secondo un altro criterio – il rapporto tra coloro che lavorano e la popolazione relativa in età di lavoro – si scopre che i reali disoccupati sono calati in modo assai meno significativo. Con questo secondo criterio, quello che viene in evidenza è il numero di persone che lavorano sul totale di coloro che potrebbero lavorare; con il che scompare la finzione della esclusione degli ‘scoraggiati’ e si tiene realmente conto della evoluzione della popolazione (giacché, se i posti di lavoro aumentano ma la popolazione aumenta in modo più rapido, la disoccupazione aumenta anch’essa, in termini relativi).

Il che spiega anche perché la dinamica salariale, alla quale Krugman si riferisce nella frase successiva – è abbastanza piatta. Se la disoccupazione fosse davvero ai limiti inferiori, normalmente si avrebbe un fenomeno di incremento dei salari medi, che invece non c’è.

[4] Ovvero della teoria economica conservatrice, che sopprime ogni rilievo ai fattori che incidono nella domanda (spesa pubblica, maggiori o minori ineguaglianze, livelli salariali, diritti sociali), che di contro costituiscono gli aspetti fondamentali della teoria progressista.

[5] In realtà nel testo il termine è ‘antipopulista’. Ma, come i lettori abituali hanno notato in altre occasioni, nel linguaggio politico americano ‘populista’ non è una espressione che contenga quell’implicito riferimento negativo che ha in italiano. É ‘populista’ chi non ha il timore di sostenere convincimenti diffusi tra la gente, chi non esita dinanzi ad argomenti ‘popolari’ e non ha paura di uscire in tal modo dalla consueta correttezza burocratica. Quindi, anche il senso del termine ‘antipopulista’ va interpretato. Con il termine ‘credo antipopulista’ dei repubblicani, si intende la loro ostilità ad assumere punti di vista ‘popolari’, a sostenere posizioni o istituti verso i quali la gente normalmente nutre simpatia.

Ad esempio: gli americani di ogni orientamento, comprensibilmente, guardano con favore i programmi per la assistenza sanitaria agli anziani. Nel linguaggio americano, questo lo si potrebbe definire un argomento ‘populista’. I gruppi dirigenti conservatori sono invece ostili a quel programma, e questo può essere definito ‘antipopulista’.

La cosa, poi, è complicata dal fatto che i repubblicani non sono certo antipopulisti su tutto. Ad esempio, si potrebbe ritenere che siano in una certa misura ‘populisti’ quando si passa ad argomenti come la libera vendita delle armi, o la diffidenza verso gli immigrati. In quei casi, i repubblicani non hanno remore a parlare ‘alla pancia’ dell’America, o almeno di una certa America.

In conclusione, forse si comprende meglio se si traduce ‘antipopulist’ con ‘antipopolare’.

 

 

 

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