Paul KrugmanFEB. 29, 2016
We now have a pretty good idea who will be on the ballot in November: Hillary Clinton, almost surely (after the South Carolina blowout, prediction markets give her a 96 percent probability of securing her party’s nomination), and Donald Trump, with high likelihood (currently 80 percent probability on the markets). But even if there’s a stunning upset in what’s left of the primaries, we already know very well what will be at stake — namely, the fate of the planet.
Why do I say this?
Obviously, the partisan divide on environmental policy has been growing ever wider. Just eight years ago the G.O.P. nominated John McCain, whose platform included a call for a “cap and trade” system — that is, a system that restricts emissions, but allows pollution permits to be bought and sold — to limit greenhouse gases. Since then, however, denial of climate science and opposition to anything that might avert catastrophe have become essential pillars of Republican identity. So the choice in 2016 is starker than ever before.
Yet that partisan divide would not, in itself, be enough to make this a truly crucial year. After all, electing a pro-environment president wouldn’t make much difference if he or (much more likely) she weren’t in a position to steer us away from the precipice. And the truth is that given Republican retrogression and the G.O.P.’s near-lock on the House of Representatives, even a blowout Democratic victory this year probably wouldn’t create a political environment in which anything like Mr. McCain’s 2008 proposal could pass Congress.
But here’s the thing: the next president won’t need to pass comprehensive legislation, or indeed any legislation, to take a big step toward saving the planet. Dramatic progress in energy technology has put us in a position where executive action — action that relies on existing law — can achieve great things. All we need is an executive willing to take that action, and a Supreme Court that won’t stand in its way.
And this year’s election will determine whether those conditions hold.
Many people, including some who should know better, still seem oddly oblivious to the ongoing revolution in renewable energy. Recently Bill Gates declared, as he has a number of times over the past few years, that we need an “energy miracle” — some kind of amazing technological breakthrough — to contain climate change. But we’ve already had that miracle: the cost of electricity generated by wind and sun has dropped dramatically, while costs of storage, crucial to making renewables fully competitive with conventional energy, are plunging as we speak.
The result is that we’re only a few years from a world in which carbon-neutral sources of energy could replace much of our consumption of fossil fuels at quite modest cost. True, Republicans still robotically repeat that any attempt to limit emissions would “destroy the economy.” But at this point such assertions are absurd. As both a technical matter and an economic one, drastic reductions in emissions would, in fact, be quite easy to achieve. All it would take to push us across the line would be moderately pro-environment policies.
As a card-carrying economist, I am obliged to say that it would be best if these policies took the form of a comprehensive system like cap and trade or carbon taxes, which would provide incentives to reduce emissions all across the economy. But something like the Obama administration’s Clean Power Plan, which would use flexible regulations imposed by the Environmental Protection Agency on major emitters, should be enough to get us a long way toward the goal.
And as I said, no new legislation would be needed, just a president willing to act and a Supreme Court that won’t stand in that president’s way, sacrificing the planet in the name of conservative ideology. What’s more, the Paris agreement from last year means that if the U.S. moves forward on climate action, much of the world will follow our lead.
I don’t know about you, but this situation makes me very nervous. As long as the prospect of effective action on climate seemed remote, sheer despair kept me, and I’m sure many others, comfortably numb — you knew nothing was going to happen, so you just soldiered on. Now, however, salvation is clearly within our grasp, but it remains all too possible that we’ll manage to snatch defeat from the jaws of victory. And this is by far the most important issue there is; it, er, trumps even such things as health care, financial reform, and inequality.
So I’m going to be hanging on by my fingernails all through this election. No doubt there will be plenty of entertainment along the way, given the freak show taking place on one side of the aisle. But I won’t forget that the stakes this time around are deadly serious. And neither should you.
Al voto sul Pianeta, di Paul Krugman
New York Times 29 febbraio 2016
Abbiamo adesso una idea abbastanza buona di coloro che saranno in ballottaggio alle elezioni di novembre: quasi sicuramente Hillary Clinton (dopo la vittoria a man bassa nella Carlina del Sud, le previsioni sui mercati delle scommesse le danno un 96 per cento di probabilità di assicurarsi la nomina del suo partito) e, con elevate probabilità, Donald Trump (attualmente ha una probabilità dell’80 per cento su quei mercati). Ma se anche ci fossero sbalorditivi rovesciamenti nei risultati delle primarie, già conosciamo molto bene la posta in gioco – precisamente, il destino del Pianeta.
Perchè dico questo?
Naturalmente, la frattura tra i partiti sulla politica ambientale sta crescendo più che mai. Solo otto anni orsono il Partito Repubblicano candidò alla Presidenza John McCain, la cui piattaforma includeva un appello per un sistema “cap and trade” [1] – cioè, un sistema che riduce le emissioni, ma consente che permessi all’inquinamento siano acquistati e venduti – per limitare i gas serra. Da allora, tuttavia, il negazionismo alla scienza del clima e l’opposizione verso tutto quello che potrebbe evitare la catastrofe sono diventati pilastri essenziali dell’identità repubblicana. Cosicché la scelta nel 2016 è più radicale di quanto sia mai stata.
Eppure, quella frattura tra i partiti non sarebbe, in sé, sufficiente a fare di questo un anno davvero cruciale. Dopo tutto, eleggere un Presidente ambientalista non farebbe una grande differenza se lui o (molto più probabilmente) lei non fosse nella condizione di allontanarci dal precipizio. E la verità è che, data la regressione repubblicana e la quasi ipoteca del Partito Repubblicano sulla Camera dei Rappresentanti, una vittoria a mani basse dei democratici quest’anno non creerebbe un contesto politico nel quale nessuna proposta come quella di McCain nel 2008 potrebbe passare.
Ma lì è il punto: il prossimo Presidente non avrà bisogno di far approvare una legislazione complessiva, anzi una qualsiasi legislazione, per fare un gran passo verso la salvezza del Pianeta. Un progresso spettacolare nelle tecnologie energetiche ci ha messo in una condizione nella quale una iniziativa di sola competenza dell’esecutivo – una iniziativa che si fondi sulla legislazione esistente – può ottenere grandi cose. Tutto quello di cui abbiamo bisogno è un esecutivo che voglia prendere tale iniziativa, ed un Corte Suprema che non si voglia mettere in mezzo.
E le elezioni di quest’anno stabiliranno se quelle condizioni sussistono.
Molta gente, inclusi coloro che dovrebbero avere maggiore competenza, sembrano ancora curiosamente inconsapevoli della rivoluzione in corso nelle energie rinnovabili. Di recente Bill Gates ha dichiarato, come aveva fatto un certo numero di volte negli anni passati, che abbiamo bisogno di un “miracolo energetico” – qualcosa come una fondamentale svolta tecnologica – per contenere il cambiamento climatico. Ma quel miracolo l’abbiamo già avuto: il costo dell’energia prodotta dal vento e dal sole è sceso in modo spettacolare, mentre i costi dell’immagazzinamento, cruciali nel rendere le energie rinnovabili pienamente competitive con l’energia convenzionale, nel mentre stiamo parlando, stanno crollando.
Il risultato è che siamo distanti soltanto una manciata di anni da un mondo nel quale le fonti di energia che non necessitano di carbonio potrebbero rimpiazzare molto del nostro consumo di combustibili fossili ad un costo abbastanza modesto. É vero, i repubblicani ripetono ancora come robot che ogni tentativo di limitare le emissioni “distruggerebbe l’economia”. Ma a questo punto, sono giudizi assurdi. Sia dal punto di vista tecnologico che economico, nei fatti, una drastica riduzione nelle emissioni sarebbe, di fatto, semplice da ottenere. Tutto quello che serve per spingerci oltre quel confine sarebbero politiche moderatamente ambientalistiche.
Come economista patentato, sono obbligato a dire che la cosa migliore sarebbe se queste politiche prendessero la forma di sistemi organici, come il cap and trade o le tasse sul carbonio, che fornirebbero incentivi alla riduzione delle emissioni in tutta l’economia. Ma qualcosa come il Programma per una elettricità pulita della Amministrazione Obama, che utilizzerebbe regolamenti flessibili stabiliti dalla Agenzia per la Protezione dell’Ambiente sulle emissioni principali, dovrebbe essere sufficiente a farci fare un buon tratto di strada verso l’obbiettivo.
E, come ho detto, nessuna nuova legislazione sarebbe necessaria, solo un Presidente che abbia la volontà di agire ed una Corte Suprema che non voglia ostacolare quel Presidente, sacrificando il Pianeta in nome di una ideologia conservatrice. Di più ancora: l’accordo di Parigi dell’anno passato comporta che se gli Stati Uniti si muoveranno nel senso di una iniziativa sul clima, gran parte del mondo verrà dietro al nostro esempio.
Non so se vi accade la stessa cosa, ma questa situazione mi rende molto nervoso. Per tutto il tempo in cui la prospettiva di una iniziativa efficace sul clima pareva remota, una vera e propria disperazione mi rendeva comprensibilmente intorpidito, e sono sicuro che accadesse a molti altri: sapevamo che niente era destinato a succedere, dunque ci limitavamo a non mollare. Ora, tuttavia, la salvezza è chiaramente nelle nostre mani, ma resta anche troppo possibile fare in modo di rimediare una sconfitta, da quella vittoria a portata di mano. E questo è di gran lunga il tema più importante sul tappeto: per così dire, esso surclassa [2] cose come l’assistenza sanitaria, la riforma del sistema finanziario e l’ineguaglianza.
Dunque, è probabile che per tutto il corso di queste elezioni sarò alle dipendenze delle unghie delle mie dita. Di certo ci saranno spettacoli di ogni genere lungo il percorso, dato la sceneggiata stravagante che va in onda su un versante dello schieramento politico. Ma non mi scorderò che questa volta gli interessi in gioco sono tremendamente seri. E non dovreste dimenticarlo neppure voi.
[1] Letteralmente, del “mettere un limite e consentire gli scambi” in materia di inquinamento ambientale – ovvero mettere un limite all’inquinamento e premiare chi sta sotto quel limite, anche permettendogli di ‘vendere’ il proprio comportamento virtuoso a chi resta provvisoriamente sopra (l’acquisto di ‘punti’ dai più virtuosi – e talora anche di tecnologie – essendo un modo provvisorio per restare nella legalità).
In Italia, per un certo periodo, una soluzione del genere venne adottata sui limiti alle emissioni degli impianti di termocombustione dei rifiuti.
[2] “Per così dire”, per via del gioco di parole in italiano impossibile tra “to trump” (surclassare) e Trump, probabile candidato repubblicano, che manderebbe quella possibilità a ‘carte quarantotto’.
By mm
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