Paul KrugmanJAN. 18, 2016
Health reform is the signature achievement of the Obama presidency. It was the biggest expansion of the social safety net since Medicare was established in the 1960s. It more or less achieves a goal — access to health insurance for all Americans — that progressives have been trying to reach for three generations. And it is already producing dramatic results, with the percentage of uninsured Americans falling to record lows.
Obamacare is, however, what engineers would call a kludge: a somewhat awkward, clumsy device with lots of moving parts. This makes it more expensive than it should be, and will probably always cause a significant number of people to fall through the cracks.
The question for progressives — a question that is now central to the Democratic primary — is whether these failings mean that they should re-litigate their own biggest political success in almost half a century, and try for something better.
My answer, as you might guess, is that they shouldn’t, that they should seek incremental change on health care (Bring back the public option!) and focus their main efforts on other issues — that is, that Bernie Sanders is wrong about this and Hillary Clinton is right. But the main point is that we should think clearly about why health reform looks the way it does.
If we could start from scratch, many, perhaps most, health economists would recommend single-payer, a Medicare-type program covering everyone. But single-payer wasn’t a politically feasible goal in America, for three big reasons that aren’t going away.
First, like it or not, incumbent players have a lot of power. Private insurers played a major part in killing health reform in the early 1990s, so this time around reformers went for a system that preserved their role and gave them plenty of new business.
Second, single-payer would require a lot of additional tax revenue — and we would be talking about taxes on the middle class, not just the wealthy. It’s true that higher taxes would be offset by a sharp reduction or even elimination of private insurance premiums, but it would be difficult to make that case to the broad public, especially given the chorus of misinformation you know would dominate the airwaves.
Finally, and I suspect most important, switching to single-payer would impose a lot of disruption on tens of millions of families who currently have good coverage through their employers. You might say that they would end up just as well off, and it might well be true for most people — although not those with especially good policies. But getting voters to believe that would be a very steep climb.
What this means, as the health policy expert Harold Pollack points out, is that a simple, straightforward single-payer system just isn’t going to happen. Even if you imagine a political earthquake that eliminated the power of the insurance industry and objections to higher taxes, you’d still have to protect the interests of workers with better-than-average coverage, so that in practice single-payer, American style, would be almost as kludgy as Obamacare.
Which brings me to the Affordable Care Act, which was designed to bypass these obstacles. It was careful to preserve and even enlarge the role of private insurers. Its measures to cover the uninsured rely on a combination of regulation and subsidies, rather than simply on an expansion of government programs, so that the on-budget cost is limited — and can, in fact, be covered without raising middle-class taxes. Perhaps most crucially, it leaves employer-based insurance intact, so that the great majority of Americans have experienced no disruption, in fact no change in their health-care experience.
Even so, achieving this reform was a close-run thing: Democrats barely got it through during the brief period when they controlled Congress. Is there any realistic prospect that a drastic overhaul could be enacted any time soon — say, in the next eight years? No.
You might say that it’s still worth trying. But politics, like life, involves trade-offs.
There are many items on the progressive agenda, ranging from an effective climate change policy, to making college affordable for all, to restoring some of the lost bargaining power of workers. Making progress on any of these items is going to be a hard slog, even if Democrats hold the White House and, less likely, retake the Senate. Indeed, room for maneuver will be limited even if a post-Trump Republican Party moves away from the scorched-earth opposition it offered President Obama.
So progressives must set some priorities. And it’s really hard to see, given this picture, why it makes any sense to spend political capital on a quixotic attempt at a do-over, not of a political failure, but of health reform — their biggest victory in many years.
Realtà della riforma sanitaria, di Paul Krugman
New York Times 18 gennaio 2016
La riforma sanitaria è la realizzazione distintiva della Presidenza di Obama. Ha rappresentato la più grande espansione della rete della sicurezza sociale dalla nascita di Medicare negli anni ’60. Essa realizza, più o meno, un obbiettivo che i progressisti avevano cercato di raggiungere per tre generazioni: l’accesso alla assicurazione sanitaria per tutti gli americani. E sta già producendo risultati spettacolari, con la percentuale degli americani non assicurati che sta cadendo ai minimi storici.
La riforma di Obama è, tuttavia, quello che gli ingegneri chiamerebbero un modello approssimativo: qualcosa come un congegno complicato e impacciato con un quantità di componenti semoventi. Questo la rende più dispendiosa di quanto dovrebbe essere, e probabilmente costringerà un numero significativo di persone a perdersi nei suoi meandri.
La domanda per i progressisti – una domanda che adesso è centrale nelle primarie democratiche – è se questi difetti significano che essi dovrebbero riaprire una disputa sul loro successo politico più grande in quasi mezzo secolo, e cercare qualcosa di meglio.
Come potete immaginarvi, la mia risposta è che non dovrebbero farlo, che dovrebbero cercare modesti cambiamenti progressivi sulla assistenza sanitaria (riproporre l’opzione pubblica! [1]) e concentrare i loro sforzi principali su altri temi – vale a dire, che Bernie Sanders su questo ha torto ed ha ragione Hillary Clinton. Ma il punto principale è che dovremmo ragionare chiaramente sui motivi per i quali la riforma sanitaria appare in questo modo.
Se potessimo partire da zero, molti, forse la maggioranza, degli economisti sanitari raccomanderebbero una forma di pagamenti centralizzata, un programma del genere di Medicare che fornisca copertura a tutti. Ma un sistema centralizzato di pagamenti non era un obbiettivo politicamente realizzabile in America, per tre grandi ragioni che non sono scomparse.
La prima, che piaccia o no, è che gli attori che sono sul campo hanno grande potere. Gli assicuratori della sanità svolsero un ruolo importante nell’affossare la riforma sanitaria nei primi anni ’90, cosicché questa volta i riformatori si sono adattati ad un sistema che preservava il loro ruolo e dava a loro una quantità di nuovi affari.
In secondo luogo, un sistema centralizzato richiederebbe entrate fiscali aggiuntive – e stiamo parlando di tasse sulla classe media, non sui più ricchi. É vero che tasse più elevate sarebbero bilanciate da una brusca riduzione e persino dalla eliminazione delle polizze assicurative private, ma sarebbe difficile perorare questa causa con il più vasto pubblico, in particolare considerato il coro di disinformazione che come si sa dominerebbe la comunicazione.
Infine, ed ho il sospetto che sia l’aspetto più importante, un sistema centralizzato imporrebbe un grande scompiglio per decine di milioni di famiglie che adesso hanno una buona copertura attraverso i loro datori di lavoro. Potreste dire che essi finirebbero proprio nelle condizioni dei benestanti, e potrebbe essere certamente vero per la maggioranza delle persone – sebbene non per coloro che hanno polizze particolarmente buone. Ma convincere gli elettori sarebbe una salita molto impervia.
Quello che ciò significa, come mette in evidenza l’esperto di politica sanitaria Harold Pollack, è che un semplice e diretto sistema centralizzato semplicemente non è destinato a realizzarsi. Anche se si immagina un terremoto politico che elimini il potere del settore assicurativo e le obiezioni ad un aumento delle tasse, si dovrebbero sempre proteggere i lavoratori con forme di assistenza migliori della media, in modo tale che in pratica un sistema centralizzato, nella versione americana, sarebbe un congegno complicato quasi come la riforma di Obama.
Il che mi riconduce alla Legge sulla Assistenza Sostenibile, che era stata congegnata per eludere questi ostacoli. Essa cercava con scrupolo di preservare e persino di ampliare il ruolo degli assicuratori privati. Le sue misure per coprire i non assicurati si basano su una combinazione di regolamenti e di sussidi, anziché semplicemente su una espansione dei programmi pubblici, cosicché il costo sul bilancio è limitato – e di fatto può essere coperto senza gravare sulle tasse della classe media. In modo forse più ancora cruciale, lascia intatta l’assicurazione basata sui datori di lavoro, cosicché la grande maggioranza degli americani non hanno conosciuto alcuno sconvolgimento, in sostanza senza alcun cambiamento nella loro esperienza di assistenza sanitaria.
Anche in questo modo, realizzare questa riforma è stato un risultato molto combattuto: i democratici l’hanno di misura ottenuto nel breve periodo nel quale hanno controllato il Congresso. C’è una qualche prospettiva realistica che una drastica revisione possa essere legiferata entro tempi brevi – diciamo, nei prossimi otto anni? No.
Potreste sostenere che tuttavia meriterebbe provare. Ma la politica, come la vita, è fatta di scambi.
Ci sono molti temi nell’agenda dei progressisti, che spaziano da una efficace politica sul cambiamento climatico, a rendere le università sostenibili per tutti, a ripristinare una parte del potere contrattuale perduto dei lavoratori. Fare progressi su ognuna di queste tematiche è destinato ad essere un lavoro arduo, anche se i democratici manterranno la Casa Bianca e, meno probabile, riconquisteranno il Senato. Infatti, lo spazio di manovra sarà limitato anche se un Partito Repubblicano successivo al fenomeno Trump prendesse le distanze da una opposizione da terra bruciata, che è quanto ha riservato al Presidente Obama.
Dunque, i progressisti debbono definire alcune priorità. E, dato questo quadro, è davvero difficile capire perché spendere capitale politico su un tentativo visionario di rifare da capo, non un fallimento politico, ma la riforma sanitaria – la loro più grande vittoria in molti anni.
[1] Mi pare che significhi introdurre la possibilità di scelta tra un sistema di tipo privatistico – sia pure con forti sussidi pubblici – ed un sistema simile alla assistenza garantita con Medicaid o con Medicare.
By mm
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