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Il guaio con i tassi di interesse di J. Bradford DeLong (da Project Syndicate, 28 novembre 2015)

 

NOV 28, 2015

The Trouble With Interest Rates

J. Bradford DeLong

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BERKELEY – Of all the strange and novel economic doctrines propounded since the beginning of the global financial crisis, the one put forward by John Taylor, an economist at Stanford, has a good claim to being the oddest. In his view, the post-crisis economic policies being carried out in the United States, Europe, and Japan are putting a ceiling on long-term interest rates that is “much like the effect of a price ceiling in a rental market where landlords reduce the supply of rental housing.” The result of low interest rates, quantitative easing, and forward guidance, Taylor argues, is a “decline in credit availability [that] reduces aggregate demand, which tends to increase unemployment, a classic unintended consequence.”

Taylor’s analogy fails to make sense at the most fundamental level. The reason that rent control is disliked is that it forbids transactions that would benefit both the renter and the landlord. When a government agency imposes a rent ceiling, it prohibits landlords from charging more than a set amount. This distorts the market, leaving empty apartments that landlords would be willing to rent at higher prices and preventing renters from offering what they are truly willing to pay.

With the economic policies Taylor criticizes, this mechanism simply does not exist. When a central bank reduces long-term interest rates via current and expected future open-market operations, it does not prevent potential lenders from offering to lend at higher interest rates; nor does it stop borrowers from taking up such an offer. These transactions don’t take place for a simple reason: borrowers choose freely not to enter into them.

So how does Taylor arrive at his analogy? My intuition is that his reasoning has become entangled with his beliefs about the free market. Taylor and others who share his view probably begin with a sense that current interest rates are too low. Given their belief that the free market cannot fail (it can only be failed), they naturally assume that some government action must be behind the unnaturally low rates. The goal then becomes to figure out what the government has done to make interest rates so wrong. And, because any argument that treats government action as appropriate can only be a red herring, the analogy to rent control emerges as one of the possible solutions.

If my intuition is correct, Taylor and his fellow travelers will never be convinced that they are wrong. Accepting the idea that central bankers may be doing the best they can in a difficult situation would require entertaining the possibility that markets are imperfect and fallible. And that is one thing they will never do.

We have seen this play out before. Five years ago, Taylor and his intellectual allies wrote an “Open Letter to Ben Bernanke,” warning that the quantitative easing planned by the Federal Reserve’s then-chairman risked “currency debasement and inflation.” But, although their prediction turned out to be spectacularly wrong, that has not led Taylor or any of the other signatories to rethink their theories or to consider that perhaps Bernanke knows something about monetary economics. Instead, Taylor seems to have settled on another theory – his rent-control analogy – for why the government is doing everything wrong.

The only possible response is to point to logic and evidence. Given real economic conditions, European and American monetary policy is not too loose; if anything, it is too restrictive. The “natural” interest – what would be ground out by the Walrasian system of general equilibrium equations – is actually lower than what current monetary policy is producing. Yes, the inertial expectations of the economy have combined with monetary policy to distort interest and inflation rates, but not in the direction that Taylor is proposing. On the contrary, compared to what is needed (given the current state of the economy) or to what a free-market, flexible-price economy in proper equilibrium would deliver, interest rates are too high and inflation is too low.

There is indeed something wrong with today’s interest rates. Why such low rates are appropriate for the economy and for how long they will continue to be appropriate are deep and unsettled questions; they call attention to what MIT’s Olivier Blanchard calls the “dark corners” of economics, where research has so far shed too little light. What Taylor and his ilk fail to understand is that the reason interest rates are wrong has little to do with the policies put in place by central bankers and everything to do with the situation that policymakers confront.

 

 

Il guaio con i tassi di interesse

di J. Bradford DeLong

BERKELEY – Di tutte le strane e insolite dottrine economiche proposte dall’inizio della crisi finanziaria globale, quella avanzata da John Taylor, un economista a Stanford, è a buon diritto la più bizzarra. Secondo lui, le politiche economiche che sono state messe in atto dopo la crisi negli Stati Uniti, in Europa e nel Giappone stanno ponendo un tetto ai tassi di interesse a lungo termine che è “in gran parte simile all’effetto di un tetto sui prezzi in un mercato delle locazioni nel quale i proprietari riducono l’offerta di case in affitto”. Il risultato dei bassi tassi di interesse, della facilitazione quantitativa [1] e delle politiche di comunicazione degli indirizzi futuri, sostiene Taylor, è un “declino della disponibilità di credito (che) riduce la domanda aggregata, che tende ad incrementare la disoccupazione, una classica conseguenza involontaria”.

L’analogia di Taylor non riesce a dar senso all’aspetto più di tutti fondamentale. La ragione per la quale il controllo degli affitti è sgradevole è che esso impedisce transazioni che sarebbero favorevoli sia all’affittuario che al proprietario. Quando una agenzia statale impone un tetto agli affitti, essa impedisce ai proprietari di applicare più di una determinata quantità. Questo distorce il mercato, lasciando vuoti appartamenti che i proprietari sarebbero disponibili ad affittare a prezzi più alti ed impedendo agli affittuari di offrire quello che sarebbero realmente disponibili a pagare.

Con le politiche che Taylor critica, questo meccanismo semplicemente non esiste. Quando una banca centrale riduce i tassi di interesse a lungo termine attraverso operazioni al presente ed attese nel futuro di mercato aperto, essa non impedisce ai potenziali prestatori di offrire denaro a tassi di interesse più alti; neppure blocca coloro che intendono prendere denaro in prestito nell’accettare tale offerta. Queste transazioni non hanno luogo per una semplice ragione: chi prende denaro in prestito semplicemente sceglie liberamente di non aderirvi.

Com’è dunque che Taylor arriva a questa analogia? La mia impressione è che il suo ragionamento sia come invischiato dalle sue convinzioni sul libero mercato. Taylor e gli altri che condividono il suo punto di vista partono probabilmente dalla sensazione che i tassi di interesse correnti siano troppo bassi. Dato questo convincimento che il libero mercato non può fallire (esso può soltanto essere fatto fallire), essi naturalmente presumono che qualche iniziativa del Governo deve star dietro tassi di interesse innaturalmente bassi. L’oggetto allora diventa quello di immaginarsi che cosa il Governo abbia fatto per rendere i tassi di interesse così sbagliati. Dato che ogni argomento che considera giusta l’iniziativa del Governo non può che essere fuorviante, l’analogia con il controllo degli affitti diventa una delle soluzioni possibili.

Se la mia impressione è corretta, Taylor e i suoi colleghi di viaggio non saranno mai convinti di aver torto. Accettare l’idea che i banchieri centrali possono aver fatto del loro meglio in una situazione difficile, comporterebbe considerare la possibilità che i mercati siano imperfetti e possano sbagliare. E questa è una cosa che non faranno mai.

Abbiamo visto questa scena in precedenza. Cinque anni orsono, Taylor e colleghi con la sua concezione del mondo scrissero una “Lettera aperta a Ben Bernanke”, mettendo in guardia che la ‘facilitazione quantitativa’ programmata dall’allora Presidente della Federal Reserve rischiava “di svalutare la moneta e di provocare l’inflazione”. Ma, sebbene la loro previsione si sia rivelata sbagliata in modo spettacolare, questo non ha comportato che Taylor o qualcuno degli altri sottoscrittori ripensassero le loro teorie o considerassero che forse Bernanke si intende un po’ di economia monetaria. Piuttosto, Taylor sembra aver stabilito un’altra teoria sulle ragioni per le quali il Governo sta sbagliando tutto – la sua analogia con il controllo degli affitti.

L’unica risposta possibile è rivolgersi alla logica ed ai fatti. Date le condizioni economiche reali, la politica monetaria americana ed europea non è troppo permissiva; semmai è troppo restrittiva. Il tasso di interesse “naturale” – che dovrebbe basarsi sul sistema walrasiano delle equazioni di equilibrio generale [2] – è effettivamente più basso di quello che l’attuale politica monetaria sta producendo. É vero, le aspettative inerti dell’economia si sono combinate con la politica monetaria per distorcere i tassi di interessi e di inflazione, ma non nella direzione che Taylor sta prospettando. Al contrario, a confronto con quello che è necessario (dato lo stato attuale dell’economia) o quello che un’economia di libero mercato, flessibile nei prezzi e in idonea condizione di equilibrio, avrebbe prodotto, i tassi di interesse sono troppo alti e l’inflazione è troppo bassa.

C’è in effetti qualcosa di sbagliato nei tassi di interesse odierni. Perché tali bassi tassi siano appropriati nell’economia attuale e sino a quanto continueranno ad essere appropriati, sono domande profonde e inquietanti; esse richiamano all’attenzione quello che Olivier Blanchard del MIT chiama “gli angoli bui” dell’economia, dove la ricerca ha sinora portato poca luce. Quello che Taylor e gli individui come lui non comprendono è che la ragione per la quale i tassi di interesse sono ingiusti ha poco a che fare con le politiche messe in atto dai banchieri centrali e dipende interamente dalla situazione che gli operatori pubblici si trovano ad affrontare.

 

 

[1] La forward guidance, o forward policy guidance, è uno degli strumenti a disposizione di una banca centrale per esercitare il proprio potere in politica monetaria al fine di condizionare, con i propri annunci, le aspettative dei mercati sui futuri livelli dei tassi di interesse. Si tratta, essenzialmente, di una strategia di comunicazione pubblica, che rientra nell’arsenale degli strumenti definiti “non convenzionali”, la cui utilità si rivela soprattutto in quelle situazioni economiche dette di trappola della liquidità, in cui gli spazi di manovra “classici” sui tassi di interesse sono estremamente ridotti a causa dal fatto che i tassi nominali a breve termine sono vicini allo zero. (Wikipedia)

Consistendo appunto nell’annunciare le politiche sul tasso di riferimento che si prevedono per il futuro, mi pare che si potrebbe tradurre semplicemente con politica di “comunicazione degli indirizzi futuri”.

[2] Marie Esprit Léon Walras (Évreux, 16 dicembre 1834Clarens-Montreux, 5 gennaio 1910) è stato un economista francese. Considerato da Joseph Schumpeter come “il più grande di tutti gli economisti”, fu il “padre” della prima formulazione completa della teoria di equilibrio economico generale. Walras edifica una teoria del valore secondo la quale il principio per la determinazione dei valori di scambio (prezzi) è fondato sul concetto di utilità marginale (“rareté”), che Walras esprime in termini di unità fisica di uno di essi (“numéraire”). Il modello viene arricchito recependo da Antoine Augustin Cournot il calcolo infinitesimale ed applicandolo all’economia pura. In tal modo Walras arrivò a dimostrare come, in condizioni di concorrenza perfetta, è possibile determinare un sistema di prezzi d’equilibrio che comporta l’eguaglianza tra domanda ed offerta in tutti i mercati, nonché l’eguaglianza tra costo di produzione e prezzo di vendita per ciascun bene e per ciascun imprenditore.

In tal modo, viene eliminato il mistero della “mano invisibile” in quanto non ce n’è più esigenza: mentre in Smith e nei classici, l’equilibrio era determinabile in due stadi – il primo era costituito dalla dimostrazione dell’esistenza logica dell’equilibrio, il secondo dalla dimostrazione del modo per arrivarvi – con Walras i due stadi sono diventati uno solo: dato che la dimostrazione dell’esistenza logica dell’equilibrio incorpora anche come arrivarvi, la “mano invisibile” non è più necessaria. (Wikipedia)

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