NOV. 2, 2015
Last week The Wall Street Journal published an op-ed article by Carly Fiorina titled “Hillary Clinton Flunks Economics,” ridiculing Mrs. Clinton’s assertions that the U.S. economy does better under Democrats. “America,” declared Ms. Fiorina, “needs someone in the White House who actually knows how the economy works.”
Well, we can agree on that much.
Partisan positioning on the economy is actually quite strange. Republicans talk about economic growth all the time. They attack Democrats for “job-killing” government regulations, they promise great things if elected, they predicate their tax plans on the assumption that growth will soar and raise revenues. Democrats are far more cautious. Yet Mrs. Clinton is completely right about the record: historically, the economy has indeed done better under Democrats.
This contrast raises two big questions. First, why has the economy performed better under Democrats? Second, given that record, why are Republicans so much more inclined than Democrats to boast about their ability to deliver growth?
Before I get to those questions, let’s talk about the facts.
The arithmetic on partisan differences is actually stunning. Last year the economists Alan Blinder and Mark Watson circulated a paper comparing economic performance under Democratic and Republican presidents since 1947. Under Democrats, the economy grew, on average, 4.35 percent per year; under Republicans, only 2.54 percent. Over the whole period, the economy was in recession for 49 quarters; Democrats held the White House during only eight of those quarters.
But isn’t the story different for the Obama years? Not as much as you think. Yes, the recovery from the Great Recession of 2007-2009 has been sluggish. Even so, the Obama record compares favorably on a number of indicators with that of George W. Bush. In particular, despite all the talk about job-killing policies, private-sector employment is eight million higher than it was when Barack Obama took office, twice the job gains achieved under his predecessor before the recession struck.
Why is the Democratic record so much better? The short answer is that we don’t know.
Mr. Blinder and Mr. Watson look at a variety of possible explanations, and find all of them wanting. There’s no indication that the Democratic advantage can be explained by better monetary and fiscal policies. Democrats seem, on average, to have had better luck than Republicans on oil prices and technological progress. Overall, however, the pattern remains mysterious. Certainly no Democratic candidate would be justified in promising dramatically higher growth if elected. And in fact, Democrats never do.
Republicans, however, always make such claims: Every candidate with a real chance of getting the G.O.P. nomination is claiming that his tax plan would produce a huge growth surge — a claim that has no basis in historical experience. Why?
Part of the answer is epistemic closure: modern conservatives generally live in a bubble into which inconvenient facts can’t penetrate. One constantly hears assertions that Ronald Reagan achieved economic and job growth never matched before or since, when the reality is that Bill Clinton surpassed him on both measures. Right-wing news media trumpet the economic disappointments of the Obama years, while hardly ever mentioning the good news. So the myth of conservative economic superiority goes unchallenged.
Beyond that, however, Republicans need to promise economic miracles as a way to sell policies that overwhelmingly favor the donor class.
It would be nice, for variety’s sake, if even one major G.O.P. candidate would come out against big tax cuts for the 1 percent. But none have, and all of the major players have called for cuts that would subtract trillions from revenue. To make up for this lost revenue, it would be necessary to make sharp cuts in big programs — that is, in Social Security and/or Medicare.
But Americans overwhelmingly believe that the wealthy pay less than their fair share of taxes, and even Republicans are closely divided on the issue. And the public wants to see Social Security expanded, not cut. So how can a politician sell the tax-cut agenda? The answer is, by promising those miracles, by insisting that tax cuts on high incomes would both pay for themselves and produce wonderful economic gains.
Hence the asymmetry between the parties. Democrats can afford to be cautious in their economic promises precisely because their policies can be sold on their merits. Republicans must sell an essentially unpopular agenda by confidently declaring that they have the ultimate recipe for prosperity — and hope that nobody points out their historically poor track record.
And if someone does point to that record, you know what they’ll do: Start yelling about media bias.
I divari faziosi della crescita, di Paul Krugman
New York Times 2 novembre 2015
La scorsa settimana il Wall Street Journal ha pubblicato un articolo di Carly Fiorina sulla pagina dei commenti [1] dal titolo “Hillary Clinton porta l’economia al fallimento”, che ironizza sulle affermazioni della Clinton secondo le quali l’economia statunitense va meglio con i democratici. “L’America”, ha dichiarato la signora Fiorina, “ha bisogno di qualcuno alla Casa Bianca che conosca davvero come funziona l’economia”.
Ebbene, su questo possiamo davvero convenire.
Gli atteggiamenti di parte sull’economia sono effettivamente piuttosto bizzarri. I repubblicani parlano in ogni momento di crescita economica. Attaccano i democratici per regolamenti che “distruggono posti di lavoro”, promettono grandi cose se verranno eletti, predicano i loro programmi fiscali sull’assunto che la crescita andrà alle stelle e farà crescere le entrate. I democratici sono assai più cauti. Eppure la signora Clinton ha completamente ragione su quel primato: storicamente è vero che l’economia sia andata meglio con i democratici.
Questo contrasto solleva due domande. La prima, perché l’economia ha avuto prestazioni migliori con i democratici? La seconda, dato quel primato, perché i repubblicani sono così più propensi dei democratici a vantarsi della loro capacità di promuovere la crescita?
Prima di venire a questi due quesiti, consentitemi di esporre i fatti.
L’aritmetica sulle differenze tra le due parti è effettivamente stupefacente. L’anno scorso gli economisti Alan Blinder e Mark Watson hanno messo in circolazione uno studio che confronta le prestazioni economiche sotto i presidenti democratici e repubblicani, a partire dal 1947. Sotto i democratici, l’economia è cresciuta, in media, del 4,35 per cento all’anno; sotto i repubblicani, soltanto del 2,54 per cento. Durante l’intero periodo, l’economia è stata in recessione per 49 trimestri; i democratici avevano la Presidenza soltanto in otto di quei trimestri.
Ma negli anni di Obama la storia non è cambiata? Non tanto quanto potreste pensare. É vero, la ripresa dalla recessione del 2007-2009 è stata fiacca. Anche così, l’andamento con Obama mostra un certo numero di indicatori favorevoli, rispetto a quello con George W. Bush. In particolare, nonostante il gran parlare sulle politiche che distruggono i posti di lavoro, l’occupazione nel settore privato è più elevata di otto milioni di persone da quando Obama entrò in carica, il doppio degli incrementi di posti di lavoro realizzati sotto il suo predecessore prima che scoppiasse la recessione [2].
Perché la prestazione con i democratici è talmente migliore? La risposta in breve è che non lo sappiamo.
Blinder e Watson esaminano una varietà di possibili spiegazioni, e le trovano tutte carenti. Non c’è alcuna spiegazione che il vantaggio dei democratici possa essere spiegato da migliori politiche monetarie e della finanza pubblica. Sembra che, in media, i democratici abbiano maggiore fortuna dei repubblicani in termini di prezzi del petrolio e di progresso tecnologico. Certamente, non sarebbe giustificato se un candidato democratico promettesse, una volta eletto, una crescita in modo spettacolare superiore. E di fatto, i democratici non lo fanno mai.
I repubblicani, tuttavia, avanzano in continuazione tali pretese: ogni candidato con reali possibilità di ottenere la nomination dal Partito Repubblicano sta sostenendo che il suo programma fiscale produrrebbe un vasto rialzo della crescita – una pretesa che non ha alcuna base nella esperienza storica. Perché?
La risposta in parte consiste in una chiusura intellettuale: i conservatori contemporanei vivono in una bolla nella quale i fatti sconvenienti non hanno possibilità di ingresso. Si sentono di continuo affermazioni secondo le quali Ronald Reagan ottenne una crescita economica e di posti di lavoro mai eguagliata né prima né dopo, quando la realtà è che Bill Clinton lo superò per entrambi gli aspetti. I notiziari sui media della destra danno costante rilievo alle delusioni economiche negli anni di Obama, non riportano mai le buone notizie. In tal modo il mito della superiorità economica dei conservatori procede indisturbato.
Oltre a ciò, tuttavia, i repubblicani hanno bisogno di promettere miracoli economici, come un modo per rivendere politiche che avvantaggiano in modo schiacciante la categoria di coloro che offrono i contributi elettorali.
Sarebbe bello, nell’interesse della varietà, se anche un solo candidato del Partito Repubblicano prendesse posizione contro gli sgravi fiscali favore dell’1 per cento dei più ricchi. Ma non lo fa nessuno, e tutti i concorrenti importanti si sono pronunciati per sgravi che sottrarrebbero migliaia di miliardi dalle entrate. Per rimediare a queste entrate perdute, sarebbe necessario operare grandi tagli sui programmi fondamentali – ovvero, sulla Previdenza Sociale e/o su Medicare.
Ma gli americani in grande maggioranza credono che i ricchi paghino di tasse meno delle loro giusta quota, e su quel tema persino i repubblicani sono intimamente divisi. E l’opinione pubblica non vuole tagli alla Previdenza Sociale, semmai la vuol vedere crescere. Coma fa, dunque, un uomo politico a rivendere un programma di sgravi fiscali? La risposta è: promettendo quei miracoli, insistendo che gli sgravi fiscali sui redditi alti si ripagherebbero da soli e produrrebbero fantastici vantaggi economici.
Da qua l’asimmetria tra i due schieramenti. I democratici possono permettersi di essere cauti nelle loro promesse economiche, perché le loro politiche possono essere sostenute per i loro meriti intrinseci. I repubblicani debbono far circolare un programma essenzialmente non popolare dichiarando fiduciosamente di avere la ricetta definitiva per la prosperità – e sperando che nessuno indichi le loro prestazioni storicamente modeste.
E se qualcuno poi fa riferimento a tali prestazioni, sapete cosa faranno: cominceranno a strepitare sulla faziosità dei media.
[1] “Op-ed page” è la pagina che sta di fronte a quella con gli editoriali della redazione di un giornale (“opposite editorials”), che dunque dovrebbe contenere articoli di regola firmati e non scritti da componenti della redazione, ma da persone esterne. Ma non mi pare che la regola sia così rigida (Krugman e Brooks, ad esempio, non scrivono sulla pagina degli editoriali, ma sono in fondo componenti della redazione, o almeno hanno una rubrica fissa).
[2] In un post di questi giorni, Krugman ha presentato questo diagramma sui due andamenti – con Obama e con Bush fratello – nella evoluzione dei posti di lavoro nel settore privato (i numeri in basso indicano i mesi trascorsi a partire dalla data di entrata in funzione dei due Presidenti):
By mm
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