Blog di Krugman

Teoria economica: cos’è andato bene (26 settembre 2015)

 

Sep 26 10:32 am

Economics: What Went Right

Sorry about lack of music. I was traveling while suffering from a cold, and the combination of congestion and pressure changes was really, really unpleasant. OK now, I think.

I’m at EconEd; here are my slides for later today. The theme of my talk is something I’ve emphasized a lot over the past few years: basic macroeconomics has actually worked remarkably well in the post-crisis world, with those of us who took our Hicks seriously calling the big stuff — the effects of monetary and fiscal policy — right, and those who went with their gut getting it all wrong. (Matt O’Brien has been reminding us of Michael Kinsley’s insistence that inflation was coming — and his refusal to conclude from the experience that people like me might, you know, actually know something.)

One thing I do try is to concede that one piece of the conventional story hasn’t worked that well, namely the Phillips curve, where the “clockwise spirals” of previous protracted large output gaps haven’t materialized. Maybe it’s about what happens at very low inflation rates.

What’s notable about the Fed’s urge to raise rates, however, is that Fed officials, including Janet Yellen, are acting as if they have high confidence in their models of inflation dynamics –which is the one thing we really haven’t done well at recently. I really fear that we’re looking at incestuous amplification here.

 

Teoria economica: cos’è andato bene

Spiacente per aver mancato il mio appuntamento musicale [1]. Ero in viaggio con un raffreddore, e la combinazione della congestione e degli sbalzi di pressione è stata proprio spiacevole. Ora va bene, penso.

Sono a EconEd [2], e in questa connessione i miei slides per dopodomani. Il tema della mia conferenza è qualcosa su cui ho molto posto l’accento negli anni passati: la macroeconomia di base ha funzionato davvero egregiamente negli anni successivi alla crisi, con quelli tra noi che avevano preso sul serio gli insegnamenti di Hicks che si sono pronunciati in modo giusto sulle cose importanti – gli effetti della politica monetaria e della finanza pubblica – e quelli che avevano seguito i propri istinti che hanno sbagliato tutto (Matt O’Brien ci ricorda l’insistenza di Michael Kinsley sull’inflazione alle porte – e il suo rifiuto di concludere, da quella esperienza, che le persone come me potevano, guarda un po’, davvero aver dato prova di intendersene un tantino).

Una cosa che provo ad ammettere è che un pezzo della spiegazione convenzionale non ha funzionato bene, precisamente la curva di Phillips, laddove le “spirali che si muovono in senso orario” dei precedenti prolungati ampi differenziali della produzione non si sono manifestate. Forse è quello che accade quando i tassi di inflazione sono molto bassi.

Quello che è notevole, tuttavia, sulla urgenza della Fed di elevare i tassi, è che i dirigenti della Fed, inclusa Janet Yellen, stanno agendo come se avessero una grande fiducia nei loro modelli sulla dinamica dell’inflazione – che è l’unica cosa che in realtà non ci ha prodotto buoni risultati di recente. Ho davvero il timore che siamo in presenza di una eccessiva confidenza degli addetti ai lavori (sui loro modelli) [3].

 

[1] Per ragioni evidenti non traduco il post settimanale del venerdì di Krugman, appassionato anche di un genere di musica americana. Ma confermo che da anni è un appuntamento fisso.

[2] É una conferenza annuale che si tiene a San Antonio, Texas. In particolare ha per oggetto l’economia e il suo insegnamento.

[3] Letteralmente sarebbe “amplificazione incestuosa”. Non so se l’inequivocabile termine ‘incestuoso’ abbia spesso tale significato un po’ paradossalmente generale in lingua inglese. Altre volte ho notato che tale uso – diciamo, la tendenza a sopravvalutare le proprie ragioni, quando esse derivano da valutazioni interessate, ovvero ‘familiari’ – pare essere stata un’invenzione di ambienti militari statunitensi, che usarono il termine “amplificazioni incestuose” per descrivere la tendenza dei quartieri generali americani a prevedere azioni di successo in Iraq, anche quando la realtà era tutt’altro che favorevole.

 

 

 

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