OCT 2, 2015
NEW YORK – As negotiators and ministers from the United States and 11 other Pacific Rim countries meet in Atlanta in an effort to finalize the details of the sweeping new Trans-Pacific Partnership (TPP), some sober analysis is warranted. The biggest regional trade and investment agreement in history is not what it seems.
You will hear much about the importance of the TPP for “free trade.” The reality is that this is an agreement to manage its members’ trade and investment relations – and to do so on behalf of each country’s most powerful business lobbies. Make no mistake: It is evident from the main outstanding issues, over which negotiators are still haggling, that the TPP is not about “free” trade.
New Zealand has threatened to walk away from the agreement over the way Canada and the US manage trade in dairy products. Australia is not happy with how the US and Mexico manage trade in sugar. And the US is not happy with how Japan manages trade in rice. These industries are backed by significant voting blocs in their respective countries. And they represent just the tip of the iceberg in terms of how the TPP would advance an agenda that actually runs counter to free trade.
For starters, consider what the agreement would do to expand intellectual property rights for big pharmaceutical companies, as we learned from leaked versions of the negotiating text. Economic research clearly shows the argument that such intellectual property rights promote research to be weak at best. In fact, there is evidence to the contrary: When the Supreme Court invalidated Myriad’s patent on the BRCA gene, it led to a burst of innovation that resulted in better tests at lower costs. Indeed, provisions in the TPP would restrain open competition and raise prices for consumers in the US and around the world – anathema to free trade.
The TPP would manage trade in pharmaceuticals through a variety of seemingly arcane rule changes on issues such as “patent linkage,” “data exclusivity,” and “biologics.” The upshot is that pharmaceutical companies would effectively be allowed to extend – sometimes almost indefinitely – their monopolies on patented medicines, keep cheaper generics off the market, and block “biosimilar” competitors from introducing new medicines for years. That is how the TPP will manage trade for the pharmaceutical industry if the US gets its way.
Similarly, consider how the US hopes to use the TPP to manage trade for the tobacco industry. For decades, US-based tobacco companies have used foreign investor adjudication mechanisms created by agreements like the TPP to fight regulations intended to curb the public-health scourge of smoking. Under these investor-state dispute settlement (ISDS) systems, foreign investors gain new rights to sue national governments in binding private arbitration for regulations they see as diminishing the expected profitability of their investments.
International corporate interests tout ISDS as necessary to protect property rights where the rule of law and credible courts are lacking. But that argument is nonsense. The US is seeking the same mechanism in a similar mega-deal with the European Union, the Transatlantic Trade and Investment Partnership, even though there is little question about the quality of Europe’s legal and judicial systems.
To be sure, investors – wherever they call home – deserve protection from expropriation or discriminatory regulations. But ISDS goes much further: The obligation to compensate investors for losses of expected profits can and has been applied even where rules are nondiscriminatory and profits are made from causing public harm.
Philip Morris International is currently prosecuting such cases against Australia and Uruguay (not a TPP partner) for requiring cigarettes to carry warning labels. Canada, under threat of a similar suit, backed down from introducing a similarly effective warning label a few years back.
Given the veil of secrecy surrounding the TPP negotiations, it is not clear whether tobacco will be excluded from some aspects of ISDS. Either way, the broader issue remains: Such provisions make it hard for governments to conduct their basic functions – protecting their citizens’ health and safety, ensuring economic stability, and safeguarding the environment.
Imagine what would have happened if these provisions had been in place when the lethal effects of asbestos were discovered. Rather than shutting down manufacturers and forcing them to compensate those who had been harmed, under ISDS, governments would have had to pay the manufacturers not to kill their citizens. Taxpayers would have been hit twice – first to pay for the health damage caused by asbestos, and then to compensate manufacturers for their lost profits when the government stepped in to regulate a dangerous product.
It should surprise no one that America’s international agreements produce managed rather than free trade. That is what happens when the policymaking process is closed to non-business stakeholders – not to mention the people’s elected representatives in Congress.
La farsa del libero commercio del Trans-Pacifico
di Joseph E. Stiglitz e Adam S. Hersh
NEW YORK – Nel mentre i negoziatori ed i ministri degli Stati Uniti e degli altri 11 paesi affacciati sul Pacifico si incontrano ad Atlanta nello sforzo di definire i dettagli del radicalmente nuovo accordo di Cooperazione del Trans-Pacifico (TPP), si giustifica una analisi di una qualche sobrietà. Il più grande accordo sul commercio regionale e sugli investimenti della storia non è quello che sembra.
Sentirete molto parlare dell’importanza del TPP ai fini del “libero commercio”. La realtà è che questo è un accordo per gestire le relazioni commerciali e degli investimenti dei suoi membri – e per farlo nell’interesse delle più potenti lobby affaristiche di ciascun paese. Non si commettano errori: è evidente a partire dai principali temi in sospeso, sui quali i negoziatori stanno ancora contrattando, che il TPP non riguarda il “libero” commercio.
La Nuova Zelanda ha minacciato di uscire dall’intesa a causa del modo in cui il Canada e gli Stati Uniti gestiscono il commercio dei prodotti caseari. L’Australia non è contenta del modo in cui gli Stati Uniti e il Messico gestiscono il commercio dello zucchero. E gli Stati Uniti non sono contenti di come il Giappone gestisce il commercio del riso. Nei rispettivi paesi, queste industrie sono sostenute da significativi blocchi elettorali. E rappresentano soltanto la punta dell’iceberg a proposito del modo in cui il TPP farebbe progredire una agenda che effettivamente procede nel senso opposto del libero commercio.
Per cominciare, si consideri come l’accordo espanderebbe i diritti di proprietà intellettuali per le grandi società farmaceutiche, per come l’abbiamo appreso dalle versioni che sono state fatte trapelare del testo che si sta negoziando. Gli studi economici dimostrano chiaramente che l’argomento secondo il quale tali diritti di proprietà intellettuale promuoverebbero la ricerca sia assolutamente fragile. Di fatto, è dimostrato il contrario: quando la Corte Suprema ha invalidato il brevetto della Myriad sul gene BRCA [1], essa ha provocato l’esplosione di una innovazione che era comprovata dai migliori test ai costi più bassi. In effetti, le previsioni del TPP restringerebbero l’aperta competizione e alzerebbero i prezzi per i consumatori negli Stati Uniti e in tutto il mondo – il che per il libero mercato è un anatema.
Il TPP organizzerebbe il commercio in prodotti farmaceutici attraverso una varietà di modifiche ai regolamenti apparentemente misteriose, su temi quali la “connessione di brevetto”, “l’esclusività dei dati” e i “prodotti su base biologica”. Il risultato è che alle società farmaceutiche sarebbe sostanzialmente concesso di estendere i loro monopoli sulle medicine brevettate – talvolta quasi indefinitamente – di mettere i più economici farmaci generici fuori dal mercato e di impedire ai competitori “biosimili” di introdurre per anni nuove medicine. Questo è il modo in cui il TPP organizzerà il commercio per l’industria farmaceutica, se sarà accolta la posizione degli Stati Uniti.
In modo simile, si consideri come gli Stati Uniti sperano di organizzare il commercio per l’industria del tabacco. Per decenni, le società del tabacco con sede negli Stati Uniti hanno utilizzato i meccanismi di aggiudicazione di investitori stranieri, creati da accordi come il TPP, per combattere i regolamenti tendenti a tenere a freno la piaga del fumo per la salute pubblica. Sulla base di questi sistemi di regolamentazione dei contenziosi degli stati degli investitori (in sigla, ISDS), gli investitori stranieri guadagnano nuovi diritti nel chiamare in causa i Governi nazionali in arbitrati obbligatori di natura privatistica, nel caso di regolamenti che essi giudichino diminuire i profitti attesi dei loro investimenti.
Gli interessi delle società internazionali sollecitano gli ISDS come necessari per proteggere i diritti di proprietà, allorché difettino regole di legge e tribunali credibili. Gli Stati Uniti stanno cercando un meccanismo analogo per un simile mega-accordo con l’Unione Europea, anche se c’è un piccolo problema a proposito della qualità dei sistemi legali e giudiziari dell’Europa.
É certo che gli investitori – dovunque decidano la loro residenza – meritano protezione dalle espropriazioni o dai regolamenti discriminatori. Ma lo ISDS va molto oltre; l’obbligo a compensare gli investitori per le perdite nei profitti attesi può essere applicato ed è stato applicato persino laddove le regole non sono discriminatorie e si realizzano profitti a danno della salute pubblica.
La Philip Morris International è attualmente impegnata in procedimenti giudiziari del genere contro l’Australia e l’Uruguay (che non è un partner del TPP), per essere stata richiesta di esporre etichette di messa in guardia (dai rischi del fumo). Il Canada, dinanzi alla minaccia di una simile azione legale, pochi anni orsono tornò indietro nella introduzione di etichette di avvertimento analogamente efficaci.
Dato l’alone di segretezza che circonda i negoziati del TPP, non è chiaro se il tabacco sarà escluso da alcuni aspetti dello ISDS. In ogni modo, resta il problema più generale: tali previsioni rendono difficile per i Governi esercitare le loro funzioni fondamentali – proteggere la salute e la sicurezza dei loro cittadini, assicurare la stabilità economica e salvaguardare l’ambiente.
Si immagini cosa sarebbe accaduto se queste previsioni fossero state in funzione quando vennero scoperti gli effetti letali dell’asbesto. Piuttosto che chiudere gli stabilimenti e costringere al risarcimento di coloro che erano stati danneggiati, con lo ISDS, i Governi avrebbero dovuto pagare le imprese per non uccidere i loro cittadini. I contribuenti sarebbero stati colpiti due volte – la prima nel pagare per i danni alla salute provocati dall’asbesto, e poi per compensare le imprese per i loro profitti perduti, allorché i Governi fossero intervenuti per regolamentare un prodotto pericoloso.
Non dovrebbe sorprendere nessuno che gli accordi internazionali dell’America producano un commercio amministrato, anziché un commercio libero. É quello che accade quando il processo decisionale è impedito a coloro che non sono portatori di interessi delle imprese – per non dire ai rappresentanti del popolo eletti nei parlamenti.
[1] Myriad Genetics, Inc. è una società Americana di diagnostica molecolare con sede in Salt Lake City, Utah. La Myriad utilizza un certo numero di tecnologie di sua proprietà che consentono ai dottori ed ai pazienti di comprendere le basi genetiche delle malattie umane e il ruolo che i geni giocano nell’avvio, nella progressione e nel trattamento delle malattie. Le sue scoperte sono state oggetto di un complicato contenzioso giuridico tra la società proprietaria del presunto brevetto ed i pazienti, che ha interessato la Nuova Zelanda, l’Australia e, infine, la Corte Suprema degli USA. In conclusione, nel giugno del 2013, la Corte Suprema statunitense ha stabilito che i geni umani non sono brevettabili. (Vedi Oggiscienza del 10 luglio 2013)
By mm
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