Blog di Krugman

L’economia si sta autocorreggendo? (per esperti) (30 novembre 2015)

 

Is The Economy Self-Correcting? (Wonkish)

November 30, 2015 2:02 pm

Via Mark Thoma, there have been multiple interesting responses to my post about what has and hasn’t worked in macro since 2008. I guess the piece was useful, if only for focusing debate.

What I want to focus on in this post is the suggestion by Brad DeLong that I missed a failed implication of Hicksian analysis — that demand shocks should be short-term in their effect. Actually, and very unusually, I think Brad has this wrong. The proposition of a long-run tendency toward full employment isn’t a primitive axiom in IS-LM. It’s derived from the model, under certain assumptions. But there’s good reason to believe that even under “normal” conditions it’s a very weak, slow process. And under liquidity trap conditions it’s not a process we expect to see operate at all.

How is the self-correction of an economy to its long-run equilibrium supposed to work? In textbook analysis, the story is that falling prices raise the real money supply, pushing down interest rates, and hence restoring employment.

So how rapidly would we expect this process to work? Let’s take the most favorable assumption, which is that of a constant velocity of money. Under those conditions, holding the money supply fixed would also hold nominal GDP fixed, so that a one percent fall in the price level would raise real output by one percent. The question then is how responsive prices are to the output gap.

Well, Blanchard, Cerutti and Summers have a new paper that estimates an an “anchored expectations” Phillips curve (aka an old-fashioned, pre-Friedman/Phelps curve), and finds the coefficient on unemployment for the US to be about -.25. That’s for unemployment; on output, given Okun’s Law, the coefficient should be only half that. This implies a half-life for output gaps of around 6 years. The long run is pretty long, in other words; we might not all be dead, but most of us will be hitting mandatory retirement.

And that’s assuming constant velocity. With interest rates dropping, part of the fall in prices should translate into a fall in velocity rather than a rise in real output, so the implied speed of adjustment should be even lower.

But wait, it gets worse: at the zero lower bound the process doesn’t work at all. In a liquidity trap, the proposition of a self-correcting economy falls down — in fact, what more flexible prices would do, arguably, is bring on a debt-deflation spiral.

Yes, a sufficiently large price fall could bring about expectations of future inflation — but that’s not the mechanism we’re talking about here.

You might ask, given this logic, why actual slumps usually don’t last all that long. The answer is, first, that the shocks causing slumps are often temporary; but second, in practice central banks don’t sit there passively, holding the money supply constant, but in fact push back against slumps with expansionary policy. The economy isn’t self-correcting, at least on a time scale that matters; it relies on Uncle Alan, or Uncle Ben, or Aunt Janet to get back to full employment.

Which brings us back to the liquidity trap, in which the central bank loses most if not all of its traction. Nothing about basic macro models says that there should be a fast return to long-run equilibrium under those conditions, so the failure to see such a fast return is actually a point in favor of the model, not a failure.

 

 

L’economia si sta autocorreggendo? (per esperti)

Per il tramite di Mark Thoma [1], c’è stata una varietà di risposte interessanti al mio post su quello che ha e non ha funzionato nella macroeconomia a partire dal 2008 [2]. Penso che l’articolo sia stato utile, se non altro a focalizzare il dibattito.

Ciò su cui mi voglio concentrare in questo post è il suggerimento di Brad DeLong secondo il quale avrei trascurato un aspetto implicito della analisi hicksiana che non è stato confermato – che gli shock della domanda dovrebbero avere effetto di breve termine. Per la verità, ed è assai inconsueto, io penso che Brad in questo caso abbia torto. Il concetto di una tendenza di lungo periodo verso la piena occupazione non è un assioma originario del modello IS-LM. Esso deriva dal modello, sulla base di alcuni assunti. Ma c’è una buona ragione per credere che persino in condizioni normali si tratti di un processo molto debole e lento. E nelle condizioni di una trappola di liquidità è un processo che non ci aspettiamo affatto di vedere all’opera.

Come si suppone che funzioni l’autocorrezione di un’economia verso il suo equilibrio di lungo periodo? Nell’analisi dei libri di testo, la spiegazione è che i prezzi in caduta accrescono l’offerta reale di moneta, spingendo in basso i tassi di interesse e di conseguenza ripristinando occupazione.

Dunque, quanto rapidamente ci si deve aspettare che questo processo operi? Assumiamo l’ipotesi più favorevole, che è quella di una velocità costante della moneta [3]. A quelle condizioni, tenere fissa l’offerta di moneta manterrebbe stabile anche il PIL nominale, cosicché una caduta dell’1 per cento nel livello dei prezzi aumenterebbe la produzione reale dell’1 per cento. La domanda, dunque, è quanto sono reattivi i prezzi al divario di produzione.

Ebbene, Blanchard, Cerutti e Summers presentano un nuovo studio che stima una curva di Phillips (ovvero, una curva vecchia maniera, prima di Friedman-Phelps [4]) “ancorata alle aspettative”, e scopre che il coefficiente di disoccupazione degli Stati Uniti è attorno al -0,25. In quel caso si tratta della disoccupazione; per la produzione, data la Legge di Okun [5], il coefficiente dovrebbe essere attorno alla metà. Questo implica una semi vita per i differenziali di produzione di circa 6 anni. In altre parole: il lungo periodo è abbastanza lungo; non dovremmo essere tutti morti, ma la maggior parte di noi avrà raggiunto il pensionamento obbligatorio.

E ciò accade supponendo una velocità costante. Con i tassi di interesse in discesa, parte della caduta dei prezzi dovrebbe tradursi in una caduta di velocità piuttosto che in una crescita della produzione reale, cosicché la implicita velocità di adeguamento dovrebbe essere persino più lenta.

Ma aspettate, è ancora peggio: al limite inferiore dello zero il processo non opera affatto. In una trappola di liquidità, la proposizione di una economia che si autocorregge viene meno – di fatto, ciò che farebbero prezzi più flessibili, verosimilmente, è dare origine ad una spirale debito-deflazione.

É vero, una caduta sufficientemente ampia dei prezzi potrebbe avere provocare aspettative di inflazione futura – ma non è questo il droide che stiamo osservando il meccanismo del quale in questo caso stiamo parlando.

Data questa logica, ci si potrebbe chiedere perché le crisi attuali solitamente non durano così a lungo. La risposta è che, anzitutto, gli shock che provocano le crisi sono spesso temporanei; ma in secondo luogo, in pratica le banche centrali non se ne stanno sedute passivamente, tenendo costante l’offerta di denaro, ma di fatto spingono indietro le crisi con una politica espansiva. L’economia non si sta autocorreggendo, almeno su una scala temporale significativa; si affida allo Zio Alan, o allo Zio Ben, o alla Zia Janet [6], per tornare alla piena occupazione.

La qualcosa mi riporta alla trappola di liquidità, nella quale la banca centrale perde la gran parte, se non tutta, della sua capacità di trazione. Niente dei modelli di base della macroeconomia dice che, in queste condizioni, ci dovrebbe essere un ritorno veloce all’equilibrio di lungo periodo, cosicché il fatto che non si assista a quel rapido ritorno è un punto a favore del modello, non un segno del suo insuccesso.

 

[1] Ovvero, del blog di Thoma che fornisce quotidianamente una sintesi molta ampia del dibattito economico statunitense.

[2] Il riferimento è al post precedente del 28 novembre, dal titolo “Domanda, offerta e modelli macroeconomici”.

[3] Si intende, una velocità di circolazione della moneta.

[4] Il tasso naturale di disoccupazione è un concetto economico sviluppato particolarmente da Milton Friedman e Edmund Phelps negli anni sessanta. Esso rappresenta l’ipotetico tasso di disoccupazione coerente con il livello potenziale della produzione aggregata. Questo è il tasso di disoccupazione che l’economia raggiunge in assenza di frizioni temporanee come ad esempio un aggiustamento solo parziale dei prezzi nei mercati dei beni e del lavoro. Il tasso naturale di disoccupazione corrisponde quindi al tasso di disoccupazione che prevarrebbe secondo l’economia classica. Esso è determinato prevalentemente dall’offerta aggregata, e quindi dalle possibilità di produzione e dalle istituzioni economiche. Se ciò determina disallineamenti permanenti nel mercato del lavoro, oppure rigidità nei salari reali, allora il tasso naturale di disoccupazione può rappresentare anche una disoccupazione involontaria, dovuto a persone che pur cercando un lavoro non riescono a trovarlo.

Disturbi all’equilibrio del sistema economico (ad esempio, variazioni cicliche nell’ottimismo o pessimismo dei soggetti economici) fanno sì che la disoccupazione effettiva sia diversa da quella naturale, e sia determinata in parte da fattori di domanda aggregata secondo una visione keynesiana della determinazione del PIL. L’implicazione, dal punto di vista della politica economica, è che il tasso naturale di disoccupazione non può essere ridotto in modo permanente da politiche di controllo della domanda (inclusa la politica monetaria), mentre tali politiche possono giocare un ruolo nella stabilizzazione delle variazioni della disoccupazione effettiva. Una riduzione del tasso naturale di disoccupazione, secondo questa teoria, deve essere ottenuta attraverso politiche strutturali dirette al lato dell’offerta dell’economia.

Lo sviluppo della teoria del tasso naturale di disoccupazione arrivò negli anni ’60 quando gli economisti osservarono che la relazione prevista dalla curva di Phillips tra inflazione e disoccupazione cominciò a venir meno. Fino ad allora, era generalmente accettata l’esistenza di una relazione stabilmente negativa tra inflazione e disoccupazione. Ciò implicava che la disoccupazione potesse essere ridotta in modo permanente da politiche espansive della domanda, e quindi da un’inflazione più elevata. Milton Friedman e Edmund Phelps criticarono questa idea su una base teorica, notando che se la disoccupazione fosse stata ridotta in modo permanente, qualche variabile economica reale (come i salari reali) sarebbe dovuta cambiare anch’essa in modo permanente. Il fatto che ciò dovesse accadere in conseguenza di un’inflazione più elevata, sembrava dovuto ad una sistematica irrazionalità del mercato del lavoro. Come notò Friedman, l’aumento dei salari prima o poi avrebbe uguagliato l’aumento dei prezzi dovuto all’inflazione, lasciando così i salari reali, e quindi la disoccupazione, invariati. Dunque, una disoccupazione più bassa poteva essere ottenuta finantochè l’aumento dei salari e l’inflazione attesa fossero stati inferiori all’inflazione realizzata. Tale risultato non poteva che essere considerato temporaneo. Prima o poi, la disoccupazione sarebbe tornata al tasso determinato da fattori reali indipendenti dal tasso di inflazione. Secondo Friedman e Phelps, la Curva di Phillips era quindi verticale nel lungo periodo, e politiche di domanda espansive avrebbero causato soltanto inflazione, senza abbassare permanentemente la disoccupazione. (Wikipedia)

[5] In economia, la Legge di Okun, che prende il nome dall’economista Arthur Melvin Okun (che la propose nel 1962) è una legge empirica che associa ad ogni punto aggiuntivo di disoccupazione ciclica (differenza tra tasso di disoccupazione naturale e disoccupazione totale), 2 punti percentuali di gap di produzione.

[6] I nomi degli ultimi tre Presidenti della Fed: Alan Greenspan, Ben Bernanke e Janet Yellen.

 

 

 

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