OCT. 16, 2015
Hillary Clinton and Bernie Sanders had an argument about financial regulation during Tuesday’s debate — but it wasn’t about whether to crack down on banks. Instead, it was about whose plan was tougher. The contrast with Republicans like Jeb Bush or Marco Rubio, who have pledged to reverse even the moderate financial reforms enacted in 2010, couldn’t be stronger.
For what it’s worth, Mrs. Clinton had the better case. Mr. Sanders has been focused on restoring Glass-Steagall, the rule that separated deposit-taking banks from riskier wheeling and dealing. And repealing Glass-Steagall was indeed a mistake. But it’s not what caused the financial crisis, which arose instead from “shadow banks” like Lehman Brothers, which don’t take deposits but can nonetheless wreak havoc when they fail. Mrs. Clinton has laid out a plan to rein in shadow banks; so far, Mr. Sanders hasn’t.
But is Mrs. Clinton’s promise to take a tough line on the financial industry credible? Or would she, once in the White House, return to the finance-friendly, deregulatory policies of the 1990s?
Well, if Wall Street’s attitude and its political giving are any indication, financiers themselves believe that any Democrat, Mrs. Clinton very much included, would be serious about policing their industry’s excesses. And that’s why they’re doing all they can to elect a Republican.
To understand the politics of financial reform and regulation, we have to start by acknowledging that there was a time when Wall Street and Democrats got on just fine. Robert Rubin of Goldman Sachs became Bill Clinton’s most influential economic official; big banks had plenty of political access; and the industry by and large got what it wanted, including repeal of Glass-Steagall.
This cozy relationship was reflected in campaign contributions, with the securities industry splitting its donations more or less evenly between the parties, and hedge funds actually leaning Democratic.
But then came the financial crisis of 2008, and everything changed.
Many liberals feel that the Obama administration was far too lenient on the financial industry in the aftermath of the crisis. After all, runaway banks brought the economy to its knees, causing millions to lose their jobs, their homes, or both. What’s more, banks themselves were bailed out, at potentially large expense to taxpayers (although in the end the costs weren’t very large). Yet nobody went to jail, and the big banks weren’t broken up.
But the financiers didn’t feel grateful for getting off so lightly. On the contrary, they were and remain consumed with “Obama rage.”
Partly this reflects hurt feelings. By any normal standard, President Obama has been remarkably restrained in his criticisms of Wall Street. But with great wealth comes great pettiness: These are men accustomed to obsequious deference, and they took even mild comments about bad behavior by some of their number as an unforgivable insult.
Furthermore, while the Dodd-Frank financial regulation bill enacted in 2010 was much weaker than many reformers had wanted, it was far from toothless. The Consumer Financial Protection Bureau has proved highly effective, and the “too big to fail” subsidy appears to have mostly gone away. That is, big financial institutions that would probably be bailed out in a future crisis no longer seem to be able to raise funds more cheaply than smaller players, perhaps because “systemically important” institutions are now subject to extra regulations, including the requirement that they set aside more capital.
While this is good news for taxpayers and the economy, financiers bitterly resent any constraints on their ability to gamble with other people’s money, and they are voting with their checkbooks. Financial tycoons loom large among the tiny group of wealthy families that is dominating campaign finance this election cycle — a group that overwhelmingly supports Republicans. Hedge funds used to give the majority of their contributions to Democrats, but since 2010 they have flipped almost totally to the G.O.P.
As I said, this lopsided giving is an indication that Wall Street insiders take Democratic pledges to crack down on bankers’ excesses seriously. And it also means that a victorious Democrat wouldn’t owe much to the financial industry.
If a Democrat does win, does it matter much which one it is? Probably not. Any Democrat is likely to retain the financial reforms of 2010, and seek to stiffen them where possible. But major new reforms will be blocked until and unless Democrats regain control of both houses of Congress, which isn’t likely to happen for a long time.
In other words, while there are some differences in financial policy between Mrs. Clinton and Mr. Sanders, as a practical matter they’re trivial compared with the yawning gulf with Republicans.
I democratici, i repubblicani e i magnati di Wall Street, di Paul Krugman
New York Times 16 ottobre 2015
Hillary Clinton e Bernie Sanders, durante il dibattito di martedì, hanno avuto una discussione sulla regolamentazione del sistema finanziario – ma non verteva sulla opportunità di inasprire i controlli sulle banche. Piuttosto era su chi avesse un programma più duro. Il contrasto con i repubblicani come Jeb Bush o Marco Rubio, che si sono impegnati a fare marcia indietro persino sulle moderate riforme finanziarie approvate nel 2010, non poteva essere più evidente.
Per quello che può interessare, la Clinton aveva gli argomenti migliori. Sanders si è concentrato sul rimettere in vita la Glass-Steagall, la norma che separava le banche che prendono i depositi dagli istituti più rischiosi che fanno speculazioni finanziarie. Ma non fu quello a provocare la crisi finanziaria, che invece venne fuori dalle “banche ombra” come la Lehman Brothers, che non prendevano depositi ma ebbero effetti devastanti al momento del fallimento. La Clinton ha esposto un piano per tenere sotto controllo le banche ombra; sino a questo punto, Sanders non l’ha fatto.
Ma è credibile la promessa della Clinton di assumere una linea dura sul sistema finanziario? Oppure, una volta alla Casa Bianca, ella tornerebbe alla politiche di deregolamentazione favorevoli al sistema finanziario degli anni ’90?
Ebbene, se le tendenze di Wall Street e i relativi contributi elettorali sono di una qualche utilità, gli stessi uomini della finanza credono che qualsiasi democratico, di certo inclusa la Clinton, si comporterebbe seriamente sugli eccessi del settore. E questa è la ragione per la quale stanno facendo tutto quello che possono per eleggere un repubblicano.
Per comprendere la politica della riforma e della regolamentazione del sistema finanziario, si deve partire dal riconoscimento che ci fu un epoca nella quale Wall Street e i democratici stavano proprio bene assieme. Robert Rubin di Goldman Sachs divenne il più influente dirigente del settore economico di Bill Clinton; più in generale il settore ottenne quello che voleva, inclusa l’abrogazione della Glass-Steagall.
Questa calorosa cooperazione era riflessa nei contributi elettorali, con il settore dei titoli che suddivideva le sue donazioni più o meno equamente tra i due partiti, e quello degli hedge fund che per la verità aveva una preferenza per i democratici.
Ma poi arrivò la crisi finanziaria del 2008, e cambiò tutto.
Molti progressisti hanno la sensazione che la Amministrazione Obama sia stata anche troppo indulgente con il settore finanziario, all’indomani della crisi. Dopo tutto, le banche misero l’economia in ginocchio, provocando per milioni di persone la perdita dei posti di lavoro, delle loro case o di entrambe le cose. Più ancora, le banche vennero salvate, con un ampio costo potenziale a carico dei contribuenti (sebbene, alla fine, non fu così grande). Tuttavia, nessuno andò in galera e le grandi banche non fallirono.
Ma gli uomini della finanza non provarono gratitudine per essersela cavata così leggermente. Al contrario, furono e rimangono rosi dalla “collera di Obama”.
Questo in parte riflette i sentimenti feriti. Secondo ogni normale criterio, Obama è stato considerevolmente misurato nelle sue critiche a Wall Street. Ma le grandi ricchezze si portano dietro grandi meschinità: questi sono uomini abituati alla deferenza ossequiosa, e considerano persino leggeri commenti sulla cattiva condotta di un certo numero di loro, come un insulto imperdonabile.
Inoltre, se la regolamentazione finanziaria denominata Dodd-Frank fu molto più debole di quello che molti riformatori avrebbero voluto, essa fu tutt’altro che inefficace. L’Ufficio per la Tutela Finanziaria del Consumatore si è dimostrato assai efficace, e il sussidio finanziario dipendente dalla logica del “troppo grande per fallire” sembra in gran parte uscito di scena. Ovvero, i grandi istituti finanziari che probabilmente sarebbero salvati in una futura crisi, non sembrano più capaci di raccogliere finanziamenti in modo più conveniente dei protagonisti più piccoli, forse perché gli istituti “sistemicamente importanti” sono oggi soggetti a regolamentazioni aggiuntive, inclusa la richiesta che mettano da parte maggiori capitali.
Mentre queste sono buone notizie per i contribuenti e per l’economia, gli uomini della finanza si risentono aspramente per ogni limitazione alla loro possibilità di rischiare con i soldi della gente, e votano con i loro libretti degli assegni. I magnati della finanza sono preponderanti nel gruppo minuscolo di ricche famiglie che sta dominando le donazioni di questo ciclo elettorale – un gruppo che sostiene i repubblicani in modo schiacciante. Gli hedge fund erano soliti dare la maggioranza dei loro contributi ai democratici, ma dal 2010 si sono spostati quasi totalmente sul Partito Repubblicano.
Come ho detto, questi contributi asimmetrici sono una indicazione che gli addetti ai lavori di Wall Street prendono sul serio gli impegni dei democratici di inasprire i controlli sugli eccessi dei banchieri. E questo significa che un democratico vittorioso non sarebbe molto in debito verso il settore finanziario.
Se vincesse un democratico, conterebbe molto il suo nome? Probabilmente no. É probabile che ogni democratico mantenga le riforme finanziarie del 2010, e cerchi di irrigidirle dove possibile. Ma nuove importanti riforme saranno bloccate finché e se i democratici non riguadagneranno il controllo di entrambi i rami del Congresso, la qualcosa non è probabile che avvenga per un lungo tempo.
In altre parole, se ci sono alcune differenze sulla politica finanziaria tra la Clinton e Sanders, da un punti di vista pratico esse sono poca cosa rispetto dell’abisso spalancato dei repubblicani.
By mm
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