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La bramosia repubblicana per l’oro, di Paul Krugman (New York Times 13 novembre 2015)

 

Republicans’ Lust for Gold

NOV. 13, 2015

Paul Krugman

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It’s not too hard to understand why everyone seeking the Republican presidential nomination is proposing huge tax cuts for the rich. Just follow the money: Candidates in the G.O.P. primary draw the bulk of their financial support from a few dozen extremely wealthy families. Furthermore, decades of indoctrination have made an essentially religious faith in the virtues of high-end tax cuts — a faith impervious to evidence — a central part of Republican identity.

But what we saw in Tuesday’s presidential debate was something relatively new on the policy front: an increasingly unified Republican demand for hard-money policies, even in a depressed economy. Ted Cruz demands a return to the gold standard. Jeb Bush says he isn’t sure about that, but is open to the idea. Marco Rubio wants the Fed to focus solely on price stability, and stop worrying about unemployment. Donald Trump and Ben Carson see a pro-Obama conspiracy behind the Federal Reserve’s low-interest rate policy.

And let’s not forget that Paul Ryan, the new speaker of the House, has spent years berating the Fed for policies that, he insisted, would “debase” the dollar and lead to high inflation. Oh, and he has flirted with Carson/Trump-style conspiracy theories, too, suggesting that the Fed’s efforts since the financial crisis were not about trying to boost the economy but instead aimed at “bailing out fiscal policy,” that is, letting President Obama get away with deficit spending.

As I said, this hard-money orthodoxy is relatively new. Republicans used to base their monetary recommendations on the ideas of Milton Friedman, who opposed Keynesian policies to fight depressions, but only because he thought easy money could do the job better, and who called on Japan to adopt the same strategy of “quantitative easing” that today’s Republicans denounce.

George W. Bush’s economists praised the “aggressive monetary policy” that, they declared, had helped the economy recover from the 2001 recession. And Mr. Bush appointed Ben Bernanke, who used to consider himself a Republican, to lead the Fed.

But now it’s hard money all the way. Republicans have turned their back on Friedman, whether they know it or not, and draw their monetary doctrine from “Austrian” economists like Friedrich Hayek — whose ideas Friedman described as an “atrophied and rigid caricature” — when they aren’t turning directly to Ayn Rand.

This turn wasn’t driven by experience. The new Republican monetary orthodoxy has already failed the reality test with flying colors: that “debased” dollar has risen 30 percent against other major currencies since 2011, while inflation has stayed low. In fact, the failure of conservative monetary predictions has been so abject that news reports, always looking for “balance,” tend to whitewash the record by pretending that Republican Fed critics didn’t say what they said. But years of predictive failure haven’t stopped the orthodoxy from tightening its grip on the party. What’s going on?

My main answer would be that the Friedman compromise — trash-talking government activism in general, but asserting that monetary policy is different — has proved politically unsustainable. You can’t, in the long run, keep telling your base that government bureaucrats are invariably incompetent, evil or both, then say that the Fed, which is, when all is said and done, basically a government agency run by bureaucrats, should be left free to print money as it sees fit.

Politicians who lump it all together, who warn darkly that the Fed is inflating away your hard-earned wealth and enabling giveaways to Those People, are always going to have the advantage in intraparty struggles.

You might think that the overwhelming empirical evidence against the hard-money view would count for something. But you’d only think that if you were paying no attention to any other policy debate.

Leading political figures insist that climate change is a gigantic hoax perpetrated by a vast international scientific conspiracy. Do you really think that their party will be persuaded to change its economic views by inconvenient macroeconomic data?

The interesting question is what will happen to monetary policy if a Republican wins next year’s election. As best as I can tell, most economists believe that it’s all talk, that once in the White House someone like Mr. Rubio or even Mr. Cruz would return to Bush-style monetary pragmatism. Financial markets seem to believe the same. At any rate, there’s no sign in current asset prices that investors see a significant chance of the catastrophe that would follow a return to gold.

But I wouldn’t be so sure. True, a new president who looked at the evidence and listened to the experts wouldn’t go down that path. But evidence and expertise have a well-known liberal bias.

 

 

 

La bramosia repubblicana per l’oro, di Paul Krugman

New York Times 13 novembre 2015

Non è così difficile comprendere perché chiunque cerca di ottenere la nomination presidenziale repubblicana stia proponendo grandi sgravi fiscali per i ricchi. Basta seguire i soldi: i candidati alle primarie nel Partito Repubblicano attingono il loro sostegno finanziario da poche dozzine di famiglie estremamente benestanti. Inoltre, decenni di indottrinamento hanno reso una fede sostanzialmente mistica nelle virtù di quegli sgravi di lusso – una fede impermeabile alle prove – una componente centrale dell’identità repubblicana.

Ma quello a cui abbiamo assistito nel dibattito presidenziale di martedì è stato qualcosa di relativamente nuovo sul fronte della politica: una richiesta repubblicana sempre più generalizzata per politiche di restrizione monetaria, pure in una economia depressa. Ted Cruz chiede un ritorno al gold standard. Jeb Bush dice di non esserne sicuro, ma è aperto a quell’idea. Marco Rubio vuole che la Fed si concentri soltanto sulla stabilità dei prezzi e la smetta di preoccuparsi della disoccupazione. Donald Trump e Ben Carson vedono, dietro la politica del basso tasso di interesse della Fed, una cospirazione a favore di Obama.

E non si dimentiche che Paul Ryan, il nuovo speaker della Camera, ha speso anni a rimproverare la Fed per politiche che, come diceva in continuazione, “erodevano” il dollaro e conducevano ad una alta inflazione. Inoltre, egli ha anche simpatizzato con le teorie della cospirazione di Carson e Trump, suggerendo che gli sforzi della Fed a partire dalla crisi finanziaria non consistevano nel cercare di incoraggiare l’economia, ma piuttosto erano rivolti al “salvataggio della politica della finanza pubblica”, ovvero a permettere che il Presidente Obama se la passasse liscia con la spesa in deficit.

Come ho detto, questa ortodossia della moneta forte è relativamente recente. I repubblicani erano soliti basare le loro raccomandazioni monetarie sulle idee di Milton Friedman, che era ostile alle politiche keynesiane per combattere la depressione, ma soltanto perché pensava che la moneta facile poteva servire meglio allo scopo, e che si appellò al Giappone perché adottasse la stessa strategia della ‘facilitazione quantitativa’ che oggi i repubblicani denunciano.

Gli economisti di George W. Bush lodarono la “politica monetaria aggressiva” che, dichiararono, aveva contribuito alla ripresa dell’economia dalla recessione del 2001. E Bush nominò Ben Bernanke, che all’epoca si considerava un repubblicano, alla guida della Fed.

Ma adesso, moneta forte in tutti i modi. I repubblicani hanno voltato le spalle a Friedman, che ne siano o no consapevoli, e attingono la loro dottrina monetaria dagli economisti ‘austriaci’ come Friedrich Hayek – le cui idee venivano descritte da Friedman come una “caricatura atrofizzata e rigida” – quando non si orientano direttamente su Ayn Rand.

Questa svolta non è stata guidata dall’esperienza. La nuova ortodossia monetaria repubblicana ha già sbattuto contro i test della realtà a vele spiegate: quel dollaro “eroso”, a partire dal 2011, è salito del 30 per cento rispetto alle altre importanti valute, mentre l’inflazione è rimasta bassa. Di fatto, il fallimento delle previsioni monetarie dei conservatori è stato così miserevole che i resoconti giornalistici, sempre alla ricerca dell’“equilibrio”, tendono a coprire la prestazione con la pretesa che i critici repubblicani della Fed non abbiano mai detto quello che hanno detto. Ma anni di fallimenti nelle previsioni non hanno impedito che l’ortodossia avesse una presa stringente sul partito. Cosa sta accadendo?

La mia risposta principale è che il compromesso di Friedman – il parlar male dell’attivismo del Governo in generale, ma fare un’eccezione per la politica monetaria – si è dimostrato politicamente insostenibile. Non si può, a lungo tempo, continuare a dire alla propria base che i burocrati del Governo sono invariabilmente incompetenti o malefici, o entrambe le cose, e poi dire che la Fed, che in fin dei conti è fondamentalmente una agenzia del Governo amministrata da burocrati, dovrebbe essere lasciata libera di stampar moneta finché lo considera opportuno.

I politici che mettono tutto nel mucchio, che ammoniscono oscuramente che la Fed sta inflazionando la vostra sudata ricchezza e permettono i regali a Quella Gente [1], sono sempre destinati a prevalere nelle battaglie interne al partito.

Potreste pensare che la schiacciante prova empirica che contraddice il punto di vista della moneta forte sia destinata a contare qualcosa. Ma lo potete pensare solo se non prestate attenzione a nessun dibattito politico.

Le figure politiche di spicco sono quelle che pretendono che il cambiamento climatico sia una gigantesca bufala perpetrata da una vasta cospirazione scientifica internazionale. Pensate davvero che il loro partito sarà persuaso a modificare le sue opinioni economiche da qualche statistica macroeconomia sconveniente?

La domanda interessante è che cosa accadrà alla politica monetaria se un repubblicano vincerà le elezioni il prossimo anno. La cosa migliore che posso supporre è che, una volta alla Casa Bianca, individui come il signor Rubio e persino come il signor Cruz tornerebbero ad un pragmatismo monetario sul modello di Bush. La maggioranza degli economisti crede che siano tutte chiacchiere. I mercati finanziari sembrano credere la stessa cosa. In ogni caso, non c’è alcun segno negli attuali prezzi degli asset che gli investitori intravedano una significativa possibilità della catastrofe che seguirebbe ad un ritorno all’oro.

Ma non ne sarei così sicuro. É vero, un nuovo Presidente che guardasse ai fatti ed ascoltasse gli esperti non si avventurerebbe su quella strada. Ma i fatti e l’esperienza hanno una ben nota inclinazione progressista.

 

[1] Maiuscolo, perché è la consueta definizione che i reazionarii danno degli assistiti, dei poveri e in particolare delle persone di colore.

 

 

 

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