Mar 15 10:28 am
When I was growing up, income inequality wasn’t yet a big issue, because the middle class was strong and the plutocracy fairly marginal. But there was a great deal of alarm over the troubles of the African-American community, where social disorder was on the rise even as explicit legal discrimination (although not de facto discrimination) was coming to an end. What was going on?
There were all kinds of theories, ranging from cultural hand-waving to claims that it was all because of welfare. But some people, notably William Julius Wilson, argued that the underlying cause was economic: good jobs, while still fairly plentiful in America as a whole, were disappearing from the urban centers where the A-A population was concentrated. And the social collapse, while real, followed from that underlying cause.
This story contained a clear prediction — namely, that if whites were to face a similar disappearance of opportunity, they would develop similar behavior patterns. And sure enough, with the hollowing out of the middle class, we saw (via Mark Thoma) what Kevin Williamson at National Review describes as
the welfare dependency, the drug and alcohol addiction, the family anarchy
And what is the lesson? Why, that poor whites are moral failures, and they should move to where there are opportunities (where?). It’s really extraordinary.
Oh, and lots of swipes at food stamps, welfare programs, disability insurance (which conservatives insist is riddled with fraud, despite lots of evidence to the contrary.)
It’s surely worth noting that other advanced countries, with much more generous welfare states, aren’t showing anything like the kind of social collapse we’re seeing in the U.S. heartland. Here’s Case and Deaton:
Why, it’s almost as if having a strong safety net leads to better, not worse, social health. Culture still matters: US Hispanics do a lot better than one might have expected. But the idea that somehow food stamps are why we’re breaking bad is utterly at odds with the evidence. (Just as an aside, since someone will bring it up: all of those other advanced economies are just as open to trade as we are — so whatever you think of free trade, it doesn’t necessarily cause social collapse.)
Anyway, the right’s inability to face up to the evidence on this front is … just like its inability to face up to evidence on any other front.
Il ritorno dei poveri immeritevoli
Quando ero giovane, l’ineguaglianza del reddito non era un grande tema, perché la classe media era forte e la plutocrazia abbastanza marginale. Ma c’era molto allarme sui problemi della comunità afro-americana, dove il disordine sociale era in crescita, anche se la sostanziale discriminazione legale (se non la discriminazione di fatto) stava arrivando al termine. Cosa stava accadendo?
C’erano teorie di ogni genere, si andava da approssimazioni culturali a pretese che fosse tutto a causa dello stato assistenziale. Ma alcune persone, in particolare William Julius Wilson [1], sostenevano che la causa fondante era di natura economica: i buoni posti di lavoro, per quanto ancora abbastanza abbondanti nell’America nel suo complesso, stavano sparendo dai centri urbani dove la era concentrata popolazione di colore. E il collasso sociale, per quanto reale, era una conseguenza di quella causa sottostante.
Questa storia conteneva una chiara premonizione – precisamente, che se i bianchi avessero affrontato una simile scomparsa di opportunità, avrebbero sviluppato simili schemi di comportamento. E, come era prevedibile, con lo svuotamento della classe media, constatiamo (per il tramite di Mark Thoma) quello che Kevin Williamson della National Review descrive come:
“la dipendenza dallo Stato assistenziale, la assuefazione alle droghe ed all’alcol, l’anarchia familiare”.
E quale è la lezione? Che domanda: che i bianchi poveri sono casi di fallimenti morali, e che si dovrebbero spostare dove esistono opportunità (dove?). E’ proprio stupefacente.
Inoltre, attacchi a iosa sulle tessere degli aiuti alimentari, sui programmi della assistenza, sulla assicurazione per i disabili (che i conservatori insistono sia permeata da frodi, nonostante molte prove del contrario).
É certamente degno di nota che gli altri paesi avanzati, con stati assistenziali molto più generosi, non stiano mostrando niente di simile al collasso sociale che stiamo constatando nel cuore degli Stati Uniti. Ecco cosa mostrano Case a Deaton [2]:
Perché, è quasi come se possedere avere una forte rete di sicurezza sociale comporti una migliore, non una peggiore, salute sociale. La cultura è ancora importante: gli ispanici americani hanno un andamento molto migliore di quello che ci si sarebbe aspettati. Ma l’idea che in qualche modo gli aiuti alimentari siano la ragione per la quale siamo dinanzi ad una rottura così negativa, è completamente all’opposto delle prove (solo per inciso, dal momento che qualcuno solleverà la questione: tutti gli altri paesi avanzati sono in materia di commercio altrettanto aperti di noi – dunque, qualsiasi cosa pensiate del libero commercio, esso non provoca necessariamente il collasso sociale).
Il ogni caso, l’incapacità della destra di misurarsi con le prove su questa faccenda …. è uguale all’incapacità di misurarsi con le prove su ogni altra faccenda.
[1] William Julius Wilson è un sociologo statunitense nato nel 1935, che ha insegnato all’Università di Chicago, dal 1972 al 1996, e poi a quella di Harvard. I suoi studi sulla povertà, particolarmente sulle condizioni degli afroamericani, hanno contribuito in particolare a mettere in evidenza la complessa interazione di fenomeni politici e culturali – la cultura dei ghetti e l’intera storia dei diritti civili – e di fenomeni socioeconomici, quali quelli della evoluzione di molte metropoli americane, che hanno conosciuto grandi fenomeni di decentramento dell’occupazione. Tra l’altro mostrò come il fenomeno delle donne afroamericane sole e con figli spesso derivasse semplicemente dalla resistenza delle donne di colore a riconoscere i padri dei loro figli attraverso regolari matrimoni, sinché i padri non potevano mantenere una famiglia con redditi almeno paragonabili agli aiuti delle famiglie di origine.
[2] La tabella, che abbiamo pubblicato in altre occasioni, mostra l’andamento del tasso di mortalità tra gli americani bianchi (USW), che cresce dalla fine degli anni ’90 a fronte di un tasso di mortalità in forte calo in tutti gli altri paesi del mondo avanzato. Da notare che il caso degli americani bianchi è anche diversissimo rispetto all’andamento degli americani ispanici (USH). In sostanza, il tasso di mortalità tra gli americani bianchi è più che doppio a quello della Svezia e superiore – tra il 30 ed il 40 per cento – a quello di Regno Unito, Canada, Austria e Germania. Case e Deaton sono i due autori dello studio (Deaton è stato quest’anno insignito del Premio Nobel per l’economia).
By mm
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