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La grande ineguaglianza è necessaria? Di Paul Krugman (New York Times 15 gennaio 2016)

 

Is Vast Inequality Necessary?

Paul KrugmanJAN. 15, 2016

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How rich do we need the rich to be?

That’s not an idle question. It is, arguably, what U.S. politics are substantively about. Liberals want to raise taxes on high incomes and use the proceeds to strengthen the social safety net; conservatives want to do the reverse, claiming that tax-the-rich policies hurt everyone by reducing the incentives to create wealth.

Now, recent experience has not been kind to the conservative position. President Obama pushed through a substantial rise in top tax rates, and his health care reform was the biggest expansion of the welfare state since L.B.J. Conservatives confidently predicted disaster, just as they did when Bill Clinton raised taxes on the top 1 percent. Instead, Mr. Obama has ended up presiding over the best job growth since the 1990s. Is there, however, a longer-term case in favor of vast inequality?

It won’t surprise you to hear that many members of the economic elite believe that there is. It also won’t surprise you to learn that I disagree, that I believe that the economy can flourish with much less concentration of income and wealth at the very top. But why do I believe that?

I find it helpful to think in terms of three stylized models of where extreme inequality might come from, with the real economy involving elements from all three.

First, we could have huge inequality because individuals vary hugely in their productivity: Some people are just capable of making a contribution hundreds or thousands of times greater than average. This is the view expressed in a widely quoted recent essay by the venture capitalist Paul Graham, and it’s popular in Silicon Valley — that is, among people who are paid hundreds or thousands of times as much as ordinary workers.

Second, we could have huge inequality based largely on luck. In the classic old movie “The Treasure of the Sierra Madre,” an old prospector explains that gold is worth so much — and those who find it become rich — thanks to the labor of all the people who went looking for gold but didn’t find it. Similarly, we might have an economy in which those who hit the jackpot aren’t necessarily any smarter or harder working than those who don’t, but just happen to be in the right place at the right time.

Third, we could have huge inequality based on power: executives at large corporations who get to set their own compensation, financial wheeler-dealers who get rich on inside information or by collecting undeserved fees from naïve investors.

As I said, the real economy contains elements of all three stories. It would be foolish to deny that some people are, in fact, a lot more productive than average. It would be equally foolish, however, to deny that great success in business (or, actually, anything else) has a strong element of luck — not just the luck of being the first to stumble on a highly profitable idea or strategy, but also the luck of being born to the right parents.

And power is surely a big factor, too. Reading someone like Mr. Graham, you might imagine that America’s wealthy are mainly entrepreneurs. In fact, the top 0.1 percent consists mainly of business executives, and while some of these executives may have made their fortunes by being associated with risky start-ups, most probably got where they are by climbing well-established corporate ladders. And the rise in incomes at the top largely reflects the soaring pay of top executives, not the rewards to innovation.

But the real question, in any case, is whether we can redistribute some of the income currently going to the elite few to other purposes without crippling economic progress.

Don’t say that redistribution is inherently wrong. Even if high incomes perfectly reflected productivity, market outcomes aren’t the same as moral justification. And given the reality that wealth often reflects either luck or power, there’s a strong case to be made for collecting some of that wealth in taxes and using it to make society as a whole stronger, as long as it doesn’t destroy the incentive to keep creating more wealth.

And there’s no reason to believe that it would. Historically, America achieved its most rapid growth and technological progress ever during the 1950s and 1960s, despite much higher top tax rates and much lower inequality than it has today.

In today’s world, high-tax, low-inequality countries like Sweden are also both highly innovative and home to many business start-ups. This may in part be because a strong safety net encourages risk-taking: People may be willing to prospect for gold, even if a successful foray won’t make them quite as rich as before, if they know they won’t starve if they come up empty.

So coming back to my original question, no, the rich don’t have to be as rich as they are. Inequality is inevitable; the vast inequality of America today isn’t.

 

La grande ineguaglianza è necessaria? Di Paul Krugman

New York Times 15 gennaio 2016

Quanto abbiamo bisogno di essere ricchi?

Questa non è una domanda oziosa. Probabilmente è l’oggetto fondamentale della politica negli Stati Uniti. I progressisti vogliono aumentare le tasse sui redditi alti e usarne il ricavato per rafforzare il sistema della sicurezza sociale; i conservatori vogliono l’inverso, sostenendo che la politica di tassare i ricchi danneggia tutti, riducendo gli incentivi a creare ricchezza.

Ora, l ‘esperienza recente non è stata del genere della posizione dei conservatori. Il Presidente Obama ha fatto approvare un aumento sostanziale delle tasse sui più ricchi, e la sua riforma della assistenza sanitaria ha costituito la più grande espansione dello stato assistenziale dall’epoca di Lindon B. Johnson [1]. I conservatori avevano previsto con convinzione un disastro, proprio come fecero quando Bill Clinton elevò e tasse sull’1 per cento dei più ricchi. Invece, la presidenza di Obama ha finito col coincidere con la migliore crescita dei posti di lavoro a partire dagli anni ’90. C’è, tuttavia, un argomento a favore di una grande ineguaglianza nel più lungo periodo?

Non vi sorprenderà sapere che molti membri delle classi dirigenti dell’economia credono che ci sia. Neanche vi sorprenderà sapere che io non sono d’accordo, che io creda che l’economia può prosperare con una concentrazione molto minore di reddito e di ricchezza al vertice. Ma perché ne sono convinto?

Mi pare utile ragionarne nei termini di tre modelli semplificati sulla possibile provenienza della ineguaglianza estrema, tutti e tre comprendenti aspetti dell’economia reale.

Il primo, potremmo avere una ampia ineguaglianza perché gli individui sono grandemente diversi nella loro produttività: alcune persone sono semplicemente capaci di fornire un contributo che è centinaia di migliaia di volte superiore alla media. Questo è il punto di vista espresso in un recente saggio ampiamente citato di Paul Graham, un investitore di capitali di rischio, ed è popolare a Silicon Valley – ovvero, tra la gente che viene pagata centinaia di volte un lavoratore normale.

Il secondo, potremmo avere una vasta ineguaglianza in gran parte basata sulla fortuna. Nel vecchio classico film “Il tesoro della Sierra Madre”, un vecchio cercatore spiega che l’oro ha tanto valore – e quelli che lo trovano diventano tanto ricchi – grazie al lavoro di tutte le persone che sono andate a cercarlo ma non l’hanno trovato. In modo simile, potremmo avere un’economia nella quale coloro che hanno ‘vinto la lotteria’ non sono necessariamente più furbi o non hanno lavorato più duramente di coloro che non l’hanno vinta, ma gli è solo capitato di essere al posto giusto al momento giusto.

Il terzo, potremmo avere una vasta ineguaglianza che si basa sul potere: i dirigenti presso grandi società ai quali è permesso di stabilire i loro compensi, gli intrallazzatori finanziari che diventano ricchi tramite informazioni riservate oppure raccogliendo immeritate commissioni da investitori ingenui.

Come ho detto, l’economia reale contiene elementi di tutte e tre le storie. Sarebbe sciocco negare che una grande successo negli affari (o, per la verità, in tutto il resto) abbia una forte componente di fortuna – non solo la fortuna di essere i primi ad incappare in una idea o in una strategia che genera elevati profitti, ma anche la fortuna di esser nati dai genitori giusti.

Ed anche il potere, sicuramente, è un grande fattore. Leggendo qualcuno come il signor Graham, potreste immaginare che i ricchi americani siano principalmente imprenditori. Di fatto, lo 0,1 per cento dei più ricchi consiste principalmente di amministratori di imprese, e mentre alcuni di questi amministratori possono aver fatto le loro fortune essendo associati a nuove imprese strategiche, molto probabilmente sono diventati quello che sono scalando ben definite scale all’interno delle società. E la crescita dei redditi al vertice riflette ampiamente i compensi saliti alle stelle degli amministratori in posizione apicale, non i premi alla innovazione.

Ma la domanda vera, in ogni caso, è se si possa redistribuire una parte del reddito che attualmente va ai pochi componenti delle élite per altri scopi, senza bloccare il progresso economico.

Non si dica che la redistribuzione è intrinsecamente sbagliata. Persino se gli alti redditi riflettessero perfettamente la produttività, i risultati di mercato non sono comunque una giustificazione morale. E considerato il fatto reale che la ricchezza riflette spesso sia fortuna che potere, si può avanzare un argomento forte per raccogliere una parte di quella ricchezza in tasse ed usarla per rendere la società nel suo complesso più forte, fin tanto che ciò non distrugge l’incentivo a continuare a creare maggiore ricchezza.

E non c’è ragione per credere che sarebbe così. Storicamente, l’America ottenne negli anni ’50 e ’60 la crescita e il progresso tecnologico più rapido che in ogni altra epoca, nonostante aliquote fiscali più alte sui redditi maggiori e una ineguaglianza molto minore di oggi.

Nel mondo odierno, paesi con alte tasse e bassa ineguaglianza come la Svezia sono altamente innovativi ed ospitano molte imprese innovative. Questo in parte può dipendere da forti sistemi di sicurezza sociale che incoraggiano l’assunzione di rischi: le persone possono aver voglia di cercare l’oro persino se una iniziativa di successo non li renderà altrettanto ricchi di prima, a condizione che sappiano che non patiranno la fame e non ne verranno fuori svuotati.

Dunque, per tornare alla mia domanda originaria, no, i ricchi non hanno bisogno di essere così ricchi come sono. L’ineguaglianza è inevitabile; l’immensa ineguaglianza della America odierna non lo è.

 

[1] Non sembri strano. Le iniziative di potenziamento dello Stato assistenziale con Johnson – che in sostanza eseguirono con coerenza il mandato annunciato da Kennedy – così come le iniziative in materia di diritti civili, sono state le più rilevanti, sino alla riforma sanitaria recente di Obama.

 

 

 

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