Mar 14 9:10 am
My column about the ambiguities of trade was, I can report, a surprise to at least some readers, aka my neighbors — well-informed people who told me, “I thought the story was that trade always raises all boats.” But Brad DeLong has a thoughtful response, arguing that the really big benefits of globalization come from technology diffusion, which make it a much more positive force than I suggest.
I used to believe the same thing, and still find myself thinking along those lines now and then. But I’d argue that economists need to be, at the least, upfront about the argument’s limitations.
First, it doesn’t come out of the models. As Brad says, the map is not the territory; but guesses about such things are, well, guesses. There was a time when everyone knew that import-substituting industrialization was the key to economic takeoff, based on loose historical reasoning (America and Germany did it!). Then developing countries tried it en masse, and the results weren’t great.
Furthermore, my sense is that nonstandard free-trade arguments tend to involve, often unintentionally, a kind of bait and switch. Economists love to talk about comparative advantage, which is a beautiful piece of reasoning that runs counter to lay intuition. Somewhere Alan Blinder said that economists would almost all agree on the slogan “Yay free trade.” But the seeming authority of the comparative-advantage case then ends up being carried over, illegitimately, to arguments for trade that have nothing to do with comparative advantage. Yes, there could be positive externalities associated with trade, but there could be positive externalities associated with lots of things, and Ricardian models don’t give us any special reason to think that the trade ones are more important.
So how would you test such arguments? Well, in a way we did carry out an experiment. In the early 1990s there was a widespread orthodoxy that “outward-looking” development policies were much more favorable to growth than “inward-looking” policies. This orthodoxy had a lot to do with the rapid growth of Asian economies, which had followed an export-oriented path rather than the import substitution tried by much of the world in the 50s and 60s. The question, however, was whether you would see dramatic acceleration of growth in other places, such as Latin America, when policy shifted away from inward focus.
And the answer turned out to be, not so much. Look at Mexico, which did a radical trade liberalization in 1985-88, then joined NAFTA. It has seen a transformation of its economy in many ways; it has gone from an economy that didn’t export much besides oil and tourism to a major manufacturing export power. And the effect on development has been … undewhelming.
World Bank
So Brad could be right; but the evidence is far from conclusive. I would still argue very strongly that it’s crucial to keep markets open for poor countries. But we should be cautious in our claims about the virtues of free trade.
Globalizzazione e crescita
Il mio articolo sulle ambiguità del commercio è stato, posso confermare, una sorpresa almeno per alcuni lettori, ad esempio i miei vicini – persone ben informate che mi hanno detto “Pensavo che la storia fosse che il commercio alza sempre tutte le barche”. Ma Brad De Long offre una risposta meditata, e sostiene che i veri grandi benefici della globalizzazione provengono dalla diffusione della tecnologia, che la rende una forza molto più positiva di quanto non suggerito da me.
Ero solito pensare la stessa cosa, e ancora di quando in quando mi ritrovo a ragionare negli stessi termini. Come dice Brad, la mappa non è il territorio; ma le congetture su tali cose sono solo congetture. C’è stato un tempo nel quale tutti sapevano che l’industrializzazione in sostituzione delle importazioni erano la chiave per il decollo economico, basandosi su approssimativi ragionamenti storici (così è stato anche in America ed in Germania!). Poi i paesi in via di sviluppo hanno cercato di farlo in massa, e i risultati non furono granché.
Inoltre, la mia sensazione è che gli argomenti non convenzionali per il libero commercio tendono a riguardare, spesso in modo non intenzionale, una sorta di tattica di adescamento. Gli economisti amano parlare del vantaggio comparativo, che è un bel ragionamento che va contro l’intuito degli inesperti. In qualche occasione Alan Blinder disse che quasi tutti gli economisti sarebbero d’accordo con lo slogan “Evviva il libero commercio”. Ma la apparente autorità dell’argomento del vantaggio comparativo poi finisce con l’essere, illegittimamente, trasferita su argomenti a favore del commercio che non hanno niente a che fare con il vantaggio comparativo. É vero, ci possono essere esternalità positive associate con il commercio, ma ci potrebbero essere esternalità positive associate con una quantità di cose, e i modelli ricardiani non ci danno alcuna ragione per considerare quelle commerciali più importanti.
Come mettere alla prova, dunque, tali argomenti? Ebbene, in un modo portammo a termine un esperimento. Nei primi anni ’90 c’era una diffusa ortodossia secondo la quale politiche di sviluppo “rivolte all’esterno” erano molto più favorevoli alla crescita di politiche “rivolte all’interno”. Questa ortodossia dipendeva molto dalla rapida crescita delle economie asiatiche, che aveva seguito un indirizzo orientato alle esportazioni piuttosto che quello della sostituzione delle importazioni provato in gran parte del mondo negli anni ’50 e ’60. Tuttavia, la domanda era se si sarebbe assistito ad una spettacolare accelerazione della crescita in altri posti, come in America Latina, quando la politica si fosse spostata dalla concentrazione verso l’interno.
E la risposta si scoprì che era: non molto. Si osservi il Messico, che operò una radicale liberalizzazione del commercio nel periodo 1985-88, per poi aderire al NAFTA. Esso ha conosciuto in molti modi una trasformazione della sua economia; è passato da una economia che non si basava molto sulle esportazioni oltre al petrolio ed al turismo ad un importanze potenza di esportazione manifatturiera. E l’effetto sullo sviluppo è stato …. deludente.
World Bank [1]
Dunque, Brad potrebbe aver ragione; ma le prove sono lontane dall’essere conclusive. Sosterrei ancora con forza che per i paesi poveri è cruciale tenere i mercati aperti. Ma dovremmo essere cauti nei nostri argomenti sulle virtù del libero commercio.
[1] Ovvero: l’apertura del Messico, misurata per il peso delle esportazioni sul PIL, è stata notevole, passando da circa l’8% a circa il 32% (scala di sinistra); mentre l’evoluzione del PIL procapite in percentuale su quello degli Stati Uniti (valutato sulla scala a destra), ha visto una diminuzione dal dato di partenza di circa il 36%, al dato di circa il 34% del 2012.
By mm
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