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Aver paura della paura stessa, di Paul Krugman (New York Times 16 novembre 2015)

 

Fearing Fear Itself

NOV. 16, 2015

Paul Krugman

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Like millions of people, I’ve been obsessively following the news from Paris, putting aside other things to focus on the horror. It’s the natural human reaction. But let’s be clear: it’s also the reaction the terrorists want. And that’s something not everyone seems to understand.

Take, for example, Jeb Bush’s declaration that “this is an organized attempt to destroy Western civilization.” No, it isn’t. It’s an organized attempt to sow panic, which isn’t at all the same thing. And remarks like that, which blur that distinction and make terrorists seem more powerful than they are, just help the jihadists’ cause.

Think, for a moment, about what France is and what it represents. It has its problems — what nation doesn’t? — but it’s a robust democracy with a deep well of popular legitimacy. Its defense budget is small compared with ours, but it nonetheless retains a powerful military, and has the resources to make that military much stronger if it chooses. (France’s economy is around 20 times the size of Syria’s.) France is not going to be conquered by ISIS, now or ever. Destroy Western civilization? Not a chance.So what was Friday’s attack about? Killing random people in restaurants and at concerts is a strategy that reflects its perpetrators’ fundamental weakness. It isn’t going to establish a caliphate in Paris. What it can do, however, is inspire fear — which is why we call it terrorism, and shouldn’t dignify it with the name of war.

The point is not to minimize the horror. It is, instead, to emphasize that the biggest danger terrorism poses to our society comes not from the direct harm inflicted, but from the wrong-headed responses it can inspire. And it’s crucial to realize that there are multiple ways the response can go wrong.

It would certainly be a very bad thing if France or other democracies responded to terrorism with appeasement — if, for example, the French were to withdraw from the international effort against ISIS in the vain hope that jihadists would leave them alone. And I won’t say that there are no would-be appeasers out there; there are indeed some people determined to believe that Western imperialism is the root of all evil, and all would be well if we stopped meddling.

But real-world examples of mainstream politicians, let alone governments, knuckling under to terrorist demands are hard to find. Most accusations of appeasement in America seem to be aimed at liberals who don’t use what conservatives consider tough enough language.

A much bigger risk, in practice, is that the targets of terrorism will try to achieve perfect security by eliminating every conceivable threat — a response that inevitably makes things worse, because it’s a big, complicated world, and even superpowers can’t set everything right. On 9/11 Donald Rumsfeld told his aides: “Sweep it up. Related and not,” and immediately suggested using the attack as an excuse to invade Iraq. The result was a disastrous war that actually empowered terrorists, and set the stage for the rise of ISIS.

And let’s be clear: this wasn’t just a matter of bad judgment. Yes, Virginia, people can and do exploit terrorism for political gain, including using it to justify what they imagine will be a splendid, politically beneficial little war.

Oh, and whatever people like Ted Cruz may imagine, ending our reluctance to kill innocent civilians wouldn’t remove the limits to American power. It would, however, do wonders for terrorist recruitment.

Finally, terrorism is just one of many dangers in the world, and shouldn’t be allowed to divert our attention from other issues. Sorry, conservatives: when President Obama describes climate change as the greatest threat we face, he’s exactly right. Terrorism can’t and won’t destroy our civilization, but global warming could and might.

So what can we say about how to respond to terrorism? Before the atrocities in Paris, the West’s general response involved a mix of policing, precaution, and military action. All involved difficult tradeoffs: surveillance versus privacy, protection versus freedom of movement, denying terrorists safe havens versus the costs and dangers of waging war abroad. And it was always obvious that sometimes a terrorist attack would slip through.

Paris may have changed that calculus a bit, especially when it comes to Europe’s handling of refugees, an agonizing issue that has now gotten even more fraught. And there will have to be a post-mortem on why such an elaborate plot wasn’t spotted. But do you remember all the pronouncements that 9/11 would change everything? Well, it didn’t — and neither will this atrocity.

Again, the goal of terrorists is to inspire terror, because that’s all they’re capable of. And the most important thing our societies can do in response is to refuse to give in to fear.

 

 

 

Aver paura della paura stessa, di Paul Krugman

New York Times 16 novembre 2015

Come milioni di persone, sono rimasto angosciosamente a seguire le notizie da Parigi, mettendo da parte tutto il resto per concentrarmi su quell’orrore. É la naturale reazione umana. Ma siamo chiari: è anche la reazione che vogliono i terroristi. Ed è qualcosa che sembra che non tutti comprendano.

Si prenda, per esempio, la dichiarazione di Jeb Bush secondo la quale “questo è un tentativo organizzato per distruggere la civiltà occidentale”. No, non è così. É un tentativo organizzato di seminare il caos, il che non è affatto la stessa cosa. E commenti come quello, che offuscano quella distinzione e fanno sembrare i terroristi più potenti di quello che sono, semplicemente aiutano la causa dei jihadisti.

Si pensi per un momento che cosa è la Francia e cosa rappresenta. Essa ha i suoi problemi – quale nazione non li ha? – ma è una democrazia robusta, con una legittimazione popolare che ha origini profonde. Il suo budget della difesa è piccolo a confronto dei nostri, ma ciononostante possiede forze armate potenti ed ha le risorse, se lo vuole, per rendere quelle forze armate molto più potenti (l’economia della Francia è circa venti volte quella della Siria). La Francia non è destinata ad essere conquistata dall’ISIS, né ora né mai. Distruggere la civiltà occidentale? Non è tra le cose possibili.

Dunque cosa riguarda l’attacco di venerdì? Ammazzare casualmente persone nei ristoranti ed ai concerti è una strategia che riflette fondamentalmente la debolezza dei suoi autori. Quell’attacco non è destinato a fondare un califfato a Parigi. Tuttavia, quello che può ottenere è ispirare paura – e quella è la ragione per la quale lo chiamiamo terrorismo, per la quale ragione non si dovrebbe elevarlo al rango di una guerra.

Non si tratta di minimizzare l’orrore. Si tratta, piuttosto, di mettere enfasi sul fatto che il pericolo più grande che il terrorismo costituisce per la nostra società non deriva dal danno diretto che viene provocato, ma dalle risposte sbagliate cui può indurre. Ed è fondamentale comprendere che ci sono molti modi nei quali la risposta può essere sbagliata.

Sarebbe certamente una cosa negativa se la Francia o altre democrazie rispondessero al terrorismo con la remissività – se, ad esempio, i francesi si ritirassero dall’impegno internazionale contro l’ISIS nella vana speranza che i jihadisti li lascino in pace. E non si può dire che non ci siano individui disposti alla tolleranza in circolazione; in effetti c’è qualcuno che arriva a credere che l’imperialismo occidentale sia la causa di tutti i mali, e che sarebbe meglio se cessassimo di intrometterci.

Ma gli esempi dal mondo reale, a parte i Governi, di uomini politici comuni disposti a sottomettersi alle richieste dei terroristi, sono difficili da trovare. In America, gran parte delle accuse di atteggiamenti remissivi sembrano rivolte ai progressisti che non utilizzano quello che i conservatori considerano un linguaggio duro a sufficienza.

Un rischio molto più grande, in pratica, è che i bersagli del terrorismo cerchino di ottenere la completa sicurezza eliminando alla radice ogni minaccia – una risposta che inevitabilmente rende le cose peggiori, perché il mondo è grande e complicato e persino le superpotenze non possono mette a posto le cose nel modo giusto. L’undici settembre Donald Rumsfeld disse ai suoi collaboratori: “Spazziamolo via. Che ci sia o meno alcuna relazione”, e indicò immediatamente di utilizzare l’attacco come una scusa per l’invasione dell’Iraq. Il risultato fu una guerra disastrosa che effettivamente rafforzò i terroristi, predisponendo lo scenario di una crescita dell’ISIS.

E siamo chiari: non si trattò soltanto di una faccenda di giudizi sbagliati. Lo dico per le anime belle [1], le persone possono sfruttare il terrorismo per le proprie convenienze politiche, ed effettivamente lo fanno, compreso l’utilizzarlo allo scopo di condurre quella che si immaginano possa essere una piccola, splendida guerra, politicamente vantaggiosa.

Inoltre, qualsiasi cosa possano immaginare individui come Ted Cruz [2], cessare di essere riluttanti nell’ammazzare civili innocenti non rimuoverebbe i limiti del potere americano. Tuttavia, farebbe miracoli nel reclutamento dei terroristi.

Infine, il terrorismo è solo uno dei tanti pericoli al mondo, e non si dovrebbe consentire di distogliere la nostra attenzione dalle altre questioni. Mi dispiace per i conservatori: quando il Presidente Obama descrive il cambiamento del clima come la più grande minaccia che abbiamo dinanzi, ha esattamente ragione. Il terrorismo non può distruggere e non distruggerà la nostra civiltà, ma il riscaldamento globale potrebbe riuscirci.

Cosa possiamo dunque dire sulla risposta al terrorismo? Prima delle atrocità di Parigi, la risposta generale dell’Occidente si è risolta in una combinazione di azioni di vigilanza, di precauzioni e di iniziativa militare. Tutto riguardava difficili compromessi: la sorveglianza nei confronti della privacy, la protezione nei confronti della libertà di movimento, l’impedire ai terroristi rifugi sicuri a confronto dei costi e dei pericoli del dichiarare guerre all’estero. Ed è sempre stato chiaro che qualche volta un attacco terrorista sarebbe passato tra quelle maglie.

Parigi può aver modificato in qualche misura quei calcoli, specialmente se si considera la gestione del tema dei rifugiati da parte dell’Europa, un tema angoscioso che ora è diventato anche più inquietante. E ci dovrà pur essere una valutazione a cose fatte sul perché un tale elaborato complotto non è stato individuato. Ma vi ricordate dei pronunciamenti secondo i quali l’11 settembre avrebbe cambiato tutto? Ebbene, non l’ha cambiato – e neanche lo cambierà questa atrocità.

Diciamolo ancora: l’obbiettivo dei terroristi è provocare terrore, perché è l’unica cosa che sono capaci di fare. E la cosa più importante che le nostre società possono fare in risposta, è rifiutarsi di cedere alla paura.

 

 

 

[1] Traduco così il “Sì, Virginia ….” del testo inglese, che è una frase che ha una lunga storia nel giornalismo americano. La storia, che riassumiamo qua sotto da Wikipedia, in realtà ruota attorno alla domanda di una bambina, che chiese ad un giornale della esistenza effettiva di Babbo Natale. Qua viene utilizzata come sinonimo di una domanda ingenua, infantile.

Nel 1897 Virginia O’Hanlon, una bambina di otto anni, chiese al padre se Babbo Natale esistesse davvero oppure no (come le avevano detto altri bambini). Il padre le suggerì di scrivere al quotidiano conservatore New York Sun. Virginia scrisse questa lettera:

« Caro direttore, ho otto anni. Alcuni dei miei piccoli amici dicono che Babbo Natale non esiste. Mio papà mi ha detto: “Se lo vedi scritto sul Sun, sarà vero”. La prego di dirmi la verità: esiste Babbo Natale? Virginia O’Hanlon ».

Il direttore del giornale Edward P. Mitchell affidò la risposta a Francis Pharcellus Church, veterano del giornalismo. Questi era stato un corrispondente durante la Guerra di secessione americana, in cui aveva avuto modo di vedere grandi sofferenze e soprattutto la mancanza di speranza e di fede diffusa in gran parte della società americana.

Il pezzo di Church è entrato nella storia del giornalismo americano e scrivere “Sì, Virginia ….” può diventare anche un modo per dire agli ingenui che le guerre che prendono a pretesto fatti di terrore, spesso sono semplicemente decise nell’interesse di chi le dichiara. Dopo più di cento anni dal quesito della dolce bimbetta americana, la questione dell’esistenza di Babbo Natale si è un po’ persa per strada.

[2] La connessione è con il blog del candidato repubblicano Ted Cruz che, in modo simile a varie prese di posizione di questi giorni della destra europea, insiste sulla necessità di concepire una guerra non contro i terroristi ma contro l’Islam radicale, di promuovere azioni belli che senza restrizioni di sorta e di bloccare i rifugiati tra i quali possono nascondersi combattenti dell’ISIS.

 

 

 

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