April 25, 2016 9:13 am
Noah Smith has another interesting piece on methodology, inspired by the Friedman-Sanders economic projections controversy. His bottom line — don’t let your economic analysis be dictated by what you want to be true, or what you think would be good for people to believe — is exactly right. But I think there’s a bit more to be said about the process of using economic models, and why — in my experience — they can be especially helpful on politically or emotionally charged issues.
You might say that the way to go about research is to approach issues with a pure heart and mind: seek the truth, and derive any policy conclusions afterwards. But that, I suspect, is rarely how things work. After all, the reason you study an issue at all is usually that you care about it, that there’s something you want to achieve or see happen. Motivation is always there; the trick is to do all you can to avoid motivated reasoning that validates what you want to hear.
In my experience, modeling is a helpful tool (among others) in avoiding that trap, in being self-aware when you’re starting to let your desired conclusions dictate your analysis. Why? Because when you try to write down a model, it often seems to lead someplace you weren’t expecting or wanting to go. And if you catch yourself fiddling with the model to get something else out of it, that should set off a little alarm in your brain.
Let me give a personal example. Some of the best work I’ve ever done, I still believe, is my late-1990s analysis of the liquidity trap, inspired by the troubles of Japan. The thing is, the origin of that work was an attempt on my part to prove something I believed at the time — namely, that Japanese monetary authorities were just falling down on the job, that they could end deflation if they would just try harder. At the time, I was very much part of the mainstream consensus that viewed fiscal policy as old stuff, and saw monetary policy as all we needed for stabilization; I had been making fun of people like William Greider, who saw us facing inadequate demand forever thanks to automation. I wanted to show that Japan posed no big challenge for that consensus, and offered no comfort for Greiderish thinking.
Now, I was aware that IS-LM analysis didn’t support my complacency — but I was sure that this was just a limitation of that analysis, which after all was ad hoc about a lot of stuff, indeed didn’t necessarily honor all budget constraints. Surely if you stuffed money into the system it would have to go somewhere. All I needed was a simple model with all the i’s dotted and t’s crossed, and it would show that the liquidity trap was a myth.
Except that the model didn’t say that; it said that unless current monetary expansion raised expectations of future inflation, it wouldn’t have any effect at the zero lower bound. That is, it was saying that the liquidity trap was real.
I guess I could have thrown out the result and gone in search of another approach that told me what I wanted to hear — but what I did instead was rethink my preconceptions. The more I thought about it, the more sense the result made.
Oh, and the model also said positive things about fiscal policy — actually, a multiplier of one even with full Ricardian equivalence, although I bobbled that in the original paper, because I didn’t use the model carefully enough. That was definitely not what I was looking for at the time.
And it seems to me that the worldview I reached after going through that process stood me in very good stead after 2008, when we all turned Japanese, and the predictions of that kind of model about inflation and deficit spending were vastly more accurate than the scare stories so popular on CNBC etc… It was kind of funny if annoying to have right-wingers insisting that all this Keynesian analysis people like me were doing was just an attempt to invent reasons for government spending; actually it came out of an attempt to show that this spending *wasn’t* necessary, but the discipline of modeling led me to revise my views.
Am I always and everywhere innocent of motivated reasoning? Surely not — no saint, me. But I try to fight it. And I have no patience for people who are eager to assume that what they want to believe is true.
Economia e auto consapevolezza
Noah Smith ha un altro interessante articolo sulla metodologia, ispirato dalla controversia sulle proiezioni economiche di Sanders-Friedman. La sua morale (non lasciate che la vostra analisi economica sia dettata da quello che volete sia vero, o che pensate sarebbe positivo che la gente creda) è del tutto giusta. Ma penso che ci sia un po’ di più da dire sul processo dell’utilizzo dei modelli economici, e sul perché – nella mia esperienza – essi possono essere particolarmente di aiuto su tematiche gravate di aspetti politici ed emotivi.
Dovreste stabilire che il modo per comportarsi nella ricerca è approcciarsi alle questioni con cuore puro e testa sgombra: cercare la verità e solo in seguito derivarne qualsiasi conclusione politica. Ma raramente, suppongo, le cose vanno in quel modo. Dopo tutto, la ragione per la quale studiate minimamente una questione è che normalmente siete interessati ad essa, che c’è qualcosa che volete realizzare o veder accadere. La tendenziosità è sempre lì; il trucco è fare tutto quello che è possibile per evitare modi di ragionare tendenziosi che convalidino quello che volete sentire.
Nella mia esperienza, la modellazione è uno strumento utile (assieme ad altri) per evitare quella trappola, per essere autoconsapevoli che state cominciando a consentire alle vostre conclusioni attese di dettare la vostra analisi. Perché? Perché quando cominciate ad impostare un modello, esso spesso sembra guidarvi in qualche punto che non vi aspettavate o dove non volevate finire. E se vi scoprite a trafficare con il modello per ottenere qualcosa di diverso, nel vostro cervello dovrebbe scattare un piccolo allarme.
Fatemi portare un esempio personale. Uno dei migliori lavori che abbia mai fatto, lo ricordo ancora, fu la mia analisi della trappola di liquidità degli ultimi anni ’90, ispirata dai problemi del Giappone. Il punto è che l’origine di quel lavoro era un tentativo da parte mia di dimostrare qualcosa di cui a quel tempo ero convinto – precisamente che le autorità monetarie giapponesi stavano fallendo nella loro impresa, che potevano porre fine alla deflazione se soltanto avessero provato con maggiore impegno. A quel tempo, mi collocavo con convinzione all’interno del convenzionale consenso che considerava le politiche della spesa pubblica come roba vecchia, e consideravo la politica monetaria come tutto quello che era necessario per la stabilizzazione; mi prendevo gioco di persone come William Greider, che si immaginava che, grazie all’automazione, avremmo fatto fronte in eterno ad una domanda inadeguata. Volevo dimostrare che il Giappone non costituiva alcuna sfida insuperabile per quel consenso, e non offriva alcun conforto al pensiero greideriano.
Ora, ero consapevole che l’analisi del modello IS-LM non sosteneva il mio compiacimento – ma ero convinto che ci fosse semplicemente un limite in quella analisi, che dopo tutto era un metodo ‘ad hoc’ sotto tanti profili, che in effetti non considerava di necessità tutti i condizionamenti di bilancio. Tutto quello di cui avevo bisogno era un semplice modello che facesse le cose in modo minuzioso, ed avrei dimostrato che la trappola di liquidità era un mito.
Sennonché quel modello non diceva questo; esso diceva che senza che una espansione monetaria che avesse accresciuto nel presente le aspettative di inflazione futura, al livello inferiore dello zero dei tassi di interesse non ci sarebbe stato alcun effetto. Ovvero, esso diceva che la trappola di liquidità era reale.
Suppongo che avrei potuto gettar via quel risultato e andare in cerca di un altro approccio che mi dicesse quello che volevo sentirmi dire – ma quello che invece feci fu il ripensare ai miei preconcetti. Più che ci pensavo, più che il risultato mi risultava comprensibile.
Inoltre, il modello diceva anche cose positive sulla politica della spesa pubblica – effettivamente un moltiplicatore di uno persino con una piena equivalenza ricardiana [1], sebbene avessi fatto un errore nello studio originario, perché non avevo usato il modello con scrupolo sufficiente. Chiaramente, non era quello che stavo cercando a quel tempo.
E mi sembra che la visione del mondo cui approdai dopo esser passato attraverso quel processo, mi collocò in una ottima posizione dopo il 2008, quando diventammo tutti giapponesi, e le previsioni di quel genere di modello sull’inflazione e sulla spesa in deficit erano molto più accurate dei racconti terribili che andavano così di moda sulla CNBC etc. … Fu qualcosa di buffo, anche se irritante, avere tutta la destra che insisteva che tutta quella analisi keynesiana che le persone come me stavano conducendo era solo un tentativo di inventarsi ragioni per la spesa pubblica; per la verità io stavo venendo fuori da un tentativo di dimostrare che questa spesa non era necessaria, ma l’educazione alla modellazione mi aveva portato a rivedere i miei punti di vista.
Sono sempre e in ogni occasione stato esente dal ragionamento tendenzioso? Sicuramente no – non sono un santo. Ma ho cercato di combatterlo. E non ho alcuna pazienza con le persone che sono ansiose di assumere che quello che vogliono credere è vero.
[1] Sul concetto di ‘equivalenza ricardiana’, vedi le note sulla traduzione.
By mm
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