Paul KrugmanMARCH 14, 2016
Establishment Republicans who are horrified by the rise of Donald Trump might want to take a minute to remember the glitch heard round the world — the talking point Marco Rubio couldn’t stop repeating in a crucial debate, exposing him to devastating ridicule and sending his campaign into a death spiral.
It went like this: “Let’s dispel with this fiction that Barack Obama doesn’t know what he’s doing. He knows exactly what he’s doing.” The clear, if ungrammatical, implication was that all the bad things Republicans claim have happened under President Obama — in particular, America’s allegedly reduced stature in the world — are the result of a deliberate effort to weaken the nation.
In other words, the establishment favorite for the G.O.P. nomination, the man Time magazine once put on its cover with the headline “The Republican Savior,” was deliberately channeling the paranoid style in American politics. He was suggesting, albeit coyly, that a sitting president is a traitor.
And now the establishment is shocked to see a candidate who basically plays the same game, but without the coyness, the overwhelming front-runner for the Republican presidential nomination. Why?
The truth is that the road to Trumpism began long ago, when movement conservatives — ideological warriors of the right — took over the G.O.P. And it really was a complete takeover. Nobody seeking a career within the party dares to question any aspect of the dominating ideology, for fear of facing not just primary challenges but excommunication.
You can see the continuing power of the orthodoxy in the way all of the surviving contenders for the Republican nomination, Mr. Trump included, have dutifully proposed huge tax cuts for the wealthy, even though a large majority of voters, including many Republicans, want to see taxes on the rich increased instead.
But how does a party in thrall to a basically unpopular ideology — or at any rate an ideology voters would dislike if they knew more about it — win elections? Obfuscation helps. But demagogy and appeals to tribalism help more. Racial dog whistles and suggestions that Democrats are un-American if not active traitors aren’t things that happen now and then, they’re an integral part of Republican political strategy.
During the Obama years Republican leaders cranked the volume on that strategy up to 11 (although it was pretty bad during the Clinton years too.) Establishment Republicans generally avoided saying in so many words that the president was a Kenyan Islamic atheist socialist friend of terrorists — although as the quote from Mr. Rubio shows, they came pretty close — but they tacitly encouraged those who did, and accepted their endorsements. And now they’re paying the price.
For the underlying assumption behind the establishment strategy was that voters could be fooled again and again: persuaded to vote Republican out of rage against Those People, then ignored after the election while the party pursued its true, plutocrat-friendly priorities. Now comes Mr. Trump, turning the dog whistles into fully audible shouting, and telling the base that it can have the bait without the switch. And the establishment is being destroyed by the monster it created.
Things are very different on the other side of the aisle.
I still sometimes see people suggesting an equivalence between Mr. Trump and Bernie Sanders. But while both men are challenging a party establishment, those establishments aren’t the same. The Democratic Party is, as some political scientists put it, a “coalition of social groups,” ranging from Planned Parenthood to teachers’ unions, rather than an ideological monolith; there’s nothing comparable to the array of institutions that enforces purity on the other side.
Indeed, what the Sanders movement, with its demands for purity and contempt for compromise and half-measures, most nearly resembles is not the Trump insurgency but the ideologues who took over the G.O.P., becoming the establishment Mr. Trump is challenging. And yes, we’re starting to see hints from that movement of the ugliness that has long been standard operating procedure on the right: bitter personal attacks on anyone who questions the campaign’s premises, an increasing amount of demagogy from the campaign itself. Compare the Sanders and Clinton Twitter feeds to see what I mean.
But back to the Republicans: Let’s dispel with this fiction that the Trump phenomenon represents some kind of unpredictable intrusion into the normal course of Republican politics. On the contrary, the G.O.P. has spent decades encouraging and exploiting the very rage that is now carrying Mr. Trump to the nomination. That rage was bound to spin out of the establishment’s control sooner or later.
Donald Trump is not an accident. His party had it coming.
Trump non è un incidente, di Paul Krugman
New York Times 14 marzo 2016
Sarebbe bene che i repubblicani del gruppo dirigente del partito che sono terrorizzati dall’ascesa di Donald Trump dedicassero un minuto a ricordarsi di quell’intoppo che fece il giro del mondo – quella frase che Marco Rubio, in un dibattito cruciale, non poté trattenersi dal ridire in continuazione, esponendosi ad una ridicolaggine devastante che consegnò la sua campagna elettorale ad una spirale fatale.
Era grosso modo questa: “Sfatiamo questo mito secondo il quale Obama non sa quello che sta facendo. Egli sa esattamente quello che sta facendo”. L’implicazione chiara, seppur espressa confusamente, era che tutte le cose negative che i repubblicani sostengono siano accadute con Obama – in particolare, il preteso peso ridotto dell’America nel mondo – erano la conseguenza di uno sforzo deliberato di indebolire la nazione.
In altre parole, il candidato preferito dal gruppo dirigente per la nomination del Partito Repubblicano, l’uomo che la rivista Time una volta mise sulla sua copertina sotto il titolo “Il salvatore repubblicano”, stava intenzionalmente veicolando lo stile paranoide nella politica americana. Stava suggerendo, per quanto indirettamente, che un Presidente in carica fosse un traditore.
Ed oggi il gruppo dirigente è sbalordito nel vedere che fondamentalmente gioca la stessa partita, ma senza timidezze, il candidato che in modo schiacciante viene dato per favorito nella nomination presidenziale repubblicana. Perché?
La verità è che la strada verso il ‘trumpismo’ è stata imboccata molto tempo fa, quando i conservatori ‘movimentisti’ [1] – i combattenti ideologici della destra – presero il controllo del Partito Repubblicano. E si trattò in realtà di una completa presa di potere. Nessuno che fosse in cerca di una carriera all’interno del Partito osò da allora mettere in dubbio un aspetto qualsiasi del l’ideologia dominante, non solo per il timore di misurarsi con le sfide delle primarie, ma per il timore della scomunica.
Potete osservare il potere permanente di quella ortodossia nel modo in cui i competitori ancora in corsa per la nomina repubblicana, incluso il signor Trump, hanno coscienziosamente proposto grandi sgravi fiscali sui ricchi, anche se una larga maggioranza di elettori, compresi molti repubblicani, vogliono piuttosto veder crescere le tasse sui ricchi.
Ma come può un Partito vincere le elezioni, se è alla mercé di una ideologia fondamentalmente impopolare, o in ogni caso di una ideologia che gli elettori non gradirebbero, se ne sapessero di più? Un po’ aiutano le cortine fumogene. Ma ancora di più aiutano la demagogia e gli appelli fanatici di tipo tribale. I richiami razzisti e gli ammiccamenti secondo i quali i Democratici sono non-americani o addirittura traditori all’opera, non sono cose che accadono di quando in quando, sono parte integrale della strategia politica repubblicana.
Durante gli anni di Obama i dirigenti repubblicani hanno alzato al massimo il volume di quella strategia [2] (sebbene fosse già piuttosto fragorosa negli anni di Clinton). I repubblicani del gruppo dirigente in generale hanno evitato di spendere molte parole sul fatto che il Presidente fosse un keniano islamico ateo socialista e amico dei terroristi – sebbene, come mostra la citazione di Rubio, ci siano andati abbastanza vicini – ma hanno tacitamente incoraggiato chi lo faceva, ed accettato il loro sostegno. E ora si stanno sdebitando.
L’assunto implicito nella strategia del gruppo dirigente era che si sarebbe continuato ad ingannare gli elettori: persuasi a votare repubblicano per rabbia contro ‘quella gentaccia’ [3], poi ignorati dopo le elezioni mentre il partito perseguiva le sue effettive priorità, di vicinanza con i plutocrati. Ora arriva Trump, trasforma gli ammiccamenti in urla ben udibili, e racconta alla base che si può avere la carota senza il bastone [4]. E il gruppo dirigente viene divorato dal mostro che ha creato.
Sull’altro lato dello schieramento politico le cose sono del tutto diverse.
Qualche volta ascolto persone che suggeriscono una equivalenza tra Trump e Bernie Sanders. Ma se stanno entrambi sfidando un gruppo dirigente di Partito, quei gruppi dirigenti non sono gli stessi. Il Partito Democratico, come spiegano alcuni politologi, è una “coalizione di gruppi sociali”, piuttosto che un ideologico monolite: spazia dalla associazione che si batte per la procreazione consapevole ai sindacati degli insegnanti. Non c’è niente di paragonabile alla gamma di istituti che, nell’altro schieramento, fanno rispettare l’ortodossia.
In effetti, quello cui assomiglia più da vicino il movimento di Sanders, con le sue richieste di purezza e il disprezzo per il compromesso e le mezze misure, non è la rivolta di Trump ma gli ideologi che presero il controllo del Partito Repubblicano, per poi divenire il gruppo dirigente che Trump sta sfidando. Ed è vero, stiamo cominciando a vedere da parte di quel movimento quei cenni di intolleranza che sono stati per lungo tempo la prassi normale della destra: attacchi personali più aspri contro chiunque avanzi dubbi sulle premesse della campagna elettorale, dosi crescenti di demagogia negli stessi argomenti elettorali. Mettete a confronto i modi in cui Sanders e la Clinton alimentano Twitter, per vedere cosa intendo.
Ma per tornare ai repubblicani: occorre smitizzare questa finzione per la quale il fenomeno Trump rappresenterebbe un qualche genere di imprevedibile intrusione nel normale andamento della politica repubblicana. Al contrario, il Partito repubblicano ha speso decenni nell’incoraggiare e nello sfruttare quella vera e propria rabbia che adesso sta portando Trump alla nomina. Quella rabbia era destinata, prima o poi, ad uscire dal controllo del gruppo dirigente.
Donald Trump non è un incidente. Il suo Partito ha permesso che arrivasse.
[1] Il termine “movement conservatism” – a partire dagli anni ’30 – indica il complesso di posizioni della destra americana che si ispirano a impostazioni liberistiche, tradizionalistiche, visceralmente anticomuniste ed antisocialiste, più di recente neoconservatrici e religiose. “Movement” è dunque l’aggettivo, ed indica un conservatorismo aggressivo ed attivo, diciamo reazionario. Krugman scrisse su questo fenomeno un capitolo del suo libro. “La coscienza di un liberal”.
[2] L’espressione idiomatica “alzare il volume sino a 11” significa ‘aumentare il rumore a manovella’, ovvero oltre il limite usuale di 10.
[3] In genere, poveri, immigrati, gente di colore sono definiti così, a destra.
[4] “Bait and switch” è il termine che si usa – spesso nel commercio – per significare una tattica di adescamento del cliente. “Bait” significa “esca” e “switch” significa “frustino, verga”. In italiano di solito l’idioma corrispondente è quello dello ‘specchietto per le allodole'; qua mi pare preferibile quello del ‘bastone e della carota’ (nel senso che agli elettori repubblicani Trump offre il massimo – la carota – senza successive fregature).
By mm
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