Paul KrugmanJAN. 11, 2016
Do you remember the “Bush boom”? Probably not. Anyway, the administration of George W. Bush began its tenure with a recession, followed by an extended “jobless recovery.” By the summer of 2003, however, the economy began adding jobs again. The pace of job creation wasn’t anything special by historical standards, but conservatives insisted that the job gains after that trough represented a huge triumph, a vindication of the Bush tax cuts.
So what should we say about the Obama job record? Private-sector employment — the relevant number, as I’ll explain in a minute — hit its low point in February 2010. Since then we’ve gained 14 million jobs, a figure that startled even me, roughly double the number of jobs added during the supposed Bush boom before it turned into the Great Recession. If that was a boom, this expansion, capped by last month’s really good report, outbooms it by a wide margin.
Does President Obama deserve credit for these gains? No. In general, presidents and their policies matter much less for the economy’s performance than most people imagine. Times of crisis are an exception, and the Obama stimulus plan enacted in 2009 made a big positive difference. But that stimulus faded out fast after 2010, and has very little to do with the economy’s current situation.
The point, however, is that politicians and pundits, especially on the right, constantly insist that presidential policies matter a lot. And Mr. Obama, in particular, has been attacked at every stage of his presidency for policies that his critics allege are “job-killing” — the former House speaker, John Boehner, once used the phrase seven times in less than 14 minutes. So the fact that the Obama job record is as good as it is tells you something about the validity of those attacks.
What did Mr. Obama do that was supposed to kill jobs? Quite a lot, actually. He signed the 2010 Dodd-Frank financial reform, which critics claimed would crush employment by starving businesses of capital. He raised taxes on high incomes, especially at the very top, where average tax rates rose by about six and a half percentage points after 2012, a step that critics claimed would destroy incentives. And he enacted a health reform that went into full effect in 2014, amid claims that it would have catastrophic effects on employment.
Yet none of the dire predicted consequences of these policies have materialized. It’s not just that overall job creation in the private sector — which was what Mr. Obama was supposedly killing — has been strong. More detailed examinations of labor markets also show no evidence of predicted ill effects. For example, there’s no evidence that Obamacare led to a shift from full-time to part-time work, and no evidence that the expansion of Medicaid led to large reductions in labor supply.
So what do we learn from this impressive failure to fail? That the conservative economic orthodoxy dominating the Republican Party is very, very wrong.
In a way, that should have been obvious. For conservative orthodoxy has a curiously inconsistent view of the abilities and motivations of corporations and wealthy individuals — I mean, job creators.
On one side, this elite is presumed to be a bunch of economic superheroes, able to deliver universal prosperity by summoning the magic of the marketplace. On the other side, they’re depicted as incredibly sensitive flowers who wilt in the face of adversity — raise their taxes a bit, subject them to a few regulations, or for that matter hurt their feelings in a speech or two, and they’ll stop creating jobs and go sulk in their tents, or more likely their mansions.
It’s a doctrine that doesn’t make much sense, but it conveys a clear message that, whaddya know, turns out to be very convenient for the elite: namely, that injustice is a law of nature, that we’d better not do anything to make our society less unequal or protect ordinary families from financial risks. Because if we do, the usual suspects insist, we’ll be severely punished by the invisible hand, which will collapse the economy.
Economists could and did argue that history proves this doctrine wrong. After all, America achieved rapid, indeed unprecedented, income growth in the 1950s and 1960s, despite top tax rates beyond the wildest dreams of modern progressives. For that matter, there are countries like Denmark that combine high taxes and generous social programs with very good employment performance.
But for those who don’t know much about either history or the world outside America, the Obama economy offers a powerful lesson in the here and now. From a conservative point of view, Mr. Obama did everything wrong, afflicting the comfortable (slightly) and comforting the afflicted (a lot), and nothing bad happened. We can, it turns out, make our society better after all.
Il boom di Obama, di Paul Krugman
New York Times 11 gennaio 2016
Vi ricordate il “boom di Bush”? Probabilmente no. In ogni modo, la Amministrazione di George W. Bush cominciò a governare con una recessione, seguita da una prolungata “ripresa senza posti di lavoro”. Con l’estate del 2003, tuttavia, l’economia ricominciò ad aumentare i posti di lavoro. Secondo i parametri storici la creazione di posti di lavoro non fu niente di eccezionale, ma i conservatori pretesero che gli aumenti di posti di lavoro dopo una tale depressione rappresentassero un grande trionfo, una conferma della giustezza degli sgravi fiscali di Bush.
Cosa dovremmo dire, dunque, del record di posti di lavoro di Obama? L’occupazione nel settore privato – il dato rilevante, come spiegherò subito – toccò il suo punto basso nel febbraio del 2010. Da allora abbiamo guadagnato 14 milioni di posti di lavoro, un numero che ha colto di sorpresa anche me, grosso modo il doppio dei posti di lavoro aumentati durante il preteso boom di Bush, prima di precipitare nella Grande Recessione. Se quello era un boom, questa espansione, che secondo l’ultimo rapporto davvero positivo ha toccato il punto massimo nel mese scorso, lo surclassa con ampio margine.
Merita il Presidente Obama di vedersi accreditare questi miglioramenti? No. In generale, i Presidenti e le loro politiche sono molto meno importanti per le prestazioni dell’economia di quello che la maggioranza delle persone ritengono. I tempi di crisi costituiscono una eccezione, e il programma di misure di sostegno deliberato da Obama nel 2009 fece positivamente una grande differenza. Ma quello stimolo svanì rapidamente dopo il 2009, ed ha poco a che fare con l’attuale situazione dell’economia.
Il punto, tuttavia, è che gli uomini politici ed i commentatori, specialmente a destra, ribadiscono costantemente che le politiche presidenziali sono molto importanti. E, in particolare Obama, è stato attaccato in ogni fase della sua Presidenza per politiche che si pretendeva provocassero “uno sterminio di posti di lavoro” – il passato Presidente della Camera, John Boehner, una volta usò quella espressione sette volte in meno di 14 minuti. Dunque, il fatto che il record di posti di lavoro sia così positivo vi dice qualcosa sulla validità di quegli attacchi.
Cosa ha fatto Obama da far supporre che stesse distruggendo posti di lavoro? Per la verità, parecchie cose. Diede il suo visto nel 2010 alla riforma finanziaria Dodd-Frank, che secondi i critici avrebbe distrutto l’occupazione privando le imprese di capitali. Ha alzato le tasse sui redditi alti, in particolare su quelli molto alti, dove le aliquote fiscali medie sono cresciute di circa 6 punti percentuali e mezzo dopo il 2012, una scelta che secondo i critici avrebbe distrutto gli incentivi. Ed ha approvato una riforma sanitaria che è pienamente entrata in funzione nel 2014, in mezzo a pretese secondo le quali ciò avrebbe avuto effetti catastrofici sull’occupazione.
Tuttavia, nessuna di quelle terribili previste conseguenze si è materializzata. Non si tratta soltanto del fatto che la creazione complessiva di posti di lavoro nel settore privato – che era quello che si supponeva Obama stesse mettendo in crisi – è stata forte. Anche analisi più dettagliate dei mercati del lavoro non mostrano alcuna testimonianza di quei previsti effetti negativi. Ad esempio, non c’è alcuna prova che la riforma della assistenza di Obama abbia portato ad uno spostamento dal lavoro a tempo intero a quello a tempo parziale, e non c’è alcuna prova che l’ampliamento di Medicaid abbia comportato grandi riduzioni nell’offerta di lavoro.
Cosa apprendiamo, dunque, da questa impressionante assenza dei fallimenti previsti? Che l’ortodossia conservatrice che domina il Partito Repubblicano è completamente sbagliata.
In un modo, peraltro, che avrebbe dovuto essere prevedibile. Perché l’ortodossia conservatrice esprime un punto di vista curiosamente incoerente sulle capacità e sulle motivazioni delle società e delle persone ricche – voglio dire, dei creatori di posti di lavoro.
Da una parte, si immagina che i componenti di questa élite siano un mucchio di supereroi, capaci di produrre la prosperità generale facendo appello alla magia del mercato. D’altra parte, vengono raffigurati come dei fiori incredibilmente sensibili che avvizziscono di fronte alla avversità – alzate un po’ le loro tasse, sottoponeteli a pochi regolamenti, per non dire urtate con un discorso o due le loro suscettibilità, e smetteranno di creare posti di lavoro e si ritireranno nelle loro accampamenti, o più probabilmente nelle loro grandi ville.
É una dottrina non molto sensata, ma diffonde une messaggio chiaro che, chi l’avrebbe detto, si scopre essere molto conveniente per l’élite: precisamente, che l’ingiustizia è una legge di natura, che sarebbe meglio non far nulla per rendere la nostra società meno ineguale o per proteggere le famiglie normali dai rischi finanziari. Perché se si fa qualcosa, ripetono i soliti noti, saremo severamente puniti dalla mando invisibile, che farà crollare l’economia.
Gli economisti potevano argomentare che la storia dimostra che la dottrina è sbagliata, e l’hanno fatto. Dopo tutto, l’America ottenne una rapida crescita dei redditi, davvero senza precedenti, negli anni ’50 e ’60, nonostante che le aliquote fiscali ai livelli più alti fossero al di là dei sogni più pazzeschi dei progressisti moderni. Analogamente, ci sono paesi come la Danimarca che combinano tasse elevate e generosi programmi sociali con ottimi andamenti dell’occupazione.
Ma per coloro che non conoscono granché né la storia né il mondo fuori dall’America, l’economia di Obama offre, nell’immediato, una lezione poderosa. Da un punto di vista conservatore, il signor Obama ha sbagliato tutto, ha afflitto (leggermente) i benestanti ed ha confortato (assai) gli afflitti, e non è successo niente di grave. Si scopre che, dopo tutto, si può rendere migliore la nostra società.
By mm
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