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Lo Zombi dell’austerità espansiva (dal blog di Krugman, 20 novembre 2015)

 

Nov 20 12:32 pm

The Expansionary Austerity Zombie

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The doctrine of expansionary austerity — the proposition that cuts in government spending would actually cause higher growth despite their direct negative impact on demand, thanks to the confidence fairy — was all the rage in policy circles five years ago. But it brutally failed the reality test; instead, the evidence pointed overwhelmingly to the continued existence of something very like the old-fashioned Keynesian multiplier.

But expansionary austerity was and is such a convenient doctrine politically that, like insistence on the magical effects of tax cuts, it has proved unkillable. Every economic uptick in an economy that practiced austerity in the past is trumpeted as proof that Keynesians were wrong and the austerians were right; never mind distinctions between levels and rates of change, or the fact that even the most Keynesian economists never asserted that fiscal policy is the *only* determinant of growth. (Animal spirits, anyone?) And in a predictable case of projection, anyone presenting the evidence gets accused of cherry-picking the data.

It’s never going to be possible to kill this zombie once and for all. But mainly for my own sake, I decided to provide a somewhat new take on the evidence.

The figure above covers the period from 2007 to 2015. This is a break from my previous efforts, which tended to start from 2009, just before the big austerity drive began.

On the horizontal axis I show an estimate of fiscal tightening, as measured by the IMF’s estimate of the cyclically adjusted primary balance (i.e., excluding interest payments) as a percentage of GDP. I have some doubts about that measure; in particular, the Fund’s method for estimating potential GDP tends to make pre-crisis economies look much more overheated than they probably were, and hence to make their structural budget position look worse; I think this is especially distorting in the case of Ireland, which has not in reality done more austerity than Greece. But in the interest of clarity, I’m just using the numbers as given.

Meanwhile, on the vertical axis I show, not the raw change in GDP, but the deviation of real GDP from what the IMF was projecting before the crisis. I derive the latter from the economic projections in the April 2008 World Economic Outlook, which went out to 2013; I assumed that projected growth 2007-2013 was expected to continue for two more years to get 2015 estimates.

What you see is a clear negative relationship between austerity and growth — actually an implied multiplier of almost 2. You also see some countries clearly experiencing other issues besides the effects of austerity. Ireland has done badly, but not as badly as you might have expected given the measured fiscal tightening (but see the discussion above.) Finland has done very badly despite mild austerity; the collapse of Nokia and the problems of forest products did the job there. The same is true of Spain, afflicted by the collapse of its mammoth housing bubble.

But the data continue to show an overwhelmingly Keynesian effect of fiscal policy. It take a lot of effort to see anything different in the evidence.

 

Lo Zombi dell’austerità espansiva

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La dottrina dell’austerità espansiva – il concetto che i tagli alla spesa pubblica provocherebbero effettivamente una crescita più elevata nonostante il loro diretto effetto negativo sulla domanda, grazie alla ‘fata della fiducia’ – cinque anni fa era di gran moda. Ma inciampò brutalmente sulla verifica di realtà; i fatti, piuttosto, indicarono in modo schiacciante la perdurante esistenza di qualcosa di molto simile al moltiplicatore keynesiano di vecchia concezione.

Ma l’austerità espansiva era ed è una dottrina politicamente così conveniente che, al pari della insistenza sugli effetti magici degli sgravi fiscali, si è dimostrata insopprimibile. Ogni lieve rialzo in un’economia che aveva messo in pratica l’austerità è stato strombazzato come la prova che i keynesiani avevano torto e i filoausteri ragione; non contava la distinzione tra livelli e tassi di cambiamento, o il fatto che persino gli economisti più keynesiani non avevano mai sostenuto che la politica della finanza pubblica fosse l’unica determinante della crescita (ricorda qualcuno gli “spiriti animali”?) [1]. E in un caso prevedibile di previsione, chiunque presentasse le prove veniva accusato di scegliere artatamente i dati.

Ammazzare questi zombi una volta per tutte, non è destinato ad accadere. Ma principalmente per mia soddisfazione, ho deciso di fornire un qualche nuovo punto di vista sulle prove.

La tabella sopra riguarda il periodo tra il 2007 ed il 2015. Si tratta di un cambiamento rispetto i miei sforzi precedenti, che tendevano a partire dal 2009, proprio prima della entrata in funzione della grande austerità.

Sull’asse orizzontale mostro una stima della restrizione della finanza pubblica in percentuale sul PIL, così come misurata dalle valutazioni del FMI sull’equilibrio primario corrette per il ciclo economico (ovvero, con l’esclusione del pagamento degli interessi). Io ho qualche dubbio su quella misurazione; in particolare, il metodo del Fondo per la stima del PIL potenziale tende a far apparire le economie prima della crisi molto più surriscaldate di quello che probabilmente erano, e di conseguenza a far apparire peggiore la loro condizione strutturale di bilancio; io penso che questo sia in particolare nel caso dell’Irlanda, che in realtà non ha avuto maggiore austerità della Grecia. Ma, nell’interesse della chiarezza, sto solo utilizzando i dati come forniti.

Nel contempo, mostro sull’asse verticale non il mutamento grezzo del PIL, ma la deviazione del PIL reale da ciò che il FMI prevedeva prima della crisi. Derivo quest’ultima dalle previsioni economiche dell’aprile 2008 del World Economic Outlook, che arrivavano sino al 2013; ho assunto che ci si aspettasse che la crescita prevista 2007-2013 continuasse per due anni ulteriori, per ottenere le stime del 2015.

Quello che osservate è una chiara relazione negativa tra austerità e crescita – che effettivamente implica un moltiplicatore pari circa a 2. Vedete anche che alcuni paesi stanno chiaramente facendo esperienza di altri temi, oltre agli effetti dell’austerità. L’Irlanda ha avuto risultati negativi, ma non così negativi come ci si sarebbe aspettati sulla base della restrizione accertata della finanza pubblica (ma si veda il chiarimento precedente). La Finlandia ha avuto risultati molto negativi nonostante una leggera austerità; il collasso di Nokia e i problemi del settore forestale, in questo caso, provocano quell’effetto. Lo stesso è vero per la Spagna afflitta dal collasso della sua gigantesca bolla immobiliare.

Ma i dati continuano a mostrare uno schiacciante effetto keynesiano della politica della finanza pubblica. Ci vuole molto sforzo per leggere qualcosa di diverso nelle prove.

 

 

[1] Mi pare che voglia dire che neanche per i keynesiani si tratta semplicemente e soltanto di quantità della spesa pubblica; contano certamente anche le aspettative, che Keynes non attribuiva alle fate della fiducia, ma alla intraprendenza produttiva e istintiva dei capitalisti.

 

 

 

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