marzo 2016 Archive

Sulla politica monetaria sono tutti matti, di Paul Krugman (New York Times 25 marzo 2016)

Pare che Ted Cruz sia l'ultima carta per il gruppo dirigente repubblicano nel tentativo di evitare la candidatura di Trump. E può apparire sorprendente che non ci si avveda che per alcuni aspetti l'estremismo di Cruz sia addirittura più temibile di quello di Trump. Ad esempio, Cruz - oltre a farneticare in continuazione di "bombardamenti a tappeto" - è esplicitamente a favore di un ritorno al gold standard. Ma il punto è che in fin dei conti il gruppo dirigente repubblicano, a cominciare dal suo leader più autorevole Paul Ryan, hanno idee non dissimili. Provengono tutti dalla particolare subcultura del radicalismo della destra americana reso relativamente famoso agli inizi del Novecento dalla scrittrice russo-americana Ayn Rand.

Sull’inarrestabile ignoranza, di Paul Krugman (New York Times 21 marzo 2016)

Ancora un editoriale sul tema della responsabilità del gruppo dirigente repubblicano nell'aver evocato il fenomeno Trump, oggi uscito fuori da ogni controllo. In una recente intervista Paul Ryan, il Presidente repubblicano della Camera dei Rappresentanti, ha ripetuto argomenti sulla ricetta dei grandi sgravi fiscali per i più ricchi che da decenni sono stati mostrati inconsistenti. Peraltro, quegli argomenti - una politica a favore di chi ha redditi più alti per avere più crescita - non sono mai stati persuasivi per la base repubblicana, tantomeno nel periodo attuale di populismo vincente. Dunque, è forse preferibile che il Partito Repubblicano, costretto oggi allo shock di un candidato imbarazzante, beva la sua purga sino in fondo e sia poi costretto ad un ripensamento radicale. O meglio, sarebbe preferibile, se non ci fosse il rischio di ritrovarsi con Trump Presidente.

Il regno repubblicano del disprezzo, di Paul Krugman (New York Times 18 marzo 2016)

C'è un aspetto della situazione sociale americana che è prezioso per comprendere il fenomeno Trump. Il collasso nelle condizioni di vita dei lavoratori bianchi, che sono l'unico gruppo sociale del mondo avanzato nel quale i tassi di mortalità crescono (al punto che oggi sono il doppio di quelli svedesi). E' evidente che Trump ha successo in particolare tra quelli elettori (le contee con gli indici di mortalità nella popolazione bianca sono quelle nelle quali ottiene i massimi consensi). Il gruppo dirigente repubblicano da anni ha una sua interpretazione del fenomeno: sarebbe il segno di un crollo di valori tra i lavoratori bianchi. Ma i valori non crollano per decine di milioni di persone, senza ragione. E' la crisi sociale che li spinge a simpatizzare con la fantasia guerrafondaia e razzista di Trump. Il disprezzo di questi anni dei repubblicani ufficiali nei confronti dei problemi reali di questa popolazione, trattata come un gruppo sociale di assistiti, oggi impedisce al gruppo dirigente di quel Partito di comprendere il successo del candidato populista.

La politica della rabbia, di Dani Rodrik (da Project Syndicate, 9 marzo 2016)

[1] Il riferimento è ad un libro di Dani Rodrik edito nel marzo del 1997 dal titolo: “La Globalizzazione si è spinta troppo oltre?”.   ...

Globalizzazione e crescita (dal blog di Krugman, 14 marzo 2016)

[1] Ovvero: l’apertura del Messico, misurata per il peso delle esportazioni sul PIL, è stata notevole, passando da circa l’8% a circa il 32% (scala ...

Mettere alla fame l’istruzione pubblica (11 marzo 2016)

[1] L’Università della Città di New York.                              

I fondamentali, i sondaggi e le primarie (10 marzo 2016)

     

Le banche centrali sono davvero senza munizioni? Di Adair Turner (da Project Syndicate, 8 marzo 2016)

     

Trump non è un incidente, di Paul Krugman (New York Times 14 marzo 2016)

Ancora un articolo sul tema di come si è arrivati a Trump. Il gruppo dirigente repubblicano sembra stupefatto, ma quello che sta accadendo è stato voluto da tempo, incoraggiando e sfruttando in ogni modo una faziosità illimitata. Ieri si ammiccava al razzismo e si faceva intendere con mezze parole che Obama era "unamerican" nelle sue politiche, se non effettivamente keniano nella sua identità. Era inevitabile che si facesse avanti qualcuno a dire le stesse cose senza timidezza.

Commercio e avversità, di Paul Krugman (New York Times 11 marzo 2016)

Una interpretazione dell'andamento delle primarie nel Michigan - il successo di Sanders ed anche di Trump - è che quello Stato segnali un crescente interesse per tematiche protezioniste. Può darsi, anche se è un fenomeno che è stato annunciato molte volte. In ogni caso, bisognerebbe guardarsi dalla faciloneria. Ragionevolmente l'America potrebbe disfare i suoi accordi commerciali di un passato che cominciò negli anni '40? Potrebbe farlo, e contemporaneamente cercare la collaborazione di tutti su un tema fondamentale come quello del cambiamento climatico? Sarebbe stato meglio che Obama si fosse fermato nel caso dell'accordo del Trans Pacifico. Forse la regola, d'ora innanzi, come minimo dovrebbe essere quella di non aggiungere accordi che non siano manifestamente 'innocenti', ovvero che non favoriscano interessi delle lobby.

Cosa sta trattenendo l’economia mondiale, di Joseph E. Stiglitz e Hamid Rashid (8 febbraio 2016, da Project Syndicate)

     

É il momento del protezionismo? (dal blog di Krugman 9 marzo 2016)

[1] Michael Mackintosh Foot (Plymouth, 23 luglio 1913 – Londra, 3 marzo 2010) è stato un politico, giornalista e scrittore inglese, leader del Partito Laburista ...

I repubblicani e le guerre commerciali (dal blog di Krugman, 6 marzo 2016)

[1] Nella polemica delle primarie repubblicane, pare che Rubio abbia anche fatto cenno al fatto che Trump ha le mani piccoline. [2] Ovvero la polemica ...

L’imbroglio di Kasich (5 marzo 2016)

[1] “Hung Parliament” è un espressione inglese (letteralmente dovrebbe significare “Parlamento impiccato”) che indica la situazione nella quale in un Parlamento non esiste una maggioranza ...

Quando si scontrano falsità, di Paul Krugman (New York Times 7 marzo 2016)

La scorsa settimana si è registrato un accenno di dibattito politico vero tra i repubblicani. Il tema era la proposta di Trump di una politica aggressivamente protezionista, che Romney ha attaccato perché provocherebbe la recessione. Parrebbe una buona notizia, se entrambi non avessero fatto sfoggio di economia spazzatura. Romney aveva il sostegno di Trump nelle elezioni del 2012, e allora sostenne che aveva grande intuito per l'economia. Inoltre, Romney allora era per iniziative protezioniste. Il protezionismo, a differenza di quanto sostiene oggi, non causa recessioni, per il semplice motivo che ognuno ci guadagna nelle industrie delle esportazioni, ma ognuno ci rimette in quelle che competono nelle importazioni. Il protezionismo fa invece danni sicuri perché riduce l'efficienza delle economie, che non guadagnano più dalla competizione. Inoltre, la Cina, che è il bersaglio dei repubblicani, oggi non spinge in basso la sua valuta, semmai la spinge in alto. E l'Europa, di cui si tace, è almeno altrettanto un'area che esporta debolezza economica. E quello che davvero servirebbe agli USA sarebbe semmai non ridurre i tassi di interesse, che invece ogni repubblicano vuole veder crescere. Insomma: un guazzabuglio di falsità in contesa tra di loro.

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