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Il principio Pastrami, di Paul Krugman (New York Times 15 aprile 2016)

 

The Pastrami Principle

Paul Krugman APRIL 15, 2016

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A couple of months ago, Jeb Bush (remember him?) posted a photo of his monogrammed handgun to Twitter, with the caption “America.” Bill de Blasio, New York’s mayor, responded with a picture of an immense pastrami sandwich, also captioned “America.” Advantage de Blasio, if you ask me.

Let me now somewhat ruin the joke by talking about the subtext. Mr. Bush’s post was an awkward attempt to tap into the common Republican theme that only certain people — white, gun-owning, rural or small-town citizens — embody the true spirit of the nation. It’s a theme most famously espoused by Sarah Palin, who told small-town Southerners that they represented the “real America.” You see the same thing when Ted Cruz sneers at “New York values.”

Mr. de Blasio’s riposte, celebrating a characteristically New York delicacy, was a declaration that we’re also Americans — that everyone counts. And that, surely, is the vision of America that should prevail.

Which is why it’s disturbing to see Palinesque attempts to delegitimize large groups of voters surfacing among some Democrats.

Quite a few people seem confused about the current state of the Democratic nomination race. But the essentials are simple: Hillary Clinton has a large lead in both pledged delegates and the popular vote so far. (In Democratic primaries, delegate allocation is roughly proportional to votes.) If you ask how that’s possible — Bernie Sanders just won seven states in a row! — you need to realize that those seven states have a combined population of about 20 million. Meanwhile, Florida alone also has about 20 million people — and Mrs. Clinton won it by a 30-point margin.

To overtake her, Mr. Sanders would have to win the remaining contests by an average 13-point margin, a number that will almost surely go up after the New York primary, even if he does much better than current polls suggest. That’s not impossible, but it’s highly unlikely.

So the Sanders campaign is arguing that superdelegates — the people, mainly party insiders, not selected through primaries and caucuses who get to serve as delegates under Democratic nomination rules — should give him the nomination even if he loses the popular vote. In case you’re rubbing your eyes: Yes, not long ago many Sanders supporters were fulminating about how Hillary was going to steal the nomination by having superdelegates put her over the top despite losing the primaries. Now the Sanders strategy is to win by doing exactly that.

But how can the campaign make the case that the party should defy the apparent will of its voters? By insisting that many of those voters shouldn’t count. Over the past week, Mr. Sanders has declared that Mrs. Clinton leads only because she has won in the “Deep South,” which is a “pretty conservative part of the country.” The tally so far, he says, “distorts reality” because it contains so many Southern states.

As it happens, this isn’t true — the calendar, which front-loaded some states very favorable to Mr. Sanders, hasn’t been a big factor in the race. Also, swing-state Florida isn’t the Deep South. But never mind. The big problem with this argument should be obvious. Mrs. Clinton didn’t win big in the South on the strength of conservative voters; she won by getting an overwhelming majority of black voters. This puts a different spin on things, doesn’t it?

Is it possible that Mr. Sanders doesn’t know this, that he imagines that Mrs. Clinton is riding a wave of support from old-fashioned Confederate-flag-waving Dixiecrats, as opposed to, let’s be blunt, the descendants of slaves? Maybe. He is not, as you may have noticed, a details guy.

It’s more likely, however, that he’s being deliberately misleading — and that his effort to delegitimize a big part of the Democratic electorate is a cynical ploy.

Who’s the target of this ploy? Not the superdelegates, surely. Think about it: Can you imagine Democratic Party insiders deciding to deny the nomination to the candidate who won the most votes, on the grounds that African-American voters don’t count as much as whites?

No, claims that Clinton wins in the South should be discounted are really aimed at misleading Sanders supporters, giving them an unrealistic view of the chances that their favorite can still win — and thereby keeping the flow of money and volunteers coming.

Just to be clear, I’m not saying that Mr. Sanders should drop out. He has the right to keep campaigning, in the hope either of pulling off huge upsets in the remaining primaries or of having influence at the convention. But trying to keep his campaign going by misleading his supporters is not O.K. And sneering at millions of voters is truly beyond the pale, especially for a progressive.

Remember the pastrami principle: We’re all real Americans. And African-Americans are very definitely real Democrats, deserving respect.

 

Il principio Pastrami, di Paul Krugman

New York Times 15 aprile 2016

Un paio di mesi fa, Jeb Bush (vi ricordate di lui?) postò su Twitter una foto della sua pistola con un titolo di una parola sola: “America”. Bill de Blasio, Sindaco di New York, rispose con una foto di un immenso sandwich pastrami [1], anch’esso titolato “America”. Se volete la mia opinione, vantaggio per de Blasio.

Fatemi adesso aggiungere qualcosa che rovina lo scherzo, parlando del sottotitolo. Il post di Bush era un goffo tentativo di inserirsi nel consueto tema repubblicano secondo il quale solo alcune persone – bianchi, possessori di armi, cittadini della campagna o di piccole città – incarna il vero spirito della nazione. Si tratta di un tema che più notoriamente fu abbracciato da Sarah Palin, che raccontava ai meridionali delle piccole città che essi rappresentavano la “vera America”. Potete osservare la stessa cosa quando Ted Cruz parla con scherno dei “valori di New York”.

La risposta di de Blasio, che celebra una caratteristica prelibatezza di New York, intendeva affermare che anche noi siamo americani – che ognuno conta. Ed è certamente quella la concezione dell’America che dovrebbe prevalere.

E quella è la ragione per la quale infastidisce vedere tentativi ‘paliniani’ di delegittimare ampi gruppi di elettori affacciarsi tra alcuni democratici.

Parecchie persone sembrano confuse sullo stato attuale della competizione dei democratici sulla nomina. Ma le cose essenziali sono semplici: sino a questo punto Hillary Clinton ha un ampio vantaggio sia sui delegati che si sono impegnati a suo favore che nel voto popolare (nelle primarie democratiche, la distribuzione dei delegati è grosso modo proporzionale ai voti). Se vi chiedete come sia possibile – Bernie Sanders ha appena vinto sette Stati in fila! – dovete rendervi conto che quei sette Stati mettono assieme una popolazione di circa 20 milioni di persone. Contemporaneamente, la Florida da sola ha circa 20 milioni di persone – e in Florida la Clinton ha vinto  con 30 punti di margine.

Per superarla, Sanders dovrebbe vincere i rimanenti confronti con un margine medio di 13 punti, un numero che quasi certamente salirà dopo le primarie di New York, anche se egli andasse molto meglio di quanto suggeriscono gli attuali sondaggi. Il che non è impossibile, ma altamente improbabile.

Dunque, l’argomento elettorale di Sanders è che i superdelegati – gli individui, principalmente interni al gruppo dirigente [2], non selezionati attraverso le primarie e le assemblee preparatorie degli iscritti [3], che, nelle regole della nomination democratica, operano come delegati – dovrebbero dargli la nomina anche se egli perdesse al voto popolare. Nel caso vi stiate stropicciando gli occhi: è vero, non molto tempo fa i sostenitori di Sanders si erano scagliati contro Hillary con l’argomento che avrebbe rubato la nomination, perché i superdelegati l’avrebbero messa in testa anche se avesse perso le primarie. Ora la strategia di Sanders è vincere facendo esattamente la stessa cosa.

Ma come si può nella campagna elettorale [4] avanzare l’argomento secondo il quale il Partito dovrebbe sfidare l’evidente volontà dei suoi elettori? Si può, sostenendo che molti di questi elettori non dovrebbero contare. Nel corso dell’ultima settimana Sanders ha dichiarato che la Clinton è in vantaggio solo perché ha vinto nel “Profondo Sud”, che è una “parte abbastanza conservatrice del paese”. Il conteggio sino a questo punto, egli dice, “distorce la realtà” perché include tanti Stati meridionali.

Si dà il caso che questo non sia vero – il calendario, che ha collocato agli inizi alcuni Stati molto favorevoli a Sanders, non è stato un fattore importante nella competizione. Inoltre, lo Stato oscillante nelle sue preferenze della Florida non è il Profondo Sud. Ma tant’è. Il grande problema con questo argomento dovrebbe essere evidente. La signora Clinton non vincerà alla grande nel Sud con la forza dei voti conservatori; vincerà ottenendo una schiacciante maggioranza degli elettori di colore. La qualcosa comporta una interpretazione diversa dei fatti, non è così?

É possibile che il signor Sanders non lo sappia, che egli immagini che la Clinton stia cavalcando una ondata di sostegno di Dixiecrats [5] sventolanti la vecchia bandiera ‘confederata’, anziché, diciamolo senza peli sulla lingua, di discendenti degli schiavi. Può darsi. Come avrete notato, egli non è un personaggio da dettagli.

É più probabile, tuttavia, che egli stia deliberatamente depistando – e che il suo tentativo di delegittimare una gran parte dell’elettorato democratico sia una manovra cinica.

Chi è l’obbiettivo di questa manovra? Certamente, non i superdelegati. Rifletteteci: si può immaginare che i membri del gruppo dirigente del Partito Democratico decidano di negare la nomina al candidato che ha ottenuto la maggioranza dei voti, sulla base del fatto che gli elettori afro-americani non avrebbe lo stesso peso dei bianchi?

No, gli argomenti secondo i quali la vittoria della Clinton nel Sud  dovrebbe essere non considerata sono realmente rivolti a sviare i sostenitori di Sanders, offrendo loro un punto di vista irrealistico secondo il quale il loro favorito potrebbe ancora vincere – e di conseguenza assicurarsi il flusso di denaro e di impegno di volontari in arrivo.

Solo per chiarezza, non sto sostenendo che Sanders dovrebbe gettare la spugna. Egli ha il diritto di continuare ad impegnarsi nella campagna elettorale, nella speranza sia di strappare un grande rivolgimento nelle rimanenti primarie, che di avere influenza nella Convenzione. Ma cercare di proseguire le sua campagna sviando i suoi sostenitori non va bene. E schernire milioni di elettori va davvero oltre il limite, specialmente per un progressista.

Si ricordi il principio pastrami: siamo tutti americani veri. E gli afro-americani sono con assoluta certezza dei veri democratici, che meritano rispetto.

 

[1] Il Pastrami è una ricetta d’origine rumena a base di maiale, manzo o montone, che spopola a New York (celebre il Pastrami sandwich del Katz’s Deli) ma ancora poco nota in Italia.

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[2] Si tratta di delegati anch’essi eletti (da quanto comprendo, di solito i congressisti o i Governatori degli Stati), ma senza l’obbligo di schierarsi per uno dei candidati. Di conseguenza il loro voto diventa esplicito solo nella Convenzione nazionale. Secondo questa informazione (Wikipedia) non sarebbe esatto affermare che non sono eletti dalle primarie o dai caucus, anche se Krugman scrive che non sono “selezionati”. Probabilmente sono ‘designati’ nelle primarie, ma in modo quasi obbligato.

[3] I delegati normali vengono scelti attraverso le elezioni primarie, ma in alternativa, in alcuni casi, attraverso assemblee degli iscritti. Ad esempio: i delegati sono stati eletti nei ‘caucus’ in Iowa,  Nevada, Colorado, Minnesota, Samoa, Kansas etc.

[4] Per chi è interessato alla lingua, noto che nel linguaggio politico americano la “campaign” è spesso una espressione usata per indicare, in termini sostantivi, tutto ciò che si pensa, si dice e si fa nel corso della procedura elettorale. Ovvero: non è semplicemente la sede o l’occasione della procedura elettorale, ma il complesso delle scelte e degli argomenti che un candidato utilizza. E tradurla semplicemente con il termine “propaganda elettorale” non sarebbe preciso, perché non indica solo le posizioni propagandistiche, ma anche le scelte politiche vere e proprie.

[5] É un termine che significa Democratici del Sud (“Dixie” è un modo per indicare gli Stati del Sud e “crats” sta per (demo)cratici). I Dixiecrats, nel 1948, divennero per brevissimo termine un Partito, nato da una scissione nel Partito Democratico. In sostanza, sostenevano una politica di difesa dei ‘valori culturali’ del Sud e si opponevano alla integrazione razziale, a favore di una politica di ‘supremazia bianca’. Forse, un certo peso aveva avuto anche il fatto che la logica della integrazione stava crescendo, oltre che a seguito del rooseveltismo, anche per la semplice conseguenza che la popolazione di colore aveva partecipato alla Seconda Guerra Mondiale al pari di quella bianca. Ebbero un impatto modesto nella politica americana, e dopo il 1948 i dirigenti di quel Partito tornarono tra i democratici. Ma furono un episodio che confermò la estrema delicatezza della questione razziale per i democratici americani, che sarebbe diventata evidente negli anni ’60/’70, quando, in reazione alla legislazione sui diritti civili, il Partito Repubblicano si impossessò di quella cultura razzista, che era stata in precedenza una stridente caratteristica dei democratici.

 

 

 

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