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Keynes arriva in Canada, di Paul Krugman (New York Times 23 ottobre 2015)

 

Keynes Comes to Canada

OCT. 23, 2015

Paul Krugman

z 906

Canada has a reputation for dullness. Back in the 1980s The New Republic famously declared “Worthwhile Canadian Initiative” the world’s most boring headline. Yet when it comes to economic policy the reputation is undeserved: Canada has surprisingly often been the place where the future happens first.

And it’s happening again. On Monday, Canadian voters swept the ruling Conservatives out of power, delivering a stunning victory to the center-left Liberals. And while there are many interesting things about the Liberal platform, what strikes me most is its clear rejection of the deficit-obsessed austerity orthodoxy that has dominated political discourse across the Western world. The Liberals ran on a frankly, openly Keynesian vision, and won big.

Before I get into the implications, let’s talk about Canada’s long history of quiet economic unorthodoxy, especially on currency policy.

In the 1950s, everyone considered it essential to peg their currency to the U.S. dollar, at whatever cost — everyone except Canada, which let its own dollar fluctuate, and discovered that a floating exchange rate actually worked pretty well. Later, when European nations were scrambling to join the euro — amid predictions that any country refusing to adopt the common currency would pay a severe price — Canada showed that it’s feasible to keep your own money despite close economic ties to a giant neighbor.

Oh, and Canadians were less caught up than the rest of us in the ideology of bank deregulation. As a result, Canada was spared the worst of the 2008 financial crisis.

Which brings us to the issue of deficits and public investment. Here’s what the Liberal Party of Canada platform had to say on the subject: “Interest rates are at historic lows, our current infrastructure is aging rapidly, and our economy is stuck in neutral. Now is the time to invest.”

Does that sound reasonable? It should, because it is. We’re living in a world awash with savings that the private sector doesn’t want to invest, and is eager to lend to governments at very low interest rates. It’s obviously a good idea to borrow at those low, low rates, putting those excess savings, not to mention the workers unemployed due to weak demand, to use building things that will improve our future.

Strange to say, however, that hasn’t been happening. Across the advanced world, the modest-size fiscal stimulus programs introduced in 2009 have long since faded away. Since 2010 public investment has been falling as a share of G.D.P. in both Europe and the United States, and it’s now well below pre-crisis levels. Why?

The answer is that in 2010 elite opinion somehow coalesced around the view that deficits, not high unemployment and weak growth, were the great problem facing policy makers. There was never any evidence for this view; after all, those low interest rates showed that markets weren’t at all worried about debt. But never mind — it was what all the important people were saying, and all that you read in much of the financial press. And few politicians were willing to challenge this orthodoxy.

Most notably, those who should have stood up for public spending suffered a striking failure of nerve. Britain’s Labour Party, in particular, essentially accepted Conservative claims that the nation was facing a fiscal crisis, and was reduced to arguing at the margin about what form austerity should take. Even President Obama temporarily began echoing Republican rhetoric about the need to tighten the government’s belt.

And having bought into deficit panic, center-left parties found themselves in an extremely weak position. Austerity rhetoric comes naturally to right-wing politicians, who are always arguing that we can’t afford to help the poor and unlucky (although somehow we’re able to afford tax cuts for the rich). Center-left politicians who endorse austerity, however, find themselves reduced to arguing that they won’t inflict quite as much pain. It’s a losing proposition, politically as well as economically.

Now come Justin Trudeau’s Liberals, who are finally willing to say what sensible economists (even at places like the International Monetary Fund) have been saying all along. And they weren’t punished politically — on the contrary, they won a stunning victory.

So will the Liberals put their platform into practice? They should. Interest rates remain incredibly low: Canada can borrow for 10 years at only 1½ percent, and its 30-year inflation-protected bonds yield less than 1 percent. Furthermore, Canada is probably facing an extended period of weak private demand, thanks to low oil prices and the likely deflation of a housing bubble.

Let’s hope, then, that Mr. Trudeau stays with the program. He has an opportunity to show the world what truly responsible fiscal policy looks like.

 

 

Keynes arriva in Canada, di Paul Krugman

New York Times 23 ottobre 2015

Il Canada ha una reputazione di apatia. É noto che nei passati anni ’80 The New Repubblic proclamò come titolo più noioso del mondo “Meritoria iniziativa canadese” [1]. Tuttavia, quando si arriva all’economia, quella reputazione è immeritata: sorprendentemente il Canada è stato spesso il luogo dove il futuro si è manifestato in anticipo.

E sta avvenendo di nuovo. Lunedì gli elettori canadesi hanno sostituito al potere i conservatori, attribuendo una splendida vittoria ai progressisti del centro-sinistra. E mentre ci sono varie cose interessanti sulla piattaforma progressista, quella che mi colpisce maggiormente è il chiaro rigetto dell’ortodossia dell’austerità e dell’ossessione del deficit che ha dominato il dibattito politico in tutto il mondo occidentale. I progressisti sono andati avanti sulla base di una visione chiaramente ed apertamente keynesiana, ed hanno vinto alla grande.

Prima di passare alle implicazioni, fatemi dire qualcosa sulla lunga storia della tranquilla non-ortodossia economica del Canada, specialmente in materia di politica valutaria.

Negli anni ’50 tutti consideravano essenziale ancorare ad ogni costo la loro valuta al dollaro statunitense – tutti ad eccezione del Canada, che lasciò fluttuare il suo proprio dollaro, e scoprì che un tasso di cambio fluttuante in effetti funzionava abbastanza bene. In seguito, quando le nazioni europee facevano di tutto per aderire all’euro – in mezzo a pronostici secondo i quali ogni paese che avesse rifiutato di adottare la valuta comune avrebbe pagato un prezzo severo – il Canada mostrò che era praticabile tenersi la propria moneta, nonostante gli stretti legami economici con il gigante vicino.

Inoltre, i canadesi furono meno coinvolti di tutti noi nell’ideologia della deregolamentazione delle banche. Come risultato, al Canada furono risparmiati gli aspetti peggiori della crisi finanziaria del 2008.

Il che ci porta al tema dei deficit e degli investimenti pubblici. Ecco cosa dice la piattaforma del Liberal Party del Canada a proposito: “I tassi di interesse sono ai minimi storici, le nostre attuali infrastrutture stanno invecchiando rapidamente e la nostra economia è bloccata in folle. Il tempo di investire è adesso.”

Vi sembra ragionevole? Dovrebbe, perché è così. Stiamo vivendo in un mondo inondato da risparmi che il settore privato non intende investire, ed è ansioso di prestare ai Governi a tassi di interesse molto bassi. É ovviamente una buona idea indebitarsi a quei tassi di interesse bassissimi, mettendo in funzione quei risparmi in eccesso, per non dire i lavoratori disoccupato a seguito della debole domanda, per costruire cose che miglioreranno il nostro futuro.

Strano a dirsi, tuttavia, non è quello che sta accadendo. In tutto il mondo avanzato, i programmi di sostegno della finanza pubblica di modeste dimensioni introdotti nel 2009, da molto tempo si sono affievoliti. A partire dal 2010, gli investimenti pubblici come percentuale del PIL sono calati sia in Europa che negli Stati Uniti, ed ora sono assai al di sotto dei livelli precedenti alla crisi. Perché?

La risposta è che nel 2010 l’opinione delle classi dirigenti in qualche modo si saldò attorno al punto di vista per il quale i deficit, non l’alta disoccupazione e la debole crescita, erano il grande problema che stava dinanzi alle autorità politiche. Per tale punto di vista non è mai esistito neanche un indizio; dopo tutto, quei bassi tassi di interesse hanno dimostrato che i mercati non erano affatto preoccupati del debito. Ma non era importante – quello era quanto le persone importanti stavano dicendo, ed era tutto quello che si leggeva su gran parte della stampa finanziaria. E pochi uomini politici furono disponibili a sfidare questa ortodossia.

Ancora più importante, coloro che avrebbero dovuto prendere posizione a favore della spesa pubblica patirono un sorprendente crollo emotivo. In particolare, il Labour Party in Inghilterra sostanzialmente accettò gli argomenti dei conservatori, secondo i quali la nazione era dinanzi ad una crisi della finanza pubblica, e si ridusse a discutere marginalmente della forma che l’austerità avrebbe dovuto assumere. Persino il Presidente Obama per qualche tempo cominciò ad echeggiare la retorica repubblicana sul bisogno di stringere le cinghie del Governo.

Ed avendo preso per buono il panico sul deficit, i partiti di centro-sinistra si ritrovarono in una posizione estremamente debole. La retorica dell’austerità veniva naturale agli uomini politici della destra, che da sempre sostengono che non possiamo permetterci di aiutare la gente povera e sfortunata (sebbene in qualche modo siamo capaci di permetterci sgravi fiscali per i ricchi). Gli uomini politici di centro-sinistra che sostengono l’austerità, tuttavia, finiscono col ridursi a sostenere che essi non provocheranno altrettante sofferenze. Si tratta di un concetto perdente, sia in termini politici che economici.

Ora sono in arrivo progressisti come Justin Trudeau, che sono finalmente disponibili a dire quello che economisti ragionevoli (persino in posti come il Fondo Monetario Internazionale) stanno dicendo dall’inizio. E non sono stati puniti, in termini politici – al contrario, hanno ottenuto uno splendido successo.

Dunque, i progressisti metteranno in pratica la loro piattaforma? Dovrebbero. I tassi di interesse restano incredibilmente bassi: il Canada può indebitarsi a dieci anni all’1 e mezzo per cento, ed i suoi titoli trentennali protetti dall’inflazione rendono meno dell’1 per cento. Inoltre, probabilmente il Canada sta fronteggiando un periodo prolungato di debole domanda privata, grazie ai bassi prezzi del petrolio ed alla probabile deflazione della bolla immobiliare.

Speriamo, dunque, che il signor Trudeau si attenga al programma. Egli ha una opportunità di mostrare al mondo intera a cosa assomigli una politica della finanza pubblica realmente responsabile.

 

[1] Tale era il titolo di un articolo che apparse sul New York Times il 10 aprile del 1986, a cura di Flora Lewis, che descriveva la richiesta canadese di una zona di libero scambio tra il Canada e gli Stati Uniti. La gara per il “titolo più noioso del mondo” venne ideata da Michael Kinsley, editore del giornale neo-progressista New Repubblic, che sfidò i suoi lettori ad indicare un titolo più banale di quello del giornale americano, affermando: “Fateci addormentare e vincerete!”.

 

 

 

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