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Gli argomenti a favore dell’investimento pubblico (dal blog di Krugman, 27 febbraio 2016)

 

The Cases for Public Investment

February 27, 2016 11:10 am

One of the annoying aspects of the Sanders/Friedman flap was the assumption of many Sanders supporters that anyone who doesn’t accept extravagant economic projections is against a big program of public investment. Actually, it was destructive as well as annoying; aside from being an insult to progressive economists who believe in infrastructure but also believe in arithmetic, it created at least the possibility that other people would take the crash-and-burn of a particular piece of analysis as evidence that the whole case for spending more is wrong.

So let’s talk about the cases for a lot more public investment right now. Yes, cases, plural. There are at least three reasons to conclude that we should be spending much more than we are.

The first case is simply that America has an obvious infrastructure deficit, and that it has never been cheaper to address that deficit. Government borrowing costs are at record lows; markets are in effect pleading with the government to borrow and spend. So why not do it? It’s completely crazy that public construction as a percentage of GDP has declined to record lows even as interest rates have done the same:

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The second case is a bit, but only a bit, harder: we are still in or near a liquidity trap, a situation in which cutting interest rates as far as possible isn’t enough to restore full employment.

The standard analysis looks something like this:

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By the “natural” rate of interest I mean the short-term rate set by the Fed that would produce full employment. In the aftermath of a financial crisis, with a big private-sector debt overhang, it’s possible — and has turned out in fact — that this rate becomes negative for an extended period (and no, the possibility of slightly sub-zero interest rates doesn’t significantly change the picture.)

What this means, in turn, is an extended period during which conventional monetary policy can’t restore full employment; and while unconventional monetary policy can and should be tried,one thing that we know works is increased public spending. So there’s an overwhelming case for a burst of spending while we’re in the trap. That spending can be withdrawn later on without hurting employment, because once you’re out of the liquidity trap the Fed can offset the contractionary effects of a fiscal tightening by holding off on the monetary tightening it would otherwise have pursued.

This is why Keynes declared that “The boom, not the slump, is the right time for austerity.”

You might ask, but are we still in that condition, given that the Fed has started to raise rates? Well, it shouldn’t have — it shouldn’t be raising rates until it sees the whites of inflation’s eyes. And it would take only a modest shock to push us well into negative-natural-rate territory again. Put it this way: the asymmetric-risks story many of us have been using to argue against rate hikes is also a reason to consider increased public investment a valuable insurance policy, giving the economy headroom that might turn out to be crucial if anything goes wrong.

What about the possibility that the natural rate will stay negative for a very long time, maybe even forever? That’s the secular stagnation hypothesis, and needs a longer discussion than I have time for this morning. But suffice it say that the case for more public spending remains very strong.

Finally, there’s hysteresis: the proposition that demand-side weakness now breeds supply-side weakness later, so that there are big payoffs to boosting the economy through public spending. There’s now a lot of evidence for that proposition, with my only worry being that potential output isn’t an actual number, just an estimate that may tell us more about the dreary minds of international agencies than about real supply-side effects. More on that soon too. But it’s a further reason to spend more now, and to worry even less about any debt that we run up at today’s low, low rates.

The point is that perfectly standard, mainstream economics makes a powerful case for (much) more infrastructure spending. And this needs to be said often.

 

Gli argomenti a favore dell’investimento pubblico

Uno degli aspetti più irritanti del trambusto su Sanders/Friedman è stato l’assunto di molti dei sostenitori di Sanders secondo il quale chi non accetta stravaganti proiezioni economiche sarebbe contro un programma di investimenti pubblici. Per la verità, è stato distruttivo oltre che irritante; a parte l’insulto verso economisti progressisti che credono nelle infrastrutture ma credono anche nella matematica, esso ha creato almeno la possibilità che altra gente utilizzasse l’esito disastroso di un particolare pezzo di analisi come la prova che tutta la argomentazione per la spesa pubblica sia sbagliata.

Parliamo adesso dunque degli argomenti a favore di maggiori investimenti pubblici. Sì, argomenti, al plurale. Ci sono almeno tre ragioni per concludere che dovremmo spendere molto di più di quello che facciamo.

Il primo argomento è semplicemente che l’America ha un evidente deficit di infrastrutture, e che non è mai stato più conveniente affrontare tale deficit. I costi dell’indebitamento pubblico sono ai minimi storici; i mercati in effetti stanno implorando che il Governo si indebiti e spenda. Dunque, perché non farlo? É del tutto pazzesco che l’edilizia pubblica come percentuale del PIL sia scesa ai minimi storici, persino quando i tassi di interesse hanno fatto lo stesso:

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[1]

Il secondo argomento è un po’, ma solo un po’, più difficile: siamo ancora in una trappola di liquidità, una situazione nella quale tagliare i tassi di interesse nella misura possibile non è sufficiente a ripristinare la piena occupazione.

L’analisi consueta assomiglia a questo grafico:

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[2]

Per “tasso naturale di interesse” io intendo il tasso a breve termine fissato dalla Fed che dovrebbe produrre piena occupazione. A seguito di un a crisi finanziaria, con un eccesso di debito del settore privato, è possibile – e si è dimostrato tale nei fatti – che questo tasso divenga negativo per un tempo prolungato (e la possibilità di tassi di interesse inferiori allo zero non cambia il quadro in modo significativo).

Quello che ciò significa, a sua volta, è un esteso periodo durante il quale la politica monetaria convenzionale non può ripristinare la piena occupazione, e mentre si può e si dovrebbe provare una politica monetaria non convenzionale, una cosa che sappiamo funziona è l’aumento della spesa pubblica. Quella spesa può essere rimossa successivamente senza colpire l’occupazione, giacché una volta che si è fuori dalla trappola di liquidità la Fed può bilanciare gli effetti restrittivi di un contenimento della spesa pubblica, astenendosi dalla restrizione monetaria che altrimenti avrebbe perseguito.

Questa è la ragione per la quale Keynes dichiarò che: “L’espansione, non la recessione, è il tempo giusto per l’austerità”.

Potreste chiedervi: ma noi siamo ancora in quella condizione, considerato che la Fed ha cominciato ad alzare i tassi? Ebbene, non avrebbe dovuto – non avrebbe dovuto innalzare i tassi finché non vedeva l’inflazione nelle palle degli occhi [3]. E avrebbe provocato soltanto una modesta impressione spingerci ancora in un chiaro territorio negativo del tasso di interesse naturale. Si può mettere in questo modo: la storia dei rischi asimmetrici che molti di noi hanno utilizzato per opporsi al rialzo dei tassi è anche una ragione per considerare l’incremento dell’investimento pubblico come una apprezzabile politica di sicurezza, dando all’economia quel margine che potrebbe risultare cruciale se qualcosa andasse storto.

Che dire della possibilità che il tasso naturale resti negativo per un tempo molto lungo, forse persino per sempre? Questa è l’ipotesi della stagnazione secolare, e richiederebbe un dibattito più ampio rispetto al tempo che ho stamani. Ma è sufficiente dire che l’argomento per una maggiore spesa pubblica resta molto forte.

Infine, c’è la questione dell’isteresi: il concetto secondo il quale una debolezza dal lato della domanda oggi produce una debolezza dal lato dell’offerta successivamente [4], cosicché ci sono grandi vantaggi nell’incoraggiare l’economia attraverso la spesa pubblica. Ci sono oggi una grande quantità di testimonianze di questo concetto, la mia sola preoccupazione è che la produzione potenziale non è un dato effettivo, è solo una stima che può dirci di più sulle tetre mentalità delle agenzie internazionali che non sui veri effetti dal lato dell’offerta. Tornerò presto anche su questo aspetto. Ma essa è una ragione in più per spendere maggiormente oggi, e per preoccuparci ancora di meno per qualsiasi debito che si assume a bassissimi tassi odierni.

Il punto è che una normale economia convenzionale sostiene con energia l’argomento di una (molto) maggiore spesa in infrastrutture. E questo occorre che sia ripetuto spesso.

 

 

 

[1] La linea blu indica l’andamento della spesa pubblica nel settore delle costruzioni, in percentuale sul PIL; la linea rossa indica l’andamento dei tassi nei buoni trentennali del Tesoro statunitense. Come si nota, la spesa per i lavori pubblici ha conosciuto una crescita a partire dal 2005, ed è particolarmente salita durante gli anni della crisi finanziaria, probabilmente anche in conseguenza delle misure di sostegno introdotte nel 2009 da Obama. Come si nota, esse ebbero una duranta molto limitata; di fatto, il livello della spesa nel settore è arrivato al punto più basso dell’ultimo ventennio.  

[2] L’asse verticale indica il tasso naturale di interesse, quello orizzontale il tempo. Il periodo entro la parentesi graffa indica la durata della trappola di liquidità; la linea che risale, dopo essere caduta nel periodo precedente, indica il “tragitto in assenza di misure di sostegno”.

[3] La frase idiomatica inglese (pare sia stata usata da un ufficiale britannico per la prima volta nel 1807, per rendere chiaro l’ordine che veniva dato alla cavalleria di cominciare a sparare solo quando si arrivava vicinissimi al nemico) letteralmente dice “vedere il bianco negli occhi di un altro”. Il significato è identico, cambia quello che si osserva negli occhi altrui.

[4] L’isteresi è la caratteristica di un sistema di reagire in ritardo alle sollecitazioni applicate e in dipendenza dello stato precedente. Il termine, derivante dal greco ὑστέρησις (hystéresis, “ritardo”), fu introdotto nel senso moderno da James Alfred Ewing nel 1890, ed è usato in generale nella teoria dei sistemi dinamici, quindi non solo in fisica, ma anche in biologia ed economia. (Wikipedia)

In questo caso, l’isteresi comporta che un sofferenza dal lato della domanda indebolisce anche oltre la crisi l’offerta, ovvero la capacità produttiva di un paese. Alla fine, il differenziale di produzione rispetto alla situazione precedente alla crisi da domanda, risulta maggiore e si manifesta in tempi prolungati, quando non proprio definitivi.

 

 

 

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