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I plutocrati e il pregiudizio, di Paul Krugman (New York Times 29 gennaio 2016)

 

Plutocrats and Prejudice

Paul KrugmanJAN. 29, 2016

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Every time you think that our political discourse can’t get any worse, it does. The Republican primary fight has devolved into a race to the bottom, achieving something you might have thought impossible: making George W. Bush look like a beacon of tolerance and statesmanship. But where is all the nastiness coming from?

Well, there’s debate about that — and it’s a debate that is at the heart of the Democratic contest.

Like many people, I’ve described the competition between Hillary Clinton and Bernie Sanders as an argument between competing theories of change, which it is. But underlying that argument is a deeper dispute about what’s wrong with America, what brought us to the state we’re in.

To oversimplify a bit — but only, I think, a bit — the Sanders view is that money is the root of all evil. Or more specifically, the corrupting influence of big money, of the 1 percent and the corporate elite, is the overarching source of the political ugliness we see all around us.

The Clinton view, on the other hand, seems to be that money is the root of some evil, maybe a lot of evil, but it isn’t the whole story. Instead, racism, sexism and other forms of prejudice are powerful forces in their own right. This may not seem like a very big difference — both candidates oppose prejudice, both want to reduce economic inequality. But it matters for political strategy.

As you might guess, I’m on the many-evils side of this debate. Oligarchy is a very real issue, and I was writing about the damaging rise of the 1 percent back when many of today’s Sanders supporters were in elementary school. But it’s important to understand how America’s oligarchs got so powerful.

For they didn’t get there just by buying influence (which is not to deny that there’s a lot of influence-buying out there). Crucially, the rise of the American hard right was the rise of a coalition, an alliance between an elite seeking low taxes and deregulation and a base of voters motivated by fears of social change and, above all, by hostility toward you-know-who.

Yes, there was a concerted, successful effort by billionaires to push America to the right. That’s not conspiracy theorizing; it’s just history, documented at length in Jane Mayer’s eye-opening new book “Dark Money.” But that effort wouldn’t have gotten nearly as far as it has without the political aftermath of the Civil Rights Act, and the resulting flip of Southern white voters to the G.O.P.

Until recently you could argue that whatever the motivations of conservative voters, the oligarchs remained firmly in control. Racial dog whistles, demagogy on abortion and so on would be rolled out during election years, then put back into storage while the Republican Party focused on its real business of enabling shadow banking and cutting top tax rates.

But in this age of Trump, not so much. The 1 percent has no problems with immigration that brings in cheap labor; it doesn’t want a confrontation over Planned Parenthood; but the base isn’t taking guidance the way it used to.

In any case, however, the question for progressives is what all of this says about political strategy.

If the ugliness in American politics is all, or almost all, about the influence of big money, then working-class voters who support the right are victims of false consciousness. And it might — might — be possible for a candidate preaching economic populism to break through this false consciousness, thereby achieving a revolutionary restructuring of the political landscape, by making a sufficiently strong case that he’s on their side. Some activists go further and call on Democrats to stop talking about social issues other than income inequality, although Mr. Sanders hasn’t gone there.

On the other hand, if the divisions in American politics aren’t just about money, if they reflect deep-seated prejudices that progressives simply can’t appease, such visions of radical change are naïve. And I believe that they are.

That doesn’t say that movement toward progressive goals is impossible — America is becoming both more diverse and more tolerant over time. Look, for example, at how quickly opposition to gay marriage has gone from a reliable vote-getter for the right to a Republican liability.

But there’s still a lot of real prejudice out there, and probably enough so that political revolution from the left is off the table. Instead, it’s going to be a hard slog at best.

Is this an unacceptably downbeat vision? Not to my eyes. After all, one reason the right has gone so berserk is that the Obama years have in fact been marked by significant if incomplete progressive victories, on health policy, taxes, financial reform and the environment. And isn’t there something noble, even inspiring, about fighting the good fight, year after year, and gradually making things better?

 

 

I plutocrati e il pregiudizio, di Paul Krugman

New York Times 29 gennaio 2016

Ogni volta che si pensa che il nostro dibattito politico non potrebbe essere peggiore, accade che peggiora. La battaglia delle primarie repubblicane è come una gara che ha toccato il fondo, realizzando qualcosa che si poteva pensare impossibile: far apparire George W. Bush quasi un lume di tolleranza e di senso dello Stato. Ma da dove vengono tutte queste brutture?

Ebbene, se ne sta discutendo – ed è un dibattito che è al centro della contesa tra i democratici.

Come molti, io ho descritto quella contesa tra Hillary Clinton e Bernie Sanders come un confronto tra due teorie del cambiamento, quale essa è. Ma sotto quel confronto c’è una disputa più profonda su cosa c’è di sbagliato in America, su cosa ci ha portato nella condizione in cui siamo.

Semplificando un po’ – ma solo un po’, penso – il punto di vista di Sanders è che il denaro è l’origine di tutti i mali. O, in modo più preciso, la influenza corrompitrice della grande finanza, dell’1 per cento dei più ricchi e delle classi dirigenti imprenditoriali, è la fonte onnicomprensiva delle brutture politiche che vediamo intorno a noi.

Il punto di vista della Clinton, d’altra parte, sembra essere che il denaro è la fonte di qualche male, forse di molti mali, ma non è l’unica spiegazione. Razzismo, sessismo ed altre forme di pregiudizio sono anch’esse, per conto loro, forze potenti. Questa può non sembrare una differenza molto grande – entrambi i candidati si oppongono al pregiudizio e vogliono ridurre l’ineguaglianza economica. Ma, dal punto di vista della strategia politica, è una differenza che conta.

Come vi potete immaginare, in questo dibattito io mi schiero per la tesi dei mali molteplici. L’oligarchia è sicuramente un tema reale, ed io scrivevo sulla ascesa dannosa dell’1 per cento dei più ricchi quando molti degli attuali sostenitori di Sanders erano alle scuole elementari. Ma è importante comprendere come gli oligarchi d’America siano diventati così potenti.

Perché essi non lo sono diventati solo comprando l’influenza (non si può negare che ci sia un gran commercio di influenza in giro). In modo cruciale, l’ascesa di una destra estrema in America è stata l’ascesa di una coalizione, di una alleanza tra classi dirigenti alla ricerca di tasse più basse e della deregolamentazione, ed una base di elettori motivata dalle paure del cambiamento sociale e, soprattutto, dall’ostilità verso Chi-Voi-Sapete [1].

É vero, c’è stato uno sforzo concertato e riuscito da parte dei miliardari per spingere l’America a destra. Non si tratta di una teoria della cospirazione; e solo storia, documentata dettagliatamente dal nuovo illuminante libro di Jane Mayer “Denaro oscuro”. Ma quello sforzo non sarebbe diventato neanche lontanamente quello che è, senza che vi fossero state le conseguenze politiche della Legge sui Diritti Civili, ed il conseguente ribaltamento degli elettori bianchi del Sud verso il Partito Repubblicano [2].

Sino a non molto tempo fa si poteva sostenere che, qualsiasi motivazione avessero gli elettori conservatori, gli oligarchi restavano saldamente sotto controllo. Gli ammiccamenti razzisti, la demagogia sull’aborto e tutto il resto sarebbero stati messi in scena negli anni delle elezioni, per poi essere ritirati in magazzino quando il Partito Repubblicano fosse passato a concentrarsi sui suoi affari reali, del consentire un sistema bancario ombra e del tagliare le aliquote fiscali sui più ricchi.

Ma in questa epoca di Trump, non è proprio così. L’1 per cento non ha problemi con l’immigrazione che porta con sé lavoro a basso costo; non vuole uno scontro su Planned Parenthood [3]; ma la base non sta dando l’indirizzo, nel modo in cui si era abituati.

Tuttavia, la questione per i progressisti è in ogni caso quale insegnamento trarne in termini di strategia politica.

Se la negatività della politica americana è tutta, o quasi tutta, relativa all’influenza della grande finanza, allora gli elettori della classe lavoratrice che sostengono la destra sono vittime di una falsa coscienza. E potrebbe – potrebbe – essere possibile per un candidato che predica il populismo economico fare breccia in questa falsa coscienza, di conseguenza realizzando una ristrutturazione rivoluzionaria del paesaggio politico, utilizzando l’argomento abbastanza forte della propria collocazione su quel fronte. Alcuni attivisti vanno oltre, sebbene Sanders non sia arrivato a quel punto, e chiedono ai democratici di smetterla di parlare su altri temi sociali che non siano l’ineguaglianza dei redditi.

D’altra parte, se le divisioni nella politica americana non riguardano soltanto il denaro, se esse riflettono pregiudizi profondi, verso i quali i progressisti non possono semplicemente essere compiacenti, tali visioni di un cambiamento radicale sono ingenue. Ed io credo che lo siano.

Questo non ci dice che lo spostamento verso gli obbiettivi progressisti sia impossibile – l’America sta diventando col tempo sia più diversificata che più tollerante. Si guardi, ad esempio, con quanta rapidità l’opposizione ai matrimoni gay da parte della destra sia passata da una promettente tattica elettoralistica ad un ostacolo per i repubblicani.

Ma c’è ancora una grande quantità di effettivo pregiudizio in circolazione, probabilmente a tal punto che quella rivoluzione politica da parte della sinistra è fuori dai giochi. Piuttosto, sta diventando nel migliori dei casi una impresa molto difficoltosa.

É questa una visione inaccettabilmente pessimistica? Non ai miei occhi. Dopo tutto, una ragione per la quale la destra è diventata così forsennata è stata che gli anni di Obama hanno di fatto segnato vittorie significative anche se incomplete da parte dei progressisti, sulla politica sanitaria, sulle tasse, sulla riforma finanziaria e sull’ambiente. E non c’è qualcosa di nobile, persino di ispiratore, nel combattere buone battaglie, anno dopo anno, e nel rendere le cose un po’ alla volta migliori?

 

[1] In genere “chi-voi-sapete” è un riferimento all’ “innominabile”; in questo caso alla popolazione di colore, all’eterna ossessione razzista di una parte degli americani.

[2] La legislazione sui diritti civili ebbe luogo negli anni di Johnson, quindi dopo l’assassinio e la fine prematura della Presidenza Kennedy. La scelta, sia pure assai contrastata, di Johnson e dei democratici di attuare allora tale legislazione – che in fondo era un lascito morale del kennedismo – provocò la rottura di una antica alleanza tra molti elettori degli Stati meridionali ed il Partito Democratico; provocò altresì il successo in quegli Stati del Partito Repubblicano, che di conseguenza si spostò su posizioni reazionarie su vari temi civili e sociali. E si consideri, a proposito del vero e proprio discrimine che fu provocato da quella legislazione, che lo stesso Johnson era stato in precedenza l’uomo politico più potente, tra i democratici, negli Stati meridionali.

[3] Una associazione americani che opera sui temi della “genitorialità consapevole”, che la destra ha di recente attaccato in modo piuttosto truffaldino sul tema dell’aborto.

 

 

 

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