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Illusioni flessibili (dal blog di Krugman, 2 novembre 2015)

 

Nov 2 10:36 am

Flexible Illusions

Wolfgang Munchau declares that the euro was a mistake, and pinpoints a key illusion. Advocates

knew that, to withstand the rigours of a fixed-exchange system that resembles nothing so much as the gold standard, countries would have to adjust to economic shocks through shifts in wages and prices — a course, they believed, that the euro’s members would be forced to take.

That is, they believed that reforms could create enough flexibility to mainly neutralize Milton Friedman’s warning that in the face of negative shocks, countries with fixed exchange rates would suffer large costs:

If the external changes are deep-seated and persistent, the unemployment produces steady downward pressure on prices and wages, and the adjustment will not have been completed until the deflation has run its sorry course.

But I never believed this would work, and based my skepticism on some real evidence. During the runup to Maastricht, there were a number of studies of the US — a currency union that functions reasonably well. Was that because the US, with its weak unions and competitive labor markets, had more wage and price flexibility than other nations? Not according to Blanchard and Katz, who found that wages played hardly any role in US regional adjustments to shocks, that it was all about labor mobility. So the idea that Europe would find itself able to achieve a kind of flexibility found nowhere in the world — not even the brutal, markets-rule American economy — was just implausible.

What none of us thought about at the time was the further problem of the interaction of deflation and debt — the way attempts to adjust through falling wages would worsen debt problems. But even given what we knew a quarter-century ago, the problems with the euro were obvious.

 

Illusioni flessibili

Wolfgang Munchau afferma che l’euro è stato uno sbaglio, e puntualizza una illusione fondamentale. I sostenitori

“sapevano che, per resistere ai rigori di una sistema fisso di cambi che non assomiglia a nient’altro che al gold-standard, i paesi avrebbero dovuto adeguarsi agli shock economici attraverso spostamenti nei salari e nei prezzi – un indirizzo, essi credevano, che i membri dell’euro sarebbero stati costretti ad assumere”.

Ovvero, essi credevano che le riforme avrebbero determinato sufficiente flessibilità da neutralizzare in gran parte l’ammonimento di Milton Friedman, secondo il quale di fronte a shock negativi, i paesi con tassi di cambio fissi avrebbero sofferto grandi costi:

“Se i mutamenti esterni sono profondamente radicati e persistenti, la disoccupazione produce una regolare spinta verso il basso di salari e prezzi, e la correzione non sarà stata completata finché la deflazione non avrà fatto il suo spiacevole corso”.

Ma io non ho mai creduto che questo avrebbe funzionato, e basavo il mio scetticismo su qualche prova reale. Durante il periodo precedente a Maastricht, ci furono un certo numero di studi sugli Stati Uniti – un’unione valutaria che funziona ragionevolmente bene. Dipendeva dal fatto che gli Stati Uniti, con i loro deboli sindacati e i mercati del lavoro competitivi, avevano maggiore flessibilità nei salari e nei prezzi delle altre nazioni? Non secondo Blanchard e Katz, che scoprirono che i salari non giocavano quasi alcun ruolo nelle correzioni regionali statunitensi agli shock, che dipendevano tutte dalla mobilità del lavoro. Dunque l’idea che l’Europa si sarebbe ritrovata capace di ottenere un genere di flessibilità che non si era trovata altrove nel mondo – neanche nell’economia brutale e dominata dai mercati dell’America – era soltanto non plausibile.

Quello a cui nessuno di noi pensò fu l’ulteriore problema della interazione di deflazione e debito – il modo in cui i tentativi di correzione attraverso la caduta dei salari avrebbe peggiorato i problemi del debito. Ma anche dato quello che sapevano un quarto di secolo fa, i problemi con l’euro erano evidenti.

 

 

 

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