Nov 3 1:23 pm
One of the intellectually horrifying things about the response to economic crisis was the way many economists, some of them famous, reinvented old fallacies in the belief that they were saying something profound. In particular, quite a few economists seemed utterly unaware that Say’s Law – the proposition that supply creates its own demand, that shortfalls in aggregate demand were impossible – had been refuted three generations ago.
In fact, not only doesn’t supply create its own demand; experience since 2008 suggests, if anything, that the reverse is largely true – specifically, that inadequate demand destroys supply. Economies with persistently weak demand seem to suffer large declines in potential as well as actual output.
The suggestion that this might be true goes back a long ways, to work by Olivier Blanchard and Larry Summers in the 1980s. But events since the crisis provide a lot more evidence, just as they do on fiscal multipliers. A new paper by Fatas and Summers looks at the impact of fiscal austerity, not on actual output, but on estimates of potential output; it finds large negative effects.
The implications are shocking: austerity looks like even more of a catastrophe than the conventional analysis indicates. In fact, it’s a pretty good bet that imposing austerity in economies that can’t offset its effects with monetary policy inflicts pain without any gain whatsoever: by reducing the future size of the economy and hence the tax base, austerity actually worsens the fiscal outlook.
The Very Serious People have a lot to answer for. But of course they never will.
La domanda crea la sua propria offerta
Una delle cose intellettualmente terrificanti sulla risposta alla crisi economica è stato il modo in cui molti economisti, alcuni dei quali famosi, hanno reinventato vecchi errori, nella convinzione di affermare qualcosa di profondo. In particolare, un buon numero di economisti sono sembrati completamente inconsapevoli che la Legge di Say – il concetto secondo il quale l’offerta crea la sua propria domanda, che la mancanza di domanda aggregata non è possibile – era stata confutata tre generazioni orsono.
Di fatto, non solo l’offerta non crea la propria domanda; l’esperienza a partire del 2008 suggerisce, semmai, che è ampiamente vero l’opposto – precisamente che una domanda inadeguata distrugge l’offerta. Le economie con una domanda persistentemente debole sembrano lamentare ampi cali nella produzione potenziale come in quella effettiva [1].
L’impressione che questo potesse essere vero risale a molto addietro, al lavoro di Olivier Blanchard e Larry Summers negli anni ’80. Ma gli eventi a partire dalla crisi hanno fornito molte maggiori prove, nello stesso modo in cui le hanno fornite sui moltiplicatori della spesa pubblica. Un nuovo studio da parte di Fatas e Summers esamina l’impatto della austerità nelle finanze pubbliche, non solo sulla produzione effettiva, ma sulle stime di quella potenziale; esso individua ampi effetti negativi.
Le implicazioni sono sorprendenti: l’austerità appare persino più catastrofica di quanto indicato dalla analisi convenzionale. Di fatto, si può quasi star certi che imporre l’austerità in economie che non possono bilanciare i suoi effetti con la politica monetaria, infligge una sofferenza senza alcun vantaggio di sorta: riducendo le dimensioni future dell’economia e di conseguenza la base fiscale, l’austerità effettivamente peggiora le previsioni della finanza pubblica.
Le Persone Molto Serie hanno molto a cui rispondere. Ma naturalmente non lo faranno mai.
[1] La produzione effettiva è quella che deriva dalle misurazioni del PIL. Quella potenziale è invece quella che viene stimata sottraendo dalla produzione effettiva quella quota che può essere considerata come dipendente dal ciclo economico negativo. In pratica, la produzione potenziale è quella che rappresenta la capacità produttiva che è rimasta integra in una nazione, e che tornerà interamente ad esprimersi allorquando il ciclo economico negativo verrà superato.
Lo studio di Fatas/Summers mostra che l’idea di poter mantenere lo stesso potenziale produttivo, in particolare nei paesi che hanno conosciuto politiche di austerità più pesanti, è del tutto illusoria.
Applicata allo sconfortante dibattito nazionale italiano, questo significa che con riprese dell’1 per cento all’anno, non soltanto ci vorranno una decina d’anni per tornare ai livelli precedenti alla recessione; ma che a quei livelli non si tornerà comunque, perché la crisi ha irrimediabilmente lesionato una parte della potenzialità produttiva passata.
By mm
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