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É tutto un “Bengasi ”, di Paul Krugman New York Times 9 ottobre 2015)

 

It’s All Benghazi

OCT. 9, 2015

Paul Krugman

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So Representative Kevin McCarthy, who was supposed to succeed John Boehner as speaker of the House, won’t be pursuing the job after all. He would have faced a rough ride both winning the post and handling it under the best of circumstances, thanks to the doomsday caucus — the fairly large bloc of Republicans demanding that the party cut off funds to Planned Parenthood, or kill Obamacare, or anyway damage something liberals like, by shutting down the government and forcing it into default.

Still, he finished off his chances by admitting — boasting, actually — that the endless House hearings on Benghazi had nothing to do with national security, that they were all about inflicting political damage on Hillary Clinton.

But we all knew that, didn’t we?

I often wonder about commentators who write about things like those hearings as if there were some real issue involved, who keep going on about the Clinton email controversy as if all these months of scrutiny had produced any evidence of wrongdoing, as opposed to sloppiness.

Surely they have to know better, whether they admit it to themselves or not. And surely the long history of Clinton nonscandals and retracted allegations — remember, there never was anything to the Whitewater accusations — should serve as a cautionary tale.

Somehow, though, politicians who pretend to be concerned about issues, but are obviously just milking those issues for political gain, keep getting a free pass. And it’s not just a Clinton story.

Consider the example of an issue that might seem completely different, one that dominated much of our political discourse just a few years ago: federal debt.

Many prominent politicians made warnings about the dangers posed by U.S. debt, especially debt owned by China, a central part of their political image. Paul Ryan, when he was chairman of the House Budget Committee, portrayed himself as a heroic crusader against deficits. Mitt Romney made denunciations of borrowing from China a centerpiece of his campaign for president. And by and large, commentators treated this posturing as if it were serious. But it wasn’t.

I don’t mean that it was bad economics, although it was. Remember all the dire warnings about what would happen if China stopped buying our debt, or worse yet, starting selling it? Remember how interest rates would soar and America would find itself in crisis?

Well, don’t tell anyone, but the much feared event has happened: China is no longer buying our debt, and is in fact selling tens of billions of dollars in U.S. debt every month as it tries to support its troubled currency. And what has happened is what serious economic analysis always told us would happen: nothing. It was always a false alarm.

Beyond that, however, it was a fake alarm.

If you looked at all closely at the plans and proposals released by politicians who claimed to be deeply worried about deficits, it soon became obvious that they were just pretending to care about fiscal responsibility. People who really worry about government debt don’t propose huge tax cuts for the rich, only partly offset by savage cuts in aid to the poor and middle class, and base all claims of debt reduction on unspecified savings to be announced on some future occasion.

And once fiscal scare tactics started to lose political traction, even the pretense went away. Just look at the people seeking the Republican presidential nomination. One after another, they have been proposing giant tax cuts that would add trillions to the deficit.

Debt, it seems, only matters when there’s a Democrat in the White House. Or more accurately, all the talk about debt wasn’t about fiscal prudence; it was about trying to inflict political damage on President Obama, and it stopped when the tactic lost effectiveness.

Again, none of this should come as news to anyone who follows politics and policy even moderately closely. But I’m not sure that normal people, who have jobs to do and families to raise, are getting the message. After all, who will tell them?

Sometimes I have the impression that many people in the media consider it uncouth to acknowledge, even to themselves, the fraudulence of much political posturing. The done thing, it seems, is to pretend that we’re having real debates about national security or economics even when it’s both obvious and easy to show that nothing of the kind is actually taking place.

But turning our eyes away from political fakery, pretending that we’re having a serious discussion when we aren’t, is itself a kind of fraudulence. Mr. McCarthy inadvertently did the nation a big favor with his ill-advised honesty, but telling the public what’s really going on shouldn’t depend on politicians with loose lips.

Sometimes — all too often — there’s no substance under the shouting. And then we need to tell the truth, and say that it’s all Benghazi.

 

 

 

É tutto un “Bengasi [1]”, di Paul Krugman

New York Times 9 ottobre 2015

Dunque il membro della Camera dei Rappresentanti Kevin McCarthy, che si pensava succedesse a John Boehner come Presidente dell’Assemblea, alla fine non occuperà quel posto. Si sarebbe trovato di fronte ad un percorso turbolento, anche se si fosse aggiudicato l’incarico e l’avesse gestito nel migliore dei modi, grazie al raggruppamento del “giorno del giudizio” – il blocco discretamente ampio dei repubblicani che chiedono che il Partito tagli i fondi a Planned Parenthood [2], oppure che liquidi Obama, o in ogni caso che provochi qualche danno ai liberals, bloccando l’attività del Governo e costringendolo al default.

Tuttavia, egli ha esaurito le sue possibilità per aver ammesso – per la verità, per essersi vantato – che le infinite audizioni della Camera su Bengasi non avevano niente a che fare con la sicurezza nazionale, e che riguardavano per intero il proposito di provocare un danno politico a Hillary Clinton.

Ma lo sapevamo tutti, non è così?

Mi interrogo spesso sui commentatori che scrivono su cose come quelle audizioni come se in esse fossero implicati problemi reali, o che continuano ad andare avanti sulla controversia sulle email della Clinton [3] come se tutti questi mesi di indagini avessero prodotto qualche prova di cattiva condotta, anziché di una banale negligenza.

Certamente non sono così ingenui, che lo riconoscano a se stessi oppure no. E certamente la lunga storia dei “non scandali” dei Clinton e delle accuse ritirate – si ricordi, nelle accuse del Whitewater [4] non c’è mai stato niente – dovrebbe servire come ammonimento.

In qualche modo, però, gli uomini politici che pretendono di essere preoccupati di tali questioni, ma che ovviamente soltanto le strumentalizzano [5] per ottenere un vantaggio politico, continuano ad avere carta libera. E non si tratta soltanto della storia dei Clinton.

Si consideri l’esempio di una questione che potrebbe sembrare completamente diversa, che ha dominato gran parte del nostro dibattito politico proprio negli ultimi anni: il debito federale.

Molti eminenti uomini politici hanno messo in guardia sul pericolo costituito dal debito degli Stati Uniti, in particolare dalle obbligazioni su quel debito di proprietà della Cina, un aspetto centrale della loro raffigurazione della politica. Paul Ryan, quando era Presidente della Commissione Bilancio della Camera, si dipingeva come un eroico crociato nella guerra contro i deficit. Mitt Romney fece delle denunce dell’indebitamento con la Cina una punto centrale della sua campagna per la Presidenza. In generale, i commentatori trattarono questi atteggiamenti come cose serie. Ma non era così.

Non voglio dire che si trattava di concezioni economiche sbagliate, sebbene fossero tali. Si ricordano tutti i terribili ammonimenti su cosa sarebbe accaduto se la Cina avesse smesso di acquistare i nostri titoli sul debito, cominciando a venderli? Si ricorda che i tassi di interesse sarebbero saliti alle stelle e l’America si sarebbe ritrovata in crisi?

Ebbene, nessuno lo dice, ma l’evento tanto temuto è accaduto: la Cina non sta più acquistando il nostro debito, di fatto ogni mese sta vendendo decine di miliardi di dollari di titoli sul debito statunitense nel tentativo di sostenere la sua valuta in difficoltà. Ed è accaduto quello che una seria analisi economica ci ha sempre detto sarebbe accaduto: niente. Era sempre stato un falso allarme.

Oltre a ciò, tuttavia, era un allarme finto.

Se guardate in modo davvero meticoloso ai programmi ed alle proposte messe in circolazione dai politici che pretendevano di essere profondamente preoccupati sul deficit, diviene subito evidente che essi facevano solo finta di curarsi della responsabilità nella spesa pubblica. Le persone che davvero si preoccupano del debito pubblico non propongono grandi sgravi fiscali ai ricchi, soltanto in parte bilanciati da tagli selvaggi nel sostegno ai poveri ed alle classi medie, basando tutte quelle pretese di riduzione del debito su risparmi non specificati da rendere pubblici in qualche occasione futura.

E una volta che le tattiche terrificanti sulla finanza pubblica hanno cominciato a perdere forza di convincimento, anche la messinscena è scomparsa. Guardate soltanto agli individui che sono in lizza per la nomination repubblicana. Uno dopo l’altro, vengono proponendo giganteschi sgravi fiscali che aumenterebbero il deficit di migliaia di miliardi.

Il debito, così sembra, conta soltanto quando c’è un democratico alla Casa Bianca. O, più precisamente, tutti i discorsi sul debito non riguardavano la prudenza nella gestione delle finanze; bensì il tentativo di produrre un danno politico al Presidente Obama, e si sono fermati quando quella tattica ha perso di efficacia.

Lo ripeto: niente di questo dovrebbe fare notizia per chiunque segua in modo moderatamente ravvicinato i temi ed i fatti della politica. Ma io non sono sicuro che le persone normali, che hanno da lavorare e da tirar su le famiglie, stiano ricevendo il messaggio. Dopo tutto, chi li informa?

Molte volte ho l’impressione che molti personaggi dei media considerino la disonestà di gran parte degli atteggiamenti politici come una cosa troppo semplicistica da riconoscere, persino con se stessi. La cosa da fare, a quanto sembra, è fingere che stiamo assistendo a veri dibattiti sulla sicurezza nazionale e sull’economia, anche quando è evidente e facile dimostrare che non sta accadendo niente del genere.

Ma quando si girano gli occhi dagli inganni della politica, facendo finta di assistere ad un dibattito serio che non esiste, quella stessa cosa è una sorta di inganno. Il signor McCarthy ha inavvertitamente reso un gran servizio alla nazione con la propria imprudente onestà, ma dire all’opinione pubblica cosa sta realmente succedendo non dovrebbe dipendere da politici che parlano incautamente [6].

Talvolta, anche troppo spesso, sotto il gran vociare non c’è alcuna sostanza. E in quel caso di deve dire la verità, si deve dire che è tutto un “Bengasi”.

 

[1] Bengasi è per definizione lo “scandalo” che i repubblicani addebitano alla Clinton, che sarebbe rea di aver sottovalutato il terrorismo libico che in quella città assaltò il consolato americano, ammazzando il console medesimo. Che un Ministro degli Esteri possa essere responsabile di difettosa vigilanza perché dei terroristi hanno assalito un ufficio del proprio paese in Africa, sarebbe evidentemente un scemenza in ogni paese normale. In pratica, l’esponente repubblicano Kevin McCarthy, di recente, l’ha ammesso implicitamente.

L’espressione “é tutto un Bengasi”, con la quale l’articolo si chiude, significa, appunto, che “è tutto un pretesto”.

[2] Si può tradurre con “genitorialità pianificata (consapevole)”, ed è una associazione che si occupa di tutti i temi connessi alla educazione sessuale e all’aborto, di recente finita nell’occhio del ciclone per la supposta crudeltà di alcune immagini relative a decisioni di interruzioni della gravidanza. Una inchiesta ha però chiarito che tali immagini erano sostanzialmente artefatte.

[3] Questo è, come si sa, un altro presunto scandalo, che consiste nel fatto che la Clinton abbia talora utilizzato il suo personale sito di posta elettronica quando era Segretaria di Stato degli Stati Uniti. Pur avendo dichiarato la Clinton di averlo usato solo per corrispondenza privata, viene accusata dalla destra nientedimeno che di aver messo a rischio la sicurezza nazionale.

[4] Questo, invece, è un vecchio episodio, relativo a investimenti immobiliari in una società fallita e al presunto interessamento perché non fallisse. Le indagini non portarono ad alcuna incriminazione dei Clinton.

[5] La traduzione letterale sarebbe più bellina: “le mungono”.

[6] “With loose lips”, potremmo tradurlo più letteralmente “con la parlantina sciolta”.

 

 

 

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