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L’Islanda, l’Irlanda e il negazionismo sulla svalutazione (dal blog di Krugman, 27 novembre 2015)

 

Nov 27 10:28 am

Iceland, Ireland, and Devaluation Denial

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One of the big lessons of the euro crisis has been that Milton Friedman was right — not about monetarism, but about the case for flexible exchange rates. When big adjustments in a country’s wages and prices relative to trading partners are necessary, it’s much easier to achieve these adjustments via currency depreciation than via relative deflation — which is one main reason there have been such big costs to the euro.

But many economists remain deeply unwilling to accept this point. And so in Thordvaldur Gylfason’s otherwise useful survey of Iceland since the crisis, we get this:

In Ireland, the 2007 level of the purchasing power of per capita GNI was restored a year later than in Iceland, in 2014.

It is, therefore, not true that having its own currency (which lost a third of its value in real terms during the crash) saved Iceland from the sorry fate that Ireland would have to suffer because Ireland is anchored to the euro.

Ireland adjusted by other means. Iceland, had it used the euro, could have done the same. The Icelandic króna has lost 99.95% of its value vis-à-vis the Danish krone since 1939 when the two currencies were equivalent, convincing many local observers that Iceland is ripe for the adoption of the euro.

OK, the bit about depreciation since 1939 — 1939! — is a cheap shot. What about the Ireland comparison?

It’s true that Irish GDP per capita (in this case using GNI doesn’t make much difference) recovered to its pre-crisis level only a bit later than Iceland’s. But that’s not the only indicator, and it’s one that is arguably distorted by the nature of the Irish export sector, which held up fairly well and is highly capital-intensive (think pharmaceuticals) — that is, it contributes a lot to GDP but employs very few people.

If you look at employment instead, as in the chart, Iceland did far better than Ireland; and Icelandic unemployment similarly shows a much more favorable picture. Less formally, everyone I know who tracked both countries has the sense that the human toll in Iceland was much less than it was in Ireland.

Oh, and if you remember, everyone expected the Icelandic crisis to be much worse, given the incredible scale of the banking overreach — early on, comparisons between the two in Ireland were regarded as black humor, not something anyone expected to be meaningful.

I guess I understand the urge to make excuses for the single currency. But the evidence really does suggest that there are important advantages to keeping your own currency.

 

L’Islanda, l’Irlanda e il negazionismo sulla svalutazione

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Una delle grandi lezioni della crisi dell’euro è stata che Milton Friedman aveva ragione – non sul monetarismo, ma sugli argomenti a favore dei tassi di cambio flessibili. Quando sono necessarie grandi correzioni sui salari e sui prezzi di un paese, in rapporto ai partner commerciali, è molto più facile ottenerle attraverso una svalutazione della moneta che attraverso una relativa deflazione – che è una delle ragioni per le quali ci sono stati costi talmente elevati per l’euro.

Ma molti economisti restano profondamente indisponibili ad accettare questa opinione. E così, nell’indagine sull’Islanda a partire dalla crisi di Thordvaldur Gylfson, per altri aspetti utile, abbiamo questi giudizi:

“In Irlanda, il livello del potere di acquisto del Reddito Lordo Nazionale [1] procapite è stato ripristinato un anno dopo che in Islanda, nel 2014.

Di conseguenza, non è vero che avere la propria valuta (che durante il tracollo ha perso un terzo del suo valore in termini reali) abbia salvato l’Islanda dal destino spiacevole che l’Irlanda si suppone abbia sofferto in quanto ancorata all’euro.

L’Irlanda ha provocato le correzioni in altri modi. L’Islanda, se avesse usato l’euro, avrebbe potuto fare lo stesso. Dal 1939, la corona islandese ha perso il 99,95% del suo valore a confronto con la corona danese, quando le due valute erano equivalenti, convincendo molti osservatori locali che l’Islanda è matura per l’adozione dell’euro”.

Va bene, la parte relativa alla svalutazione a partire dal 1939 – 1939! – è un colpo ad effetto. Cosa dire a proposito del confronto con l’Irlanda?

É vero che il PIL irlandese procapite (in questo caso utilizzare il Reddito Lordo Nazionale non fa molta differenza) si è ripreso ai suoi livelli precedenti alla crisi solo un po’ più tardi dell’Islanda. Ma questo non è l’unico indicatore, ed esso è probabilmente distorto dalla natura del settore delle esportazioni irlandese, che si è sostenuto discretamente ed è ad elevata intensità di capitale (si pensi ai farmaceutici) – vale a dire contribuisce molto al PIL ma occupa davvero poche persone.

Se invece guardate all’occupazione, come nella tabella, l’Islanda ha fatto assai meglio dell’Irlanda; e in modo simile la disoccupazione islandese mostra un quadro molto più favorevole. In modo meno formale, tutti quelli che conosco che hanno seguito entrambi i paesi hanno la sensazione che il tributo umano in Islanda sia stato molto minore che in Irlanda.

Inoltre, se vi ricordate, tutti si aspettavano che la crisi islandese fosse molto peggiore, data la dimensione incredibile degli eccessi bancari – agli inizi, i confronti tra i due paesi in Irlanda erano considerati come umorismo nero, non come qualcosa che in genere ci si aspettava avesse un qualche significato.

Immagino di comprendere il bisogno di avanzare scusanti per la moneta unica. Ma le prove davvero indicano che ci sono vantaggi importanti a tenersi la propria valuta.

 

 

[1] Il Reddito Lordo Nazionale è il prodotto totale all’interno e all’estero imputabile ai residenti di un paese. Si ottiene sommando il Prodotto Interno Lordo ai redditi degli stranieri che risiedono nel paese, e sottraendo i redditi guadagnati nella economia di quella nazione da coloro che non sono residenti.

 

 

 

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