March 9, 2016 4:32 pm
Busy with real life, but yes, I know what happened in the primaries yesterday. Triumph for Trump, and big upset for Sanders — although it’s still very hard to see how he can catch Clinton. Anyway, a few thoughts, not about the horserace but about some deeper currents.
The Sanders win defied all the polls, and nobody really knows why. But a widespread guess is that his attacks on trade agreements resonated with a broader audience than his attacks on Wall Street; and this message was especially powerful in Michigan, the former auto superpower. And while I hate attempts to claim symmetry between the parties — Trump is trying to become America’s Mussolini, Sanders at worst America’s Michael Foot — Trump has been tilling some of the same ground. So here’s the question: is the backlash against globalization finally getting real political traction?
You do want to be careful about announcing a political moment, given how many such proclamations turn out to be ludicrous. Remember the libertarian moment? The reformocon moment? Still, a protectionist backlash, like an immigration backlash, is one of those things where the puzzle has been how long it was in coming. And maybe the time is now.
The truth is that if Sanders were to make it to the White House, he would find it very hard to do anything much about globalization — not because it’s technically or economically impossible, but because the moment he looked into actually tearing up existing trade agreements the diplomatic, foreign-policy costs would be overwhelmingly obvious. In this, as in many other things, Sanders currently benefits from the luxury of irresponsibility: he’s never been anywhere close to the levers of power, so he could take principled-sounding but arguably feckless stances in a way that Clinton couldn’t and can’t.
But it’s also true that much of the elite defense of globalization is basically dishonest: false claims of inevitability, scare tactics (protectionism causes depressions!), vastly exaggerated claims for the benefits of trade liberalization and the costs of protection, hand-waving away the large distributional effects that are what standard models actually predict. I hope, by the way, that I haven’t done any of that; I think I’ve always been clear that the gains from globalization aren’t all that (here’s a back-of-the-envelope on the gains from hyperglobalization — only part of which can be attributed to policy — that is less than 5 percent of world GDP over a generation); and I think I’ve never assumed away the income distribution effects.
Furthermore, as Mark Kleiman sagely observes, the conventional case for trade liberalization relies on the assertion that the government could redistribute income to ensure that everyone wins — but we now have an ideology utterly opposed to such redistribution in full control of one party, and with blocking power against anything but a minor move in that direction by the other.
So the elite case for ever-freer trade is largely a scam, which voters probably sense even if they don’t know exactly what form it’s taking.
Ripping up the trade agreements we already have would, again, be a mess, and I would say that Sanders is engaged in a bit of a scam himself in even hinting that he could do such a thing. Trump might actually do it, but only as part of a reign of destruction on many fronts.
But it is fair to say that the case for more trade agreements — including TPP, which hasn’t happened yet — is very, very weak. And if a progressive makes it to the White House, she should devote no political capital whatsoever to such things.
É il momento del protezionismo?
Ho il mio daffare con le cose quotidiane, ma sì, so quello che è successo nelle primarie di ieri. Trionfo per Trump, e grande ribaltamento a favore di Sanders – sebbene sia ancora molto difficile vedere come possa raggiungere la Clinton. In ogni modo, qualche riflessione, non sulla competizione serrata ma su qualche più profondo fenomeno in corso.
La vittoria di Sanders sfida tutti i sondaggi, e nessuno per la verità ne conosce i motivi. Ma una impressione generale è che i suoi attacchi sugli accordi commerciali abbiano trovato il favore di un pubblico più ampio dei suoi attacchi su Wall Street; e questo messaggio era particolarmente efficace in Michigan, una volta la superpotenza dell’auto. E mentre io odio i tentativi di sostenere una simmetria tra i Partiti – Trump sta cercando di diventare il Mussolini d’America, nel peggiore dei casi Sanders è il Michael Foot [1] d’America – Trump sta cercando di arare un po’ sullo stesso terreno. Ecco, dunque, la domanda: la reazione contro la globalizzazione sta finalmente ottenendo una qualche presa politica?
Nell’annunciare una fase della politica si deve essere scrupolosi, considerato quanti proclami si sono rivelati ridicoli. Vi ricordate il fenomeno ‘libertariano’ [2]? Vi ricordate il periodo della fortuna dei riformisti conservatori? Eppure, un contraccolpo protezionista, come un contraccolpo sull’immigrazione, è uno dei fenomeni per i quali il mistero è stato semmai il tempo che c’è voluto a entrare in scena. E forse adesso è il suo momento.
La verità è che se Sanders intendesse provarci alla Casa Bianca, troverebbe molto difficile fare qualcosa di rilevante sulla globalizzazione – non perché sia politicamente o economicamente possibile, ma perché nel momento in cui cercasse di liquidare gli accordi commerciali esistenti, i costi diplomatici e di politica estera sarebbero assolutamente evidenti. In questa, come in molto altre cose, Sanders attualmente si giova del lusso della irresponsabilità: egli non è mai stato in alcun modo vicino alle leve del potere, dunque ha potuto assumere posizioni che sembrano di buoni principi, per quanto verosimilmente inconcludenti, in modi nei quali la Clinton non ha potuto e non può fare.
Ma è anche vero che buona parte della difesa dei gruppi dirigenti della globalizzazione è fondamentalmente disonesta: falsi argomenti sulla sua inevitabilità (il protezionismo che provocherebbe le depressioni), tattiche allarmistiche, tesi ampiamente esagerate sui benefici della liberalizzazione del commercio e sui costi della protezione, ammiccando vagamente ad ampi effetti distributivi che in effetti sono quello che i normali modelli prevedono. Per inciso, spero di non aver fatto niente del genere; penso di esser stato sempre chiaro sul fatto che i vantaggi della globalizzazione non sono poi una cosa enorme [3] (ecco un calcolo su due piedi dei vantaggi della iperglobalizzazione – solo una parte dei quali può essere attribuita alla politica – che, nel corso di una generazione, è meno del 5 per cento del PIL mondiale); e penso di non aver mai presupposto effetti sulla distribuzione del reddito.
Inoltre, come Mark Kleiman osserva saggiamente, l’argomento tradizionale a favore della liberalizzazione commerciale si basa sull’assunto che il Governo potrebbe redistribuire il reddito per assicurare che tutti ci guadagnino – ma noi adesso abbiamo una ideologia completamente opposta che controlla pienamente uno dei due Partiti, con un potere di veto nei confronti di ogni iniziativa, se non insignificante, in quella direzione da parte dell’altro Partito.
Dunque, l’argomento delle classi dirigenti per un commercio sempre più libero è un gran parte un imbroglio, la qualcosa gli elettori probabilmente avvertono, anche se non sanno esattamente quale forma sta assumendo.
Stracciare gli accordi commerciali che già abbiamo sarebbe, anch’esso, un disastro, e direi che lo stesso Sanders si è un po’ assunto la responsabilità di un imbroglio, anche solo facendo cenno al fatto che potrebbe realizzare una cosa del genere. Effettivamente Trump potrebbe farlo, ma soltanto come un aspetto di uno scenario di sistema distruttivo su molti fronti.
Ma è giusto dire che gli argomenti per ulteriori accordi commerciali – incluso il Trans Pacific Partnership, che non si è ancora realizzato – sono davvero molto deboli. E se una progressista arrivasse alla Casa Bianca, ella [4] non dovrebbe spendere alcun capitale politico per qualsiasi cosa del genere.
[1] Michael Mackintosh Foot (Plymouth, 23 luglio 1913 – Londra, 3 marzo 2010) è stato un politico, giornalista e scrittore inglese, leader del Partito Laburista dal 1980 al 1983. ll Labour ottenne, alle elezioni generali del 1983 (trionfalmente vinte da Margaret Thatcher), il suo peggior risultato elettorale dalle elezioni generali del 1918. (Wikipedia)
[2] Una corrente di idee della destra americana (vedi nelle note sulla traduzione il profilo della sua ispiratrice, Ayn Rand). Mi sembra improprio tradurlo con ‘libertario’, che nel linguaggio politico italiano ha tutt’altra storia.
[3] Krugman suggerisce nel testo inglese una connessione con il suo post del 1 ottobre 2013, dal titolo “I guadagni della globalizzazione (per esperti)”, qua tradotto.
[4] Il femminile indica che si tratta precisamente di un invito a Hillary Clinton a prendere le distanze dagli accordi commerciali sui quali si è impegnato Obama; cosa che del resto mi pare la Clinton abbia annunciato.
By mm
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