OCT. 19, 2015
No doubt surprising many of the people watching the Democratic presidential debate, Bernie Sanders cited Denmark as a role model for how to help working people. Hillary Clinton demurred slightly, declaring that “we are not Denmark,” but agreed that Denmark is an inspiring example.
Such an exchange would have been inconceivable among Republicans, who don’t seem able to talk about European welfare states without adding the word “collapsing.” Basically, on Planet G.O.P. all of Europe is just a bigger version of Greece. But how great are the Danes, really?
The answer is that the Danes get a lot of things right, and in so doing refute just about everything U.S. conservatives say about economics. And we can also learn a lot from the things Denmark has gotten wrong.
Denmark maintains a welfare state — a set of government programs designed to provide economic security — that is beyond the wildest dreams of American liberals. Denmark provides universal health care; college education is free, and students receive a stipend; day care is heavily subsidized. Overall, working-age families receive more than three times as much aid, as a share of G.D.P., as their U.S. counterparts.
To pay for these programs, Denmark collects a lot of taxes. The top income tax rate is 60.3 percent; there’s also a 25 percent national sales tax. Overall, Denmark’s tax take is almost half of national income, compared with 25 percent in the United States.
Describe these policies to any American conservative, and he would predict ruin. Surely those generous benefits must destroy the incentive to work, while those high taxes drive job creators into hiding or exile.
Strange to say, however, Denmark doesn’t look like a set from “Mad Max.” On the contrary, it’s a prosperous nation that does quite well on job creation. In fact, adults in their prime working years are substantially more likely to be employed in Denmark than they are in America. Labor productivity in Denmark is roughly the same as it is here, although G.D.P. per capita is lower, mainly because the Danes take a lot more vacation.
Nor are the Danes melancholy: Denmark ranks at or near the top on international comparisons of “life satisfaction.”
It’s hard to imagine a better refutation of anti-tax, anti-government economic doctrine, which insists that a system like Denmark’s would be completely unworkable.
But would Denmark’s model be impossible to reproduce in other countries? Consider France, another country that is much bigger and more diverse than Denmark, but also maintains a highly generous welfare state paid for with high taxes. You might not know this from the extremely bad press France gets, but the French, too, roughly match U.S. productivity, and are more likely than Americans to be employed during their prime working years. Taxes and benefits just aren’t the job killers right-wing legend asserts.
Going back to Denmark, is everything copacetic in Copenhagen? Actually, no. Denmark is very rich, but its economy has taken a hit in recent years, because its recovery from the global financial crisis has been slow and incomplete. In fact, Denmark’s 5.5 percent decline in real G.D.P. per capita since 2007 is comparable to the declines in debt-crisis countries like Portugal or Spain, even though Denmark has never lost the confidence of investors.
What explains this poor recent performance? The answer, mainly, is bad monetary and fiscal policy. Denmark hasn’t adopted the euro, but it manages its currency as if it had, which means that it has shared the consequences of monetary mistakes like the European Central Bank’s 2011 interest rate hike. And while the country has faced no market pressure to slash spending — Denmark can borrow long-term at an interest rate of only 0.84 percent — it has adopted fiscal austerity anyway.
The result is a sharp contrast with neighboring Sweden, which doesn’t shadow the euro (although it has made some mistakes on its own), hasn’t done much austerity, and has seen real G.D.P. per capita rise while Denmark’s falls.
But Denmark’s monetary and fiscal errors don’t say anything about the sustainability of a strong welfare state. In fact, people who denounce things like universal health coverage and subsidized child care tend also to be people who demand higher interest rates and spending cuts in a depressed economy. (Remember all the talk about “debasing” the dollar?) That is, U.S. conservatives actually approve of some Danish policies — but only the ones that have proved to be badly misguided.
So yes, we can learn a lot from Denmark, both its successes and its failures. And let me say that it was both a pleasure and a relief to hear people who might become president talk seriously about how we can learn from the experience of other countries, as opposed to just chanting “U.S.A.! U.S.A.! U.S.A.!”
Qualcosa non è marcio in Danimarca, di Paul Krugman
New York Times 19 ottobre 2015
Di sicuro sorprendendo molte persone che assistevano al dibattito presidenziale dei democratici, Bernie Sanders ha citato la Danimarca come modello guida per gli aiuti alla gente che lavora. Hillary Clinton ha leggermente obiettato, dichiarando che “noi non siamo la Danimarca”, ma ha concordato che quel paese è un esempio che fornisce ispirazioni.
Un tale scambio sarebbe stato inconcepibile tra i repubblicani, che non sembrano capaci di parlare degli Stati assistenziali dell’Europa senza aggiungere la parola “collasso”. Fondamentalmente, nel pianeta repubblicano l’intera Europa è una versione solo un po’ più grande della Grecia. Ma quanto sono davvero importanti i danesi?
La risposta è che i danesi fanno molte cose nel modo giusto, e così facendo confutano praticamente tutto quello che i conservatori degli Stati Uniti sostengono sull’economia. Per giunta possiamo imparare molto anche dalle cose che i danesi hanno fatto in modo sbagliato.
La Danimarca mantiene uno stato assistenziale – un complesso di programmi pubblici rivolti a fornire sicurezza economica – che va oltre i sogni più temerari dei progressisti americani. Fornisce l’assistenza sanitaria universale; l’istruzione universitaria è gratuita e gli studenti ricevono borse di studio; gli asili nido godono di cospicui sussidi. In generale, le famiglie in età lavorativa ricevono più di tre volte gli aiuti delle omologhe famiglie statunitensi, come quota del PIL.
Per finanziare questi programmi, la Danimarca riscuote molte tasse. L’aliquota fiscale sui redditi più alti è il 60,3 per cento; c’è anche una tassazione del 25 per cento sulle vendite all’interno del paese. Le entrate fiscali della Danimarca sono quasi la metà del reddito nazionale, a confronto del 25 per cento negli Stati Uniti.
Illustrate queste politiche ad un qualsiasi conservatore americano, e lui pronosticherà la rovina. Questi generosi sussidi distruggeranno certamente l’incentivo a lavorare, mentre quelle tasse elevate indurranno i creatori di posti di lavoro a nascondersi o ad andare in esilio.
Strano a dirsi, tuttavia, ma la Danimarca non sembra un paese tratto dalle serie di “Mad Max” [1]. Al contrario, è una nazione prospera che ha risultati abbastanza buoni nella creazione di posti di lavoro. Di fatto, gli adulti nella loro prima età lavorativa è assai più probabile che siano occupati in Danimarca che non in America. La produttività del lavoro in Danimarca è grosso modo la stessa che da noi, sebbene in PIL procapite sia più basso, principalmente perché i danesi hanno più vacanze.
I Danesi non sono neppure depressi: la Danimarca si colloca in testa o quasi ai confronti internazionali come “appagamento vitale”.
É difficile immaginare una smentita migliore alla dottrina economica che è contraria alle tasse ed alla pubblica amministrazione, secondo la quale una sistema come quello danese sarebbe completamente incapace di funzionare.
Ma sarebbe impossibile riprodurre in altri paesi il modello della Danimarca? Si consideri la Francia, un altro paese molto più grande e assai diverso dalla Danimarca, ma che mantiene anch’esso un generoso stato assistenziale finanziato con alte tasse. Potreste non saperlo, data la pessima stampa di cui gode la Francia, ma anche i francesi grosso modo eguagliano la produttività degli Stati Uniti, ed hanno più probabilità degli americani di essere occupati nei loro primi anni lavorativi. Le tasse e i sussidi non sono proprio quell’attentato ai posti di lavoro che asseriscono le leggende della destra.
Tornando alla Danimarca, va tutto perfettamente a Copenaghen? Per la verità, no. La Danimarca è molto ricca, ma la sua economia ha preso un colpo negli anni recenti, perché la sua ripresa dalla crisi finanziaria globale è stata lenta e incompleta. Di fatto, il declino del 5,5 per cento del PIL procapite reale della Danimarca è paragonabile ad altri declini di paesi in crisi di debito come il Portogallo e la Spagna, anche se la Danimarca non ha mai perso la fiducia degli investitori.
Come si spiegano le sue recenti modeste prestazioni? Principalmente, la risposta è: una politica monetaria e della finanza pubblica negativa. La Danimarca non ha adottato l’euro, ma gestisce la sua valuta come se l’avesse fatto, la qualcosa comporta che ha condiviso le conseguenze degli errori monetari, come quello del rialzo del tassi da parte della Banca Centrale Europea nel 2011. E mentre il paese non ha fronteggiato una spinta del mercato ad abbattere la spesa pubblica [2] – la Danimarca può indebitarsi ad un tasso di interesse di lungo termine dello 0,84 per cento – ha comunque fatto propria una politica di austerità della finanza pubblica.
Il risultato è uno stridente contrasto con la vicina Svezia, che non segue l’euro come un’ombra (sebbene abbia fatto alcuni errori per suo conto) , non ha messo in atto una grande austerità ed ha visto il PIL reale crescere mentre quello della Danimarca è caduto.
Ma gli errori monetari e finanziari della Danimarca non ci dicono niente sulla sostenibilità di un forte stato assistenziale. Di fatto, le persone che denunciano cose come l’assistenza sanitaria universalistica e i sussidi all’assistenza ai bambini tendono anche ad essere le persone che chiedono tagli di interesse più alti e tagli alla spesa pubblica in una economia depressa (ricordate tutto il gran parlare sul “togliere valore” al dollaro?). Ovvero, i conservatori statunitensi effettivamente approvano alcune politiche danesi – ma solo quelle che si sono dimostrate seriamente sbagliate.
Dunque sì, possiamo imparare molto dalla Danimarca, sia dai suoi successi che dai suoi sbagli. E fatemi dire che è stato sia un piacere che un conforto ascoltare persone che potrebbero diventare presidente, parlare seriamente di quello che possiamo apprendere dall’esperienza di altri paesi, anziché solo scandire lo slogan: “U.S.A.! U.S.A.! U.S.A!”
[1] La serie di film australiani (“Mad Max Interceptor” e “Mad Max: fury road”) che descrivono un paese da incubo, ormai agli sgoccioli come risorse energetiche e in preda a bande di psicotici, per quanto ancora abitato da piccole comunità di gente pacifica, con poche forze di polizia che pattugliano le strade.
[2] Ovvero, non ha avuto il fenomeno dell’impennarsi dello ‘spread’ che hanno avuto i paesi dell’Europa meridionale.
By mm
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