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Il regno repubblicano del disprezzo, di Paul Krugman (New York Times 18 marzo 2016)

 

Republican Elite’s Reign of Disdain

Paul Krugman MARCH 18, 2016

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“Sire, the peasants are revolting!”

“Yes, they are, aren’t they?”

It’s an old joke, but it seems highly relevant to the current situation within the Republican Party. As an angry base rejects establishment candidates in favor of you-know-who, a significant part of the party’s elite blames not itself, but the moral and character failings of the voters.

There has been a lot of buzz over the past few days about an article by Kevin Williamson in National Review, vigorously defended by other members of the magazine’s staff, denying that the white working class — “the heart of Trump’s support” — is in any sense a victim of external forces. A lot has gone wrong in these Americans’ lives — “the welfare dependency, the drug and alcohol addiction, the family anarchy” — but “nobody did this to them. They failed themselves.”

O.K., we’re just talking about a couple of writers at a conservative magazine. But it’s obvious, if you look around, that this attitude is widely shared on the right. When Mitt Romney spoke about the 47 percent of voters who would never support him because they “believe that the government has a responsibility to take care of them,” he was channeling an influential strain of conservative thought. So was Paul Ryan, the speaker of the House, when he warned of a social safety net that becomes “a hammock that lulls able-bodied people to lives of dependency and complacency.”

Or consider the attitude toward American workers inadvertently displayed by Eric Cantor, then the House majority leader, when he chose to mark Labor Day with a Twitter post celebrating … business owners.

So what’s going on here?

To be sure, social collapse in the white working class is a deadly serious issue. Literally. Last fall, the economists Anne Case and Angus Deaton attracted widespread attention with a paper showing that mortality among middle-aged white Americans, which had been declining for generations, started rising again circa 2000. This rising death rate mainly reflected suicide, alcohol and overdoses of drugs, notably prescription opioids. (Marx declared that religion was the opium of the people. But in 21st-century America, it appears that opioids are the opium of the people.)

And other signs of social unraveling, from deteriorating health to growing isolation, are also on the rise among American whites. Something is going seriously wrong in the heartland.

Furthermore, the writers at National Review are right to link these social ills to the Trump phenomenon. Call it death and The Donald: Analysis of primary election results so far shows that counties with high white mortality rates are also likely to vote Trump.

The question, however, is why this is happening. And the diagnosis preferred by the Republican elite is just wrong — wrong in a way that helps us understand how that elite lost control of the nominating process.

Stripped down to its essence, the G.O.P. elite view is that working-class America faces a crisis, not of opportunity, but of values. That is, for some mysterious reason many of our citizens have, as Mr. Ryan puts it, lost “their will and their incentive to make the most of their lives.” And this crisis of values, they suggest, has been aided and abetted by social programs that make life too easy on slackers.

The problems with this diagnosis should be obvious. Tens of millions of people don’t suffer a collapse in values for no reason. Remember, several decades ago the sociologist William Julius Wilson argued that the social ills of America’s black community didn’t come out of thin air, but were the result of disappearing economic opportunity. If he was right, you would have expected declining opportunity to have the same effect on whites, and sure enough, that’s exactly what we’re seeing.

Meanwhile, the argument that the social safety net causes social decay by coddling slackers runs up against the hard truth that every other advanced country has a more generous social safety net than we do, yet the rise in mortality among middle-aged whites in America is unique: Everywhere else, it is continuing its historic decline.

But the Republican elite can’t handle the truth. It’s too committed to an Ayn Rand story line about heroic job creators versus moochers to admit either that trickle-down economics can fail to deliver good jobs, or that sometimes government aid is a crucial lifeline. So it ends up lashing out at its own voters when they refuse to buy into that story line.

Just to be clear, I’m not suggesting that Donald Trump has any better idea about what the country needs; he’s just peddling another fantasy, this one involving the supposed power of belligerence. But at least he’s acknowledging the real problems ordinary Americans face, not lecturing them on their moral failings. And that’s an important reason he’s winning.

 

Il regno repubblicano del disprezzo, di Paul Krugman

New York Times 18 marzo 2016

“Sire, i contadini sono in rivolta!”

“E’ vero, sono in rivolta, ma guarda!”

É una vecchia battuta, ma sembra assai attinente alla attuale situazione all’interno del Partito Repubblicano. Nel momento in cui una base arrabbiata rigetta i candidati del gruppo dirigente a favore di voi-sapete-chi, una parte significativa dei dirigenti del Partito non incolpa se stessa, ma le inadeguatezze della morale e del carattere degli elettori.

C’è stato un gran chiasso nei giorni scorsi su un articolo di Kevin Williamson su National Review, vigorosamente difeso da altri componenti dello staff della rivista, che negava che la classe lavoratrice bianca – “il cuore del sostegno a Trump” – fosse in qualche modo vittima di forze esterne. Molto è andata storto nelle vite di questi americani, – “la dipendenza dalla assistenza, la dipendenza da droga ed alcol, l’anarchia nelle famiglie” – ma “nessuno gli ha fatto questo. Sono falliti da soli.”

É vero, stiamo solo parlando di un paio di giornalisti su una rivista conservatrice. Ma, se vi guardate attorno, è evidente che si tratta di una tendenza ampiamente condivisa a destra. Quando Mitt Romney parlava di un 47 per cento di elettori che non gli avrebbero mai dato il proprio sostegno perché “credevano che la responsabilità di prendersi cura di loro fosse del Governo”, veicolava una influente sollecitazione del pensiero conservatore. Lo stesso accadeva con Paul Ryan, lo speaker della Camera dei Rappresentanti, quando metteva in guardia su una rete di sicurezza sociale che stava diventando “una amaca che trastulla individui prestanti verso esistenze di dipendenza e di auto compiacimento”.

Oppure, si consideri l’atteggiamento inavvertitamente ostentato verso i lavoratori americani da Eric Cantor quando l’allora leader della maggioranza della Camera scelse di mettere in evidenza il Giorno dei Lavoratori celebrando i …. proprietari delle imprese.

Dunque, cosa sta succedendo?

É indubbio che il collasso sociale della classe lavoratrice americana è un tema terribilmente serio. Esattamente una questione di vita o di morte. Lo scorso autunno, gli economisti Anne Case e Angus Deaton attrassero l’attenzione generale con uno studio che mostrava che la mortalità tra gli americani bianchi di media età, che era venuta declinando da generazioni, era ricominciata a crescere attorno al 2000. Il tasso di mortalità crescente principalmente rifletteva suicidi, alcol e dosi eccessive di droghe, in particolare prescrizioni di oppioidi (Marx affermò che la religione era l’oppio dei popoli. Ma nell’America del 21° Secolo sembra che gli oppioidi siano l’oppio dei popoli).

E ci sono anche altri segnali di disfacimento sociale, da una salute che si deteriora ad un crescente isolamento, che sono in crescita tra gli americani bianchi. Qualcosa sta andando male sul serio nel cuore della nazione.

Inoltre, i giornalisti della National Review hanno ragione nel collegare questi mali sociali al fenomeno Trump. Si può definire il fenomeno del rapporto tra ‘Il Donald’ e la mortalità: una analisi dei risultati delle elezioni primarie sino a questo punto mostra che le contee con alti tassi di mortalità tra i bianchi, sono anche quelle nelle quali il voto a Trump è più probabile.

La domanda, tuttavia, è perché sta accadendo questo. E la diagnosi preferita dal gruppo dirigente repubblicano è semplicemente sbagliata – sbagliata in un modo che ci aiuta a comprendere come quel gruppo dirigente abbia perso il controllo del processo di scelta del candidato.

Ridotto alla sua essenza, il punto di vista del gruppo dirigente repubblicano è che la classe operaia americana è dinanzi ad una crisi, non di opportunità, ma di valori. Ovvero, per qualche misteriosa ragione molti dei nostri concittadini avrebbero perso, come si espresse Ryan, “la loro volontà e motivazione a fare delle loro esistenze il meglio possibile”. E questa crisi di valori, suggeriscono, è stata aiutata e favorita dai programmi sociali che rendono la vita troppo facile agli scansafatiche.

Dovrebbe essere evidente quali problemi ci siano in questa diagnosi. Decine di milioni di persone non soffrono senza alcuna ragione un crollo di valori. Si ricordi, alcuni decenni orsono il sociologo William Julius Wilson [1] sostenne che i mali sociali della comunità americana di colore non venivano dal nulla, ma erano il risultato di opportunità economiche che scomparivano. Se aveva ragione, ci si sarebbe dovuti aspettare che il declino delle opportunità avesse gli stessi effetti sui bianchi, e di fatto è quello a cui stiamo esattamente assistendo.

Nello stesso tempo, l’argomento che la rete della sicurezza sociale provocherebbe una decadenza sociale viziando gli scansafatiche va contro l’inoppugnabile verità che ogni altro paese avanzato ha un sistema di sicurezza sociale più generoso del nostro, eppure la crescita della mortalità tra i bianchi di media età in America è unica: da ogni altra parte essa sta proseguendo il suo declino storico [2].

Ma la classe dirigente repubblicana non può fare i conti con la verità. É troppo legata ad una spiegazione alla Ayn Rand [3] sugli eroici creatori di posti di lavoro contrapposti ai parassiti, per ammettere sia che l’economia dei benefici che calano dai ricchi ai poveri possa non produrre buona occupazione, sia che talvolta l’aiuto pubblico sia una fondamentale ancora di salvezza. Così essa finisce col prendersela con gli stessi propri elettori, quando questi si rifiutano di appagarsi di quella favola.

Per chiarezza, io non sto sostenendo che Donald Trump abbia qualche idea migliore su ciò di cui il paese ha bisogno; egli mette semplicemente in circolazione una diversa fantasia, quella che riguarda il cosiddetto potere della aggressività militare. Ma almeno egli riconosce i problemi reali che i comuni americani fronteggiano, e non fa loro ramanzine sui loro fallimenti morali. E questa è una ragione importante per la quale sta vincendo.

 

 

 

[1] William Julius Wilson è un sociologo statunitense nato nel 1935, che ha insegnato all’Università di Chicago, dal 1972 al 1996, e poi a quella di Harvard. I suoi studi sulla povertà, particolarmente sulle condizioni degli afroamericani, hanno contribuito in particolare a mettere in evidenza la complessa interazione di fenomeni politici e culturali – la cultura dei ghetti e l’intera storia dei diritti civili – e di fenomeni socioeconomici, quali quelli della evoluzione di molte metropoli americane, che hanno conosciuto grandi fenomeni di decentramento dell’occupazione. Tra l’altro mostrò come il fenomeno delle donne afroamericane sole e con figli spesso derivasse semplicemente dalla resistenza delle donne di colore a riconoscere i padri dei loro figli attraverso regolari matrimoni, sinché i padri non potevano mantenere una famiglia con redditi almeno paragonabili agli aiuti delle famiglie di origine.

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[2] Può essere utile inserire qua una tabella, desunta dal blog di Krugman, dei dati forniti dai due economisti citati in questo articolo (si ricordi che Angus Deaton è stato premiato con il Nobel quest’anno). La tabella mostra gli andamenti dei tassi di mortalità in vari paesi del mondo.

Il periodo esaminato è quello degli ultimi 25 anni. La linea rossa – l’unica in crescita – mostra l’andamento del tasso di mortalità tra i bianchi non-ispanici degli Stati Uniti. I quali hanno ormai un tasso di mortalità notevolmente superiore agli stessi statunitensi ispanici (linea blu).

É impressionante che il tasso di mortalità tra i bianchi americani sia ormai più che doppio rispetto ai cittadini svedesi.

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[3] Una scrittrice di romanzi considerata come la teorica della destra radicale americana dei primi del novecento. Vedi sulle note alla Traduzione.

 

 

 

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