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Correzioni nell’area euro (dal blog di Krugman, 14 dicembre 2015)

 

Dec 14 5:03 am

Adjustment in the Euro Area

The crisis in the euro area — as opposed to the broader global financial crisis — began in late 2009. It’s still far from over. But some of the hard-hit peripheral economies, notably Ireland and Spain, are finally growing again. So how should we think about such recoveries, and how do they fit into an overall picture of the single currency’s performance? I thought it might be useful to walk through how I understand the situation, illustrating the argument with data from Spain, which I think of as the quintessential euro-crisis country — a country that didn’t commit any obvious policy sins, but was whipsawed by huge inflows of capital that suddenly reversed. (All data are from the IMF World Economic Outlook database.)

First, a reminder of just how bad it has been, and how far we still are from full recovery:

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Notice that at this point Finland — which is suffering from an idiosyncratic shock to its export industries rather than a sudden stop in capital inflows — is doing as badly as much of southern Europe. This is a reminder that the euro system creates huge problems for adjustment everywhere, that this isn’t a one-time problem.

But how would we expect countries to respond to adverse shocks? Contrary to what many people seem to believe, Keynesian-type analysis doesn’t say that countries can never recover without devaluation and/or fiscal stimulus; on the contrary, as I pointed out more than three years ago, it predicts a gradual recovery through internal devaluation — that is, a depressed economy will cause low or negative inflation, gradually improving competitiveness against other members of the currency union, and rising net exports should drive growth as long as they’re not offset by ever-tighter austerity.

Spanish experience since the euro was created in 1999 does indeed suggest that a depressed economy holds down inflation:

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And internal devaluation has slowly improved competitiveness (as measured by relative GDP deflators) against the European core:

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What about austerity? Spain did a lot of tightening in the first few years of the euro crisis, but not much since then:

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So we would expect, other things equal, to see Spain experiencing faster growth than the rest of the euro area at this point, as internal devaluation improves competitiveness while fiscal policy is no longer tightening the screws.

The question then is, does this constitute any kind of vindication of either the euro or the austerity regime? As you might guess, I’d say that the answer is a clear no. Yes, adjustment can take place even with a single currency; but it’s a very slow and painful process. Yes, growth can resume once you stop imposing ever-harsher austerity; also, if you repeatedly hit yourself on the head with a baseball bat, you will feel better when you stop.

What is true is that the single currency isn’t totally unworkable. It’s just extremely costly.

And on an intellectual level, basic macroeconomics continues to account pretty well for European developments. There’s nothing in recent experience that should shock a Keynesian or cause deep self-doubt.

 

Correzioni nell’area euro

La crisi nell’area euro – diversamente dalla più generale crisi finanziaria globale – cominciò sulla fine del 2009. Ed è ancora lontana dall’essere superata. Ma alcune delle economie periferiche duramente colpite, in particolare l’Irlanda e la Spagna, stanno finalmente tornando a crescere. Cosa dovremmo dunque pensare di tali riprese, e come dovremmo collocarle in un quadro generale di andamento della moneta unica? Ho pensato che poteva essere utile ripercorrere passo a passo quello che capisco della situazione, illustrando il ragionamento con i dati della Spagna, che penso sia il paese tipico della crisi dell’euro – un paese che non ha commesso alcun peccato politico evidente, ma che è stato esposto all’effetto congiunto di ampi flussi di capitali che all’improvviso si sono rovesciati (tutti i dati provengono dal database World Economic Outlook del FMI).

In primo luogo un promemoria di quanto il fenomeno sia stato negativo, e di quanto si sia ancora lontani da una piena ripresa [1]:

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Si noti che a questo punto la Finlandia – che sta soffrendo di un peculiare shock nella sua industria delle esportazioni, piuttosto che di un blocco improvviso nei flussi dei capitali – sta andando altrettanto male dell’Europa meridionale. Questo ci ricorda che il sistema dell’euro crea vasti problemi di adeguamento dappertutto, che questo non è un problema irripetibile.

Ma come ci dovremmo aspettare che i paesi reagiscano agli shock negativi? Contrariamento a quello che molti sembrano credere, una analisi di tipo keynesiano non dice che i paesi non possano mai riprendersi senza una svalutazione e/o misure di sostegno della finanza pubblica; al contrario, come misi in evidenza più di tre anni orsono, esso prevede una graduale ripresa attraverso la svalutazione interna – ovvero, un’economia depressa provocherà una inflazione bassa o negativa, gradualmente migliorando la competitività rispetto ad altri componenti dell’unione monetaria, e l’aumento delle esportazioni nette dovrebbe guidare una crescita purché esse non siano bilanciate da una austerità sempre più severa.

L’esperienza spagnola a partire da quando venne creato l’euro nel 1999 ci suggerisce proprio che una economia depressa mantiene l’inflazione bassa [2]:

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E la svalutazione interna ha lentamente migliorato la competitività (come misurata dai deflatori del PIL) rispetto al centro Europa [3]:

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Cosa dire dell’austerità? La Spagna operò molta restrizione nei primi pochi anni della crisi dell’euro, ma non molta a partire da allora [4]:

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Dunque, a questo punto ci dovremmo aspettare, a parità delle altre condizioni, che la Spagna stia sperimentando una crescita più veloce, dal momento che la svalutazione interna migliora la competitività mentre la politica della finanza pubblica non sta più stringendo le viti.

La domanda è dunque se questo costituisca una qualche forma di risarcimento sia della scelta dell’auro che del regime di austerità. Come vi potete aspettare, la mia risposta è chiaramente negativa. É vero, la correzione può aver luogo anche con una singola valuta; ma è un processo molto lento e doloroso. É vero, la crescita può riprendere nel momento in cui si cessa di imporre una austerità sempre più dura; anche se vi battete ripetutamente una mazza da baseball in testa, vi sentite meglio quando smettete.

Quello che è vero è che la moneta unica non è completamente impossibile che funzioni. É solo estremamente costosa.

E, da un punto di vista intellettuale, la macroeconomia continua a spiegare abbastanza bene gli sviluppi europei. Non c’è niente nella recente esperienza che dovrebbe impressionare un keynesiano o provocargli profonde crisi di coscienza.

 

 

 

 

[1] La Tabella mostra i mutamenti nel PIL reale procapite dal 2007 al 2015.

[2] La tabella è un grafico a dispersione, ovvero un grafico con due variabili e la disposizione delle due variabili mostra i grado di correlazione tra di esse. Quanto scrivo di seguito è solo in mio personale esercizio di comprensione (dunque potrebbe contenere errori).

In questo caso una variabile (linea verticale) sono i mutamenti nel deflatore del PIL, l’altra (linea orizzontale) mostra il divario nella produzione. Il deflatore del PIL è uno strumento che consente di misurare la crescita del PIL depurandola dall’aumento dei prezzi. Indirettamente, dunque, essa consente anche di comprendere l’evoluzione della competitività, che è positiva tanto più i prezzi crescono meno dei paesi concorrenti. Il divario di produzione, invece, indica la differenza tra il PIL effettivo e quello potenziale, ovvero quello che si avrebbe se l’economia potesse esprimere interamente il suo potenziale produttivo.

I punti all’interno del grafico a dispersione indicano le (doppie) rilevazioni annuali, per ognuna delle variabili suddette. I puntini riguardano dunque la Spagna, e indicano quindici doppie rilevazioni annuali a partire dal 1999. Non sono indicati i singoli anni che ogni puntino rappresenta, mi pare perché quello che interessa nel grafico non è tanto una ricostruzione del processo storico, ma una analisi delle caratteristiche del fenomeno complessivo nel tempo. Tale analisi si evince dalle zone del grafico dove si mostrano i maggiori addensamenti di valori simili o quasi simili. Nel nostro caso, si notano due principali ‘addensamenti’: quando la variabile del deflatore del PIL è vicina allo zero (ovvero, il PIL depurato dall’inflazione non cresce), il divario di produzione è sempre in area negativa (da -2,5 a -6). Quando il deflatore del PIL sale ad un valore tra 3 e 4 (ovvero il PIL cresce in tale percentuale, anche depurato dall’aumento dei prezzi), si nota uno scarso divario o un divario positivo della produzione. Nel caso della Spagna, mi pare che si possa dedurne che la produzione è nel primo caso al di sotto delle sue potenzialità (crisi, dunque); mentre è in equilibrio in cinque degli altri casi, ed è anche troppo positiva in tre altri casi (il che dovrebbe significare che le risorse sono utilizzate al di sopra della loro potenzialità (bolla, dunque).

In conclusione, è dunque probabile che i puntini della parte alta del grafico indichino la situazione dell’economia spagnola nei primi anni dell’euro, dopo il 1999, caratterizzati da forti flussi di capitali franco-tedeschi. Quelli della parte bassa dovrebbero indicare gli anni della crisi.

In conclusione, la tabella mi pare soprattutto interessante proprio perché mostra questa polarizzazione, o addensamento, delle due caratteristiche dell’economia spagnola nell’ultimo quindicennio. E, come Krugman scrive, essa mostra anche che un’economia depressa “mantiene bassa l’inflazione”.

Aggiungo che non capisco il ‘titolo’ della Tabella (forse è un riferimento alla ‘curva di Phillips’).

[3] Il tasso di cambio reale tra Spagna e Germania, ovvero (credo, almeno, che si possa dire così) l’evoluzione del potere di acquisto di un euro spagnolo rispetto ad un euro tedesco, cha appare caratterizzata da un processo di svalutazione dal 1999 al 2008 e da un processo inverso negli anni della crisi.

[4] La tabella mostra l’evoluzione dell’equilibrio strutturale del bilancio spagnolo. L’equilibrio strutturale del bilancio, secondo la definizione dell’OCSE, rappresenta la situazione nella quale entrate e spese sono quello che debbono essere quando la produzione è al suo livello potenziale. In questo caso, l’equilibrio strutturale dovrebbe corrispondere al livello 0. Negli anni immediatamente successivi alla crisi, c’era uno squilibrio negativo pari a quasi l’8% del PIL, per effetto della crisi e delle misure di austerità. Ma, come si vede, a partire dal 2011 la restrizione della finanza pubblica si è gradualmente molto attenuata.

 

 

 

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