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Disancoraggi (leggermente per esperti) (dal blog di Krugman, 4 dicembre 2015)

 

Dec 4 10:05 am

Anchors Away (Slightly Wonkish)

Last week I wrote about what in our macroeconomic models has and hasn’t worked since 2008. As I said, demand-side events have been very much what people using IS-LM would have predicted (and did). But on the supply side, not so much. For one thing, the “accelerationist” doctrine that has dominated economic discussion of inflation and unemployment for 40 years has fallen flat. If inflation had responded to the Great Recession and aftermath the way it did in previous big slumps, we would be deep in deflation by now; we aren’t.

Now, the usual response from model-oriented public officials and research staff at policy institutions is to say that what they work with now is a Phillips curve with “anchored” expectations. The idea is that price- and wage-setters now act as if they expect policymakers to hit their 2 percent target, and don’t change their expectations in the face of recent experience. Operationally, of course, such a curve looks just like the old, pre-NAIRU Phillips curves people estimated in the 1960s. And the truth is that such curves fit pretty well on data since 1990.

But this kind of anchoring argument, I would argue, leaves us with some disturbing questions, both conceptual and practical.

First, on the conceptual side, where does anchoring come from and how far can it be trusted? Is it the consequence of central bank credibility, or is it just the consequence of low inflation: people stop paying much attention to fluctuations in inflation when it’s in the low single digits? Will the anchoring go away if inflation is persistently 1 rather than 2 percent; would it go away if inflation rose to 3 percent?

Second, on the practical side, the anchored-expectations hypothesis tells a very different story about capacity and policy than previous approaches.

Let me illustrate this point with the case of the euro area.

If we use aggregated data for the euro area as a whole, a simple old-fashioned Phillips curve works surprisingly decently:

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In fact, the slope of the curve is quite close to the estimate for the US from Blanchard et al.

What’s worth pointing out, however, is that if we take this result seriously, it implies that the euro area is much more deeply depressed than generally acknowledged, and that the ECB’s attempt to get inflation back up close to 2 percent is a much more daunting challenge, than anyone seems to acknowledge. Euro core inflation is currently about 1 percent; the slope of the Phillips relationship is around 0.25; so getting back to 2 should require a 4 percentage point fall in unemployment. That’s a lot!

How much output growth would this involve? An Okun’s Law type relationship also works pretty well for the euro area as a whole, and gives a coefficient close to the US level:

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So a 4 percentage point decline in unemployment would, if the historical relationship holds, mean 8 percent more in real GDP — that is, this naive calculation puts the euro area output gap at 8 percent, which is huge.

Should we take this seriously? If not, why not?

 

Disancoraggi (leggermente per esperti)

La scorsa settimana scrissi sul tema di quello che nei modelli macroeconomici aveva o non aveva funzionato a partire dal 2008. Come dicevo, gli eventi dal lato della domanda sono stati assai corrispondenti a quello che le persone che utilizzano il modello IS-LM avrebbero previsto (come in effetti fecero). Ma non altrettanto dal lato dell’offerta. Da una parte, la dottrina “accelerazionista” che ha dominato il dibattito economico sull’inflazione e la disoccupazione per 40 anni ha fatto fiasco. Se la inflazione avesse risposto alla Grande Recessione ed alle sue conseguenze nel modo in cui aveva fatto nelle grandi crisi precedenti, saremmo adesso in profonda deflazione; il che non è accaduto.

Ora, la risposta consueta da parte delle autorità pubbliche e dei gruppi di ricerca presso le istituzioni politiche orientati al modello, consiste nel dire che ciò con cui essi oggi lavorano è una curva di Phillips con le aspettative “ancorate”. L’idea è che coloro che determinano i prezzi – ed i salari – adesso agiscono come se si aspettassero il raggiungimento da parte delle autorità pubbliche dell’obbiettivo del 2 per cento, e non modifichino le loro aspettative a fronte di esperienze recenti. Da un punto di vista operativo, naturalmente, tale curva assomiglia alle vecchie curve di Phillips precedenti al NAIRU stimate negli anni ’60 [1]. E la verità è che tali curve si adattano abbastanza bene ai dati a partire dal 1990.

Ma questo genere di argomento basato sull’ancoraggio, direi, ci lascia con alcune fastidiose domande, sia concettuali che pratiche.

La prima, dal punto di vista concettuale: da dove proviene l’ancoraggio e per quanto tempo si può dare ad esso credito? É la conseguenza della credibilità della banca centrale, o è soltanto la conseguenza di una bassa inflazione: le persone cessano di prestare molta attenzione alle fluttuazioni dell’inflazione finché essa resta nei bassi limiti di una sola cifra? Se ne andrà l’ancoraggio, se l’inflazione resta persistentemente all’1 anziché al 2 per cento; se ne andrebbe se l’inflazione crescesse al 3 per cento?

La seconda, dal punto di vista pratico, l’ipotesi delle aspettative ‘ancorate’ ci racconta una storia assai diversa rispetto agli approcci precedenti, a proposito della capacità produttiva e della politica.

Consentitemi di illustrare questo aspetto con il caso dell’area euro.

Se utilizziamo i dati dell’area euro nel loro complesso, una semplice curva di Phillips vecchia maniera funziona in modo sorprendentemente decente:

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Di fatto, l’inclinazione della curva è abbastanza vicina alle stime per gli Stati Uniti di Blanchard ed altri.

Tuttavia, quello che merita di essere sottolineato, e che se assumiamo questo risultato seriamente, esso implica che l’area euro è molto più profondamente depressa di quanto in genere riconosciuto, e che i tentativi della BCE di riportare l’inflazione vicina al 2 per cento sono una sfida molto più temeraria di quanto tutti sembrano ammettere. L’inflazione sostanziale nell’area euro è attualmente attorno all’1 per cento; l’inclinazione della relazione di Phillips [2] è attorno allo 0,25; dunque tornare al 2 per cento dovrebbe richiedere una caduta della disoccupazione di quattro punti percentuali. Il che è tanto!

Quanta crescita di produzione questo comporterebbe? Una relazione del genere di quella della legge di Okun [3] funziona anch’essa abbastanza bene per l’area euro nel suo complesso, e ci fornisce un coefficiente vicino al livello degli Stati Uniti:

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Dunque, quattro punti percentuali di declino della disoccupazione, se la relazione storica regge, comportano un 8 per cento in più di PIL reale – ovvero, questo ingenuo calcolo pone il divario di produzione dell’area euro all’8 per cento, che è un differenziale ampio.

Dovremmo prendere sul serio tutto questo? E se non dobbiamo, perché no?

 

 

 

 

[1] Vedi i termini nelle note della traduzione.

[2] Relazione tra inflazione e disoccupazione.

[3] La Legge di Okun, che prende il nome dall’economista Arthur Melvin Okun (che la propose nel 1962) è una legge empirica che associa ad ogni punto aggiuntivo di disoccupazione ciclica (differenza tra tasso di disoccupazione naturale e disoccupazione totale), 2 punti percentuali di gap di produzione.

 

 

 

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