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Sull’inarrestabile ignoranza, di Paul Krugman (New York Times 21 marzo 2016)

 

On Invincible Ignorance

Paul Krugman MARCH 21, 2016

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Remember Paul Ryan? The speaker of the House used to be a media darling, lionized as the epitome of the Serious, Honest Conservative — never mind those of us who actually looked at the numbers in his budgets and concluded that he was a con man. These days, of course, he is overshadowed by the looming Trumpocalypse.

But while Donald Trump could win the White House — or lose so badly that even our rotten-borough system of congressional districts, which heavily favors the G.O.P., delivers the House to the Democrats — the odds are that come January, Hillary Clinton will be president, and Mr. Ryan still speaker. So I was interested to read what Mr. Ryan said in a recent interview with John Harwood. What has he learned from recent events?

And the answer is, nothing.

Like just about everyone in the Republican establishment, Mr. Ryan is in denial about the roots of Trumpism, about the extent to which the party deliberately cultivated anger and racial backlash, only to lose control of the monster it created. But what I found especially striking were his comments on tax policy. I know, boring — but indulge me here. There’s a larger moral.

You might think that Republican thought leaders would be engaged in some soul-searching about their party’s obsession with cutting taxes on the wealthy. Why do candidates who inveigh against the evils of budget deficits and federal debt feel obliged to propose huge high-end tax cuts — much bigger than those of George W. Bush — that would eliminate trillions in revenue?

And economics aside, why such a commitment to a policy that has never had much support even from the party’s own base, and appears even more politically suspect in the face of a populist uprising?

But here’s what Mr. Ryan said about all those tax cuts for the top 1 percent: “I do not like the idea of buying into these distributional tables. What you’re talking about is what we call static distribution. It’s a ridiculous notion.”

Aha. The income mobility zombie strikes again.

Ever since income inequality began its sharp rise in the 1980s, one favorite conservative excuse has been that it doesn’t mean anything, because economic positions change all the time. People who are rich this year might not be rich next year, so the gap between the rich and the rest doesn’t matter, right?

Well, it’s true that people move up and down the economic ladder, and apologists for inequality love to cite statistics showing that many people who are in the top 1 percent in any given year are out of that category the next year.

But a closer look at the data shows that there is less to this observation than it seems. These days, it takes an income of around $400,000 a year to put you in the top 1 percent, and most of the fluctuation in incomes we see involves people going from, say, $350,000 to $450,000 or vice versa. As one comprehensive survey put it, “The majority of economic mobility occurs over fairly small spans of the distribution.” Average incomes over multiple years are almost as unequally distributed as incomes in any given year, which means that tax cuts that mainly benefit the rich are indeed targeted at a small group of people, not the public at large.

And here’s the thing: This isn’t a new observation. As it happens, I personally took on the very same argument Mr. Ryan is making — and showed that it was wrong — almost 25 years ago. Yet the man widely considered the G.O.P.’s intellectual leader is still making the same old claims.

O.K., maybe I’m just indulging a pet peeve by focusing on this particular subject. Yet the persistence of the income mobility zombie, like the tax-cuts-mean-growth zombie (which should have been killed, once and for all, by the debacles in Kansas and Louisiana), is part of a pattern.

Appalled Republicans may rail against Donald Trump’s arrogant ignorance. But how different, really, are the party’s mainstream leaders? Their blinkered view of the world has the veneer of respectability, may go along with an appearance of thoughtfulness, but in reality it’s just as impervious to evidence — maybe even more so, because it has the power of groupthink behind it.

This is why you shouldn’t grieve over Marco Rubio’s epic political failure. Had Mr. Rubio succeeded, he would simply have encouraged his party to believe that all it needs is a cosmetic makeover — a fresher, younger face to sell the same old defunct orthodoxy. Oh, and a last-minute turn to someone like John Kasich would, in its own way, have similar implications.

What we’re getting instead is at least the possibility of a cleansing shock — of a period in the political wilderness that will finally force the Republican establishment to rethink its premises. That’s a good thing — or it would be, if it didn’t also come with the risk of President Trump.

 

Sull’inarrestabile ignoranza, di Paul Krugman

New York Times 21 marzo 2016

Vi ricordate Paul Ryan? Lo speaker della Camera era abituato ad essere coccolato dai media, esaltato come un modello di conservatore onesto e serio – quelli come noi che avevano studiato i dati delle sue proposte di bilancio ed avevano concluso che era un imbroglione, non contavano niente. Di questi tempi, naturalmente, è eclissato dalla imminente apocalisse di Trump.

Ma nonostante che Donald Trump possa aggiudicarsi la Casa Bianca – o perderla così malamente che persino il nostro spregevole sistema dei distretti congressuali, cha favoriscono pesantemente il Partito Repubblicano, assegni la Camera ai democratici – è probabile che, arrivati a gennaio, Hillary Clinton sarà Presidente e il signor Ryan sarà ancora il Presidente della Camera. Dunque ero interessato a leggere cosa aveva detto Ryan in una recente intervista con John Harwood. Cosa aveva imparato dagli eventi recenti?

E la risposta è: niente.

Come quasi tutti nel gruppo dirigente repubblicano, il signor Ryan si rifiuta di riconoscere le radici del trumpismo, la misura nella quale il Partito ha deliberatamente coltivato questo contraccolpo rabbioso e razzista, con il risultato di perdere il controllo del mostro che ha creato. Ma quello che ho trovato specialmente sorprendente sono stati i suoi commenti sulla politica fiscale. So di essere noioso – ma in questo caso abbiate pazienza. C’è una morale più ampia.

Potreste pensare che i dirigenti del pensiero repubblicano si sarebbero impegnati in una qualche autocoscienza sull’ossessione del loro partito in materia di tagli alle tasse sui ricchi. Perché i candidati che inveiscono contro i mali dei deficit di bilancio e contro il debito federale si sentono obbligati a proporre vasti sgravi fiscali sui contribuenti di lusso – molto più grandi che all’epoca di George W. Bush – che brucerebbero migliaia di miliardi di entrate?

E, a parte l’economia, perché un tale impegno verso una politica che non ha mai avuto molto sostegno nemmeno dalla stessa base del Partito, ed appare persino maggiormente politicamente sospetta a fronte di un sollevamento populista?

Ma ecco cosa ha detto il signor Ryan a proposito di quegli sgravi fiscali per l’1 per cento dei più ricchi: “Non mi piace l’idea di prendere per buone queste tabelle distributive. Quello di cui stiamo parlando è una distribuzione statica. É un concetto ridicolo.”

Ah. Lo zombie della mobilità del reddito colpisce ancora.

Persino da quando l’ineguaglianza dei redditi ha cominciato la sua brusca ascesa negli anni ’80, una scusa prediletta dai conservatori è stata che essa non ha alcun significato, perché le posizioni economiche cambiano in continuazione. Le persone che sono ricche quest’anno potrebbero non esserlo il prossimo, cosicché la differenza tra ricchi e poveri non conta, non è così?

Ebbene, è vero che le persone si muovono in alto e in basso sulla scala sociale, e agli apologeti dell’ineguaglianza piace citare statistiche che mostrano che molte persone che sono nell’1 per cento di più ricchi in un anno particolare, escono da quella categoria nell’anno successivo.

Ma un’occhiata più ravvicinata ai dati mostra che in questa osservazione c’è meno di quello che sembri. Di questi tempi, ci vuole un reddito di circa 400.000 dollari all’anno per mettervi nell’1 per cento dei più ricchi, e gran parte delle fluttuazioni che osserviamo riguardano persone che vanno, diciamo, da 350.000 a 450.000 dollari, e viceversa. Come afferma uno studio organico: “La gran parte della mobilità economica interviene su intervalli abbastanza piccoli della distribuzione.” I redditi medi nel corso di una molteplicità di anni sono quasi altrettanto inegualmente distribuiti dei redditi di un dato anno, il che significa che gli sgravi fiscali di cui beneficiano principalmente i ricchi hanno in effetti per obbiettivo un piccolo gruppo di persone, non il pubblico nella sua interezza.

E qua è il punto: questa non è una osservazione nuova. Guarda caso, io personalmente affrontai lo stesso argomento che Ryan sta avanzando, quasi 25 anni orsono. Tuttavia, l’uomo che viene generalmente considerato la guida intellettuale del Partito Repubblicano sta ancora sostenendo gli stessi vecchi argomenti.

Lo ammetto, forse, nel concentrarmi su questo tema particolare, sto indulgendo ad una piccola fissazione. Tuttavia la persistenza dell’argomento zombie della mobilità del reddito, come per l’altro argomento zombi per il quale gli sgravi fiscali comportano crescita (che dovrebbe essere stato ammazzato una volta per tutte dalle debacle in Kansas e Louisiana [1]), fa parte di uno schema.

I repubblicani inorriditi possono imprecare contro l’ignoranza arrogante di Donald Trump. Ma quanto sono, in realtà, diversi i principali dirigenti del Partito? Il loro ottuso punto di vista ha una patina di rispettabilità, può andare di pari passo con una apparenza di pensosità, ma in realtà è solo indifferente alle prove – forse di più ancora, perché ha il potere del pensiero consensuale che lo sorregge.

É questa la ragione per la quale non si dovrebbe essere in lutto per l’epico fallimento politico di Marco Rubio. Se il signor Rubio avesse avuto successo, avrebbe semplicemente incoraggiato il suo partito a credere di aver bisogno soltanto di un trattamento cosmetico – una faccia più fresca e giovanile per rivendere la stessa vecchia defunta ortodossia. Inoltre, rivolgersi all’ultimo istante verso qualcuno come John Kasich avrebbe, a suo modo, implicazioni simili.

Quello che stiamo avendo, invece, è almeno la possibilità di uno shock purificante – di un periodo nella selva oscura della politica che alla fine costringa il gruppo dirigente repubblicano a ripensare le sue premesse. Che è una cosa positiva – o lo sarebbe, se non si accompagnasse anche al rischio di avere Trump come Presidente.

 

[1] Due Stati a guida repubblicana che di recente hanno fatto l’esperienza di forti riduzioni delle tasse sui più ricchi, senza averne avuto alcun vantaggio sul lato della crescita, ed avendo invece avuto la conseguenza di gravi crisi di bilancio.

 

 

 

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