Blog di Krugman

L’economia politica dei tassi di interesse, rivisitata (12 febbraio 2016)

 

Feb 12 7:44 am

The Political Economy of Interest Rates Revisited

A few months back there was a debate over the sources of pressure on the Fed to raise rates; part of what drove that debate was the clear division between Fed insiders, like Stan Fischer, who seemed eager to raise rates, and outsiders, like Larry Summers and myself, who were strenuously against a rate hike. What was odd about that debate was that there was little if any obvious difference in economic ideology between the two sides. So what made Keynesian central bankers much more inclined to raise rates, much less receptive to the argument that risks are asymmetric — waiting a bit too long is no big deal, moving too soon can be a disaster — than their colleagues/counterparts/former students outside the system?

Well, I argued that it had a lot to do with the way central bankers talk all the time to private bankers — and that bankers are hurt a lot by low interest rates. Others, however, questioned the premise, arguing that there was no good reason to believe that low rates were especially bad for bank profits.

May I say that recent events seem to have settled that argument in my favor? Banks are now howling — and genuinely suffering — as negative rates spread around the world. Tim Duy:

But the collapse in banking stocks suggests strongly that negative interest rates are not compatible with our current economic institutions. The system relies on the banks, and the banks need to make money, and they struggle to do so in a negative rate environment. Should it be any surprise that the threat of global negative rates is slamming the financial sector?

And surely the adverse effects don’t begin precisely at zero; low rates must already put a squeeze on banks.

So I think we have an explanation of rate-hike bias: it’s the influence of the financial industry. At the same time, however, we also see that we’re talking about influence, not complete control or anything like it. The Fed has, I’d argue, been swayed by banks’ interests — not by crude corruption, but by the fact of who they talk to all the time. But that influence hasn’t stopped the Fed and other central banks from pursuing policies that the banks really hate in an effort to pursue their primary job, which is stabilizing the economy. At most we’re talking about a tilt in policy.

The relevance of this discussion to current Democratic politics — and to today’s column — seems obvious.

 

L’economia politica dei tassi di interesse, rivisitata

Pochi mesi fa ci fu un dibattito sull’origine delle pressioni alla Fed per alzare i tassi; in parte quel che quel dibattito mostrò la netta divisione tra coloro che operano dentro la Fed, come Stan Fischer, che pareva ansioso di elevare i tassi, e coloro che sono all’esterno, come Larry Summers ed il sottoscritto, che eravamo decisamente contrari ad un rialzo dei tassi. A proposito di quel dibattito, quello che era curioso era che c’era poca visibile differenza sulla ideologia economica dei due schieramenti, ammesso ce ne fosse una. Cosa rendeva banchieri centrali keynesiani molto più inclini ad elevare i tassi e molto meno recettivi all’argomento secondo il quale i rischi sono asimmetrici (attendere un po’ troppo a lungo non è una grande faccenda, muoversi troppo presto può essere un disastro), rispetto ai loro colleghi/omologhi/ex studiosi collocati all’esterno del sistema?

Ebbene, io sostenni che questo aveva molto a che fare con il fatto che i banchieri centrali parlano tutto il tempo con i banchieri privati – e che i banchieri sono colpiti da bassi tassi di interesse. Altri, tuttavia, misero in dubbio la premessa, sostenendo che non c’era alcuna buona ragione per credere che i bassi tassi fossero particolarmente negativi per i profitti delle banche.

Posso affermare adesso che gli avvenimenti recenti sembrano aver risolto a mio favore la controversia? La banche stanno adesso lamentandosi – ed effettivamente soffrendo – mentre i tassi negativi che si diffondono nel mondo. Tim Duy:

“Ma il collasso delle riserve bancarie indica con forza che i tassi di interesse negativi non sono compatibili con le nostre attuali istituzioni economiche. Il sistema si bada sulle banche, e le banche hanno bisogno di far soldi, ed esse hanno difficoltà a farlo in un contesto di tassi così negativo. Dovrebbe essere sorprendente che la minaccia di tassi di interesse negativi stia cozzando contro il sistema finanziario?”

E certamente gli effetti negativi non iniziano proprio al livello zero: bassi tassi devono già provocare una stretta sulle banche.

Penso dunque che abbiamo una spiegazione della spinta verso il rialzo dei tassi: si tratta dell’influenza del sistema finanziario. Nello stesso tempo, tuttavia, osserviamo anche che stiamo parlando di influenza, non di completo controllo o di qualcosa di simile. Direi che la Fed è stata influenzata dagli interessi delle banche – non per effetto di una volgare corruzione, ma per il fatto che sono in continuo rapporto con esse. Ma quella influenza non ha fermato la Fed e le altre banche dal perseguire politiche che le banche vedono davvero come il fumo negli occhi, nello sforzo di eseguire il proprio compito primario, che è stabilizzare l’economia. Nella maggioranza dei casi stiamo parlando di una inclinazione nella politica.

Il rilievo di questo dibattito sulla attuale politica dei democratici – e sul mio articolo di oggi [1] – sembra evidente.

 

[1] Il riferimento è all’articolo del 12 febbraio “Sulla stupidità politica”.

 

 

 

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