Paul KrugmanFEB. 12, 2016
Bill Clinton’s 1992 campaign famously focused on “the economy, stupid.” But macroeconomic policy — what to do about recessions — has been largely absent from this year’s election discussion.
Yet economic risks have by no means been banished from the world. And you should be frightened by how little many of the people who would be president have learned from the past eight years.
If you’ve been following the financial news, you know that there’s a lot of market turmoil out there. It’s nothing like 2008, at least so far, but it’s worrisome.
Once again we have a substantial amount of troubled debt, this time not home mortgages but loans to energy companies, hit hard by plunging oil prices. Meanwhile, formerly trendy emerging economies like Brazil are suddenly doing very badly, and China is stumbling. And while the U.S. economy is doing better than almost anyone else’s, we’re definitely not immune to contagion.
Nobody really knows how bad it will be, but financial markets are flashing warnings. Bond markets, in particular, are behaving as if investors expect many years of extreme economic weakness. Long-term U.S. rates are near record lows, but that’s nothing compared with what’s happening overseas, where many interest rates have gone negative.
And super-low interest rates, which mainly reflect market forces, not policy, are creating problems for banks, whose profits depend on being able to lend money for substantially more than they pay on deposits. European banks are in the biggest trouble, but U.S. bank stocks have fallen a lot, too.
It looks, in other words, as if we’re still living in the economic era we entered in 2008 — an era of persistent weakness, in which deflation and depression, not inflation and deficits, are the key challenges. So how well do we think the various presidential wannabes would deal with those challenges?
Well, on the Republican side, the answer is basically, God help us. Economic views on that side of the aisle range from fairly crazy to utterly crazy.
Leading the charge of the utterly crazy is, you won’t be surprised to hear, Donald Trump, who has accused the Fed of being in the tank for Democrats. A few months ago he asserted that Janet Yellen, chairwoman of the Fed, hadn’t raised rates “because Obama told her not to.” Never mind the fact that inflation remains below the Fed’s target and that in the light of current events even the Fed’s small December rate hike now looks like a mistake, as a number of us warned it was.
Yet the truth is that Mr. Trump’s position isn’t that far from the Republican mainstream. After all, Paul Ryan, the speaker of the House, not only berated Ben Bernanke, Ms. Yellen’s predecessor, for policies that allegedly risked inflation (which never materialized), but he also dabbled in conspiracy theorizing, accusing Mr. Bernanke of acting to “bail out fiscal policy.”
And even superficially sensible-sounding Republicans go off the deep end on macroeconomic policy. John Kasich’s signature initiative is a balanced-budget amendment that would cripple the economy in a recession, but he’s also a monetary hawk, arguing, bizarrely, that the Fed’s low-interest-rate policy is responsible for wage stagnation.
On the Democratic side, both contenders talk sensibly about macroeconomic policy, with Mr. Sanders rightly declaring that the recent rate hike was a bad move. But Mr. Sanders has also attacked the Federal Reserve in a way Mrs. Clinton has not — and that difference illustrates in miniature both the reasons for his appeal and the reasons to be very worried about his approach.
You see, Mr. Sanders argues that the financial industry has too much influence on the Fed, which is surely true. But his solution is more congressional oversight — and he was one of the few non-Republican senators to vote for a bill, sponsored by Rand Paul, that called for “audits” of Fed monetary policy decisions. (In case you’re wondering, the Fed is already audited regularly in the normal sense of the word.)
Now, the idea of making the Fed accountable sounds good. But Wall Street isn’t the only source of malign pressure on the Fed, and in the actually existing U.S. political situation, such a bill would essentially empower the cranks — the gold-standard-loving, hyperinflation-is-coming types who dominate the modern G.O.P., and have spent the past five or six years trying to bully monetary policy makers into ceasing and desisting from their efforts to prevent economic disaster. Given the economic risks we face, it’s a very good thing that Mr. Sanders’s support wasn’t enough to push the bill over the top.
But even without Mr. Paul’s bill, one shudders to think about how U.S. policy would respond to another downturn if any of the surviving Republican candidates make it to the Oval Office.
Sulla stupidità economica, di Paul Krugman
New York Times 12 febbraio 2016
La campagna elettorale di Bill Clinton del 1992, come è noto, si concentrò sul tema: “E’ l’economia, stupido” [1]. Ma la politica macroeconomica – cosa fare con le recessioni – è stata ampiamente assente nel dibattito elettorale di quest’anno.
Tuttavia i rischi economici non sono stati in alcun modo scacciati dal mondo. E dovreste essere spaventati da quanto poco abbiano imparato dagli otto anni passati molte delle persone che potrebbero diventare presidente.
Se avete seguito le notizie finanziarie, sapete che c’è una gran quantità di disordine finanziario in circolazione. É niente rispetto al 2008, almeno sinora, ma è preoccupante.
Ancora una volta abbiamo una cospicua quantità di debiti problematici, questa volta non i mutui per le case ma i prestiti alle società energetiche, duramente colpite dal crollo dei prezzi del petrolio. Nel frattempo, quelle che in precedenza erano le economie emergenti più apprezzate come il Brasile stanno all’improvviso andando assai male, e la Cina inciampa. E se l’economia degli Stati Uniti sta andando meglio di quasi tutte le altre, non siamo completamente immuni dal contagio.
Nessuno sa quanto ciò sarà realmente negativo, ma i mercati finanziari fanno balenare degli ammonimenti. I mercati dei bond, in particolare, si stanno comportando come se gli investitori si aspettassero molti anni di estrema debolezza economica. I tassi di interesse a lungo termine degli Stati Uniti sono vicini ai minimi storici, ma questo è niente al confronto con quanto accade all’estero, dove molti tassi di interesse sono finiti in territorio negativo [2].
E i tassi di interesse bassissimi, che principalmente riflettono le forze del mercato, non la politica, stanno creando problemi per le banche, i cui profitti dipendono dall’essere capaci di prestare denaro per un valore sostanzialmente superiore a quello che pagano sui depositi. Le banche europee sono il guaio maggiore, ma anche le banche degli Stati Uniti sono cadute molto.
Sembra, in altre parole, come se si stesse vivendo nell’epoca economica in cui entrammo nel 2008 – un epoca di persistente debolezza, nella quale la deflazione e la depressione, non l’inflazione e i deficit, sono le sfide principali. Dunque, con quanta abilità ci immaginiamo che gli aspiranti Presidenti si misurerebbero con queste sfide?
Ebbene, sul versante dei repubblicani, la risposta fondamentalmente è: Dio ci aiuti. I punti di vista sull’economia da quella parte dello schieramento spaziano dal discretamente pazzesco al completamente pazzesco.
A guidare la carica dei matti completi, non sarete sorpresi di sentirmelo dire, è Donald Trump, che ha accusato la Fed di essere sottomessa ai democratici. Pochi mesi orsono egli ha asserito che Janet Yellen, la Presidentessa della Fed, non ha alzato i tassi “perché Obama le ha detto di non farlo”. Non conta il fatto che l’inflazione resti al di sotto dell’obbiettivo della Fed e che alla luce degli eventi attuali persino il piccolo rialzo del tasso di dicembre appaia adesso come un errore, come alcuni di noi avevano messo in guardia.
Tuttavia la verità è che la posizione dei signor Trump non è così distante da quella prevalente tra i repubblicani. Dopo tutto, Paul Ryan, lo speaker della Camera, non solo aveva rimproverato Ben Bernanke, il predecessore della Yellen, per politiche che si diceva corressero il rischio dell’inflazione (che non si è mai materializzata), ma si era anche dilettato in teorie della cospirazione, accusando Bernanke di agire per il “salvataggio della politica della finanza pubblica”.
E persino i repubblicani che sembrano superficialmente ragionevoli, sulla politica macroeconomica perdono la testa. L’iniziativa distintiva di John Kasich è stato un emendamento sui bilanci in pareggio che durante una recessione azzopperebbe l’economia, ma egli è anche un falco monetarista, che sostiene, bizzarramente, che la politica dei bassi tassi di interesse della Fed è responsabile della stagnazione dei salari.
Sul versante dei democratici, entrambi i contendenti parlano ragionevolmente di politica macroeconomica, con Sanders che giustamente afferma che il recente rialzo dei tassi è stato una mossa negativa. Ma Sanders ha anche attaccato la Fed con toni che la Clinton non ha mai usato – e quella differenza mostra in miniatura sia le ragioni del suo gradimento, che quelle per essere molto preoccupati del suo approccio.
Vedete, Sanders sostiene che il sistema finanziario ha troppa influenza sulla Fed, il che è certamente vero. Ma la sua soluzione va soprattutto nel senso di una maggiore controllo da parte del Congresso – ed egli fu uno dei pochi senatori non repubblicani che votò per una proposta di legge, sponsorizzata da Rand Paul, che si pronunciava a favore di “ispezioni” sulle decisioni di politica monetaria della Fed (nel caso ve lo stiate chiedendo, la Fed è già regolarmente ‘ascoltata’, nel senso normale della parola [3]).
Ora, l’idea di fare in modo che la Fed sia tenuta a rispondere, sembra buona. Ma Wall Street non è l’unica fonte di pressioni malefiche sulla Fed, e nella situazione politica effettivamente esistente negli Stati Uniti, una tale proposta di legge essenzialmente rafforzerebbe i ciarlatani – gli amanti della parità aurea, gli individui della iperinflazione-alle-porte che dominano il Partito Repubblicano odierno, e che hanno speso i cinque o sei anni passati nell’intimidire le autorità monetarie perché interrompessero e desistessero dai loro sforzi per impedire un disastro economico. Dati i rischi economici che abbiamo dinanzi, è un’ottima cosa che il sostegno del signor Sanders non sia stato sufficiente a spingere la proposta di legge sino alla approvazione.
Ma anche senza la proposta di Rand Paul[4], c’è da sussultare al pensiero di come la politica degli Stati Uniti risponderebbe ad un’altra caduta se qualcuno dei candidati repubblicani che restano in lizza finisse nello Studio Ovale.
[1] Una espressione di Bill Clinton, ‘di sen fuggita’ durante un dibattito e poi passata nel gergo della politica americana. Egli pare che dicesse “stupido” al suo interlocutore, per sottolineare l’ovvietà della risposta; la risposta andava cercata nell’economia! Oggi corrono molte altre versioni, per indicare l’evidenza di varie cose, ma sempre finiscono con lo ‘stupido’.
[2] Ad esempio in Giappone, o in Svizzera. Ma anche nel caso della Germania, i tassi sui bond decennali sono finiti allo 0,20, mentre sono ancora all’1,74 negli Stati Uniti. Vedi il post del 9 febbraio di Krugman, dal titolo “I bond in fuga”.
[3] Nel linguaggio tecnico istituzionale americano un “audit” è più una azione formale di controllo e di ispezione, che non una semplice “audizione”.
[4] Rand Paul, come dice l’articolo, era il primo presentatore della proposta di legge su maggiori forme di controllo della Fed alla quale anche Sanders aderì. É un Senatore repubblicano, dello Stato del Kentucky.
By mm
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