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Domanda, offerta e modelli macroeconomici (dal blog di Krugman, 28 novembre 2015)

 

Demand, Supply, and Macroeconomic Models

November 28, 2015 1:26

I’m supposed to do a presentation next week about “shifts in economic models,” which has me trying to systematize my thought about what the crisis and aftermath have and haven’t changed my understanding of macroeconomics. And it seems to me that there is an important theme here: it’s the supply side, stupid.

What I mean by that is that if you came into the crisis with a broadly Hicksian view of aggregate demand you did quite well. You made predictions that Very Serious People scoffed at — that as long as we were at the zero lower bound massive increases in the monetary base wouldn’t be inflationary, that budget deficits would not drive up interest rates — and also predicted large multipliers from fiscal policy, in particular nasty consequences of austerity. And you would not have found anything in what happened from 2008 on that contradicted your views.

I worded the above carefully. There’s a whole industry of people trying to show that Keynesian predictions about austerity didn’t pan out; it’s an industry that relies mainly on crude misrepresentations of what those predictions really amount to, and especially on confusions between levels and rates of change. (Britain imposed a lot of austerity from 2010 to 2012, but it grew in 2013. Ha! Keynes disproved!) But I won’t claim that the data prove Hicks/Keynes models right; the point is just that when you do the obvious comparisons, say between austerity and growth, they’re pretty much what a Keynesian would have said:

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What hasn’t worked nearly as well is our understanding of aggregate supply — which was, if truth be told, always based on much less solid reasoning.

One big problem has been the absence of deflation. The “accelerationist” Phillips curve that used to be standard — inflation depends on unemployment and lagged inflation — seemed consistent with the experience from previous big slumps, which were associated with large declines in the rate of inflation. Specifically, we used to cite the “clockwise spirals” one saw in unemployment-inflation space as evidence for something like the Friedman-Phelps theory of the natural rate.

But what worked in the 70s and 80s doesn’t look so good for recent experience:

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Why didn’t the sustained high unemployment after 2008 push us into deflation? There are some popular stories — downward nominal wage rigidity that makes the long-run Phillips curve non-vertical at low inflation rates, “anchored” inflation expectations — and I cite those stories myself. But standard discourse on macroeconomics has not fully taken the non-deflation surprise into account.

The other big problem is the dramatic drop in estimates of potential output, which is clearly correlated with the depth of cyclical slumps — and with austerity policies. Fatas and Summers have made a splash recently making this point, but Larry Ball has been on the case for a while — and I made the link to austerity. Here’s what it looks like using Ball’s estimates of the fall in potential output:

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Is there a policy moral from these supply-side failures of the pre-crisis doctrine? Yes: I think they both suggest the great danger of excessively contractionary policies. On one side, central banks focused on stable inflation may think they’re doing a good job — because where’s the deflation? — when they are actually falling very far short of providing enough support. And fiscal contraction in a liquidity trap seems to be absolutely terrible for the long run as well as the short run, and quite possibly counterproductive even in purely fiscal terms.

Again, I don’t think even Hicksian-inclined economists have taken all of this sufficiently into account.

 

 

Domanda, offerta e modelli macroeconomici

Sembra che la prossima settimana debba fare una presentazione sul tema degli “cambiamenti nei modelli economici”, per cui sto cercando di sistematizzare quello che la crisi e le sue conseguenze hanno o non hanno cambiato nella mia comprensione della macroeconomia. E qua mi pare ci sia un tema importante: si tratta dell’offerta, stupidi [1].

Quello che voglio dire è che se siete arrivati alla crisi con un generale punto di vista hicksiano sulla domanda aggregata, vi è andata abbastanza bene. Avete fatto previsioni che le Persone Molto Serie hanno sbeffeggiato – che per tutto il tempo in cui fossimo restati al limite inferiore dello zero (nei tassi di interesse) massicci incrementi nella base monetaria non avrebbe avuto effetti inflattivi, che i deficit di bilancio non avrebbero spinto in alto i tassi di interesse – ed avete anche previsto ampi moltiplicatori dalla politica della finanza pubblica, in particolare conseguenze sgradevoli dall’austerità. E non avete trovato niente in quello che è accaduto dal 2008 in poi, che ha contraddetto i vostri punti di vista.

Ho detto quanto sopra misurando le parole. C’è un’intera industria di individui che cercano di dimostrare che le previsioni keynesiane sull’austerità non hanno avuto successo; è un’industria che si fonda principalmente su caricature di quello che tali previsioni configurano, e in particolare su confusioni tra livelli e tassi di cambiamento (l’Inghilterra ha imposto un sacco di austerità dal 2010 al 2012, ma nel 2013 è cresciuta. Vedi? Keynes è stato smentito!). Ma io non sosterrò che i dati dimostrano che i modelli di Keynes ed Hicks sono giusti; il punto è soltanto che quando si fanno confronti ovvi, diciamo tra austerità e crescita, essi corrispondono abbastanza a quello che un keynesiano avrebbe detto:

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[2]

Quello che non ha funzionato neanche lontanamente così bene è stata la nostra comprensione dell’offerta aggregata – che è stata, a dir la verità, sempre fondata su un ragionamento assai meno solido.

Un grande problema è stato l’assenza di deflazione. La curva “accelerazionista” di Phillips che si era soliti utilizzare – l’inflazione dipende dalla disoccupazione e dalla inflazione ritardata – sembrava coerente con l’esperienza delle recessioni precedenti, che erano associate con ampi decrementi nel tasso di inflazione. In particolare, eravamo soliti citare le “spirali nel senso orario” che si potevano notare nell’intervallo tra disoccupazione ed inflazione come prova di qualcosa che assomigliava alla teoria del tasso naturale di Friedman-Phelps.

Ma quello che ha funzionato negli anni ’70 e ’80 non è apparso così chiaro nella recente esperienza [3]:

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Perché la perdurante elevata disoccupazione dopo il 2008 non ci ha spinto nella deflazione? Ci sono alcune spiegazioni popolari – la rigidità verso il basso dei salari che rende la curva di Phillips di lungo periodo non-verticale a bassi tassi di inflazione, come “ancorata” alle aspettative di inflazione – ed io racconto queste spiegazioni per me stesso. Ma il dibattito standard sulla macroeconomia non ha pienamente messo la sorpresa della non deflazione nel conto.

L’altro grande problema è stata la spettacolare caduta nelle stime della produzione potenziale, che è chiaramente correlata con la profondità delle crisi cicliche – e con le politica dell’austerità. Fatas e Summers di recente hanno fatto clamore avanzando questo argomento, ma Larry Ball lo aveva sostenuto per un certo periodo – ed io stesso indicai la connessione con l’austerità. Ecco quello che appare utilizzando le stime di Ball sulla caduta della produzione potenziale [4]:

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C’è una morale politica in questi insuccessi dal lato dell’offerta della dottrina precedente alla crisi? Sì: io penso che entrambe suggeriscano il grande pericolo delle politiche eccessivamente restrittive. Da una parte, le banche centrali concentrate su una inflazione stabile possono pensare di star facendo un buon lavoro – perché la deflazione non si vede – mentre non sono affatto all’altezza nel fornire sufficiente sostegno. Inoltre, la contrazione della spesa pubblica in una trappola di liquidità sembra essere assolutamente terribile per il lungo periodo come per il breve, e forse abbastanza controproducente anche in termini di pura finanza pubblica.

Lo ripeto: non penso che neppure gli economisti di orientamento hicksiano abbiano messo tutto questo sufficientemente nel conto.

 

 

[1] Come altre volte ho ricordato, l’uso del termine “stupido” non è così frequente in americano. Dipende soltanto dal fatto che una storica battuta di Bill Clinton, peraltro non così divertente, entrò un giorno nel linguaggio comune. É un forma bizzarra di ‘intrattenimento’ un po’ brusco di chi ascolta o legge.

[2] Ovvero, come mostra la tabella, che in generale c’è stata una certa corrispondenza tra l’intensità delle politiche di restrizione della finanza pubblica (linea orizzontale) e la quantità dei mutamenti nel PIL reale.

Una tabella simile – elaborata da Krugman – era stata presentata nel post “Lo Zombi dell’austerità espansiva” del 20 novembre 2015, dove era chiarito che essa si riferiva al periodo dal 2007 al 2015. Questa, invece, probabilmente parte dal 2009.

[3] La tabella mostra gli andamenti del tasso di disoccupazione e dell’inflazione sostanziale (al netto dei generi volatili) nei tre periodi di declino economico (anni ’70 in blu, anni ’80 in rosso e Grande Recessione recente, in verde). Le linee esprimono gli anni in sequenza, e dunque le “spirali” dipendono dai movimenti combinati del tasso di disoccupazione e dell’inflazione. Secondo la curva di Phillips un aumento sensibile della inflazione comporta dopo un po’ una crescita della disoccupazione, a sua volta essa comporta un successivo processo di deflazione.

Allo scopo di aiutare la comprensione di quello che Krugman osserva successivamente, si può notare, ad esempio con gli anni ’70, che essi furono caratterizzati – se li leggo giustamente, ovvero se vanno letti nel senso di una spirale ‘in senso orario’ – da una rapida crescita dell’inflazione (da circa il 5 al 10% annuo), che dopo un certo periodo produsse una rilevante crescita della disoccupazione (da circa il 6 al 9%); dopo quel periodo ci fu un terzo momento di deflazione netta (da circa il 10 al 6%) e poi un quarto di sensibile diminuzione della disoccupazione (dall’8% al 5,5& circa) con un tasso di inflazione stabile. La deflazione negli anni ’80 fu minore (dal 6 all’8%), ma ci fu. Negli anni recenti il forte incremento della disoccupazione (dal 5 al 10%) non è stato seguito da alcuna deflazione; l’inflazione è rimasta attorno al 2% per l’intero periodo.

[4] Per produzione potenziale si intende il PIL depurato degli effetti del ciclo economico, ovvero il potenziale produttivo che residua, che non scompare per gli effetti una recessione (o che addirittura ha fatto il suo ingresso nell’economia nel periodo recessivo). Sulla linea orizzontale, ancora l’intensità delle politiche di austerità; su quella verticale l’andamento delle stime sul PIL potenziale, tutto in territorio negativo, ad eccezione degli Stati Uniti.

 

 

 

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