Articoli sul NYT

La chiamata alle otto del mattino, di Paul Krugman (New York Times 25 aprile 2016)

 

The 8 A.M. Call

Paul Krugman APRIL 25, 2016

z 814

Back in 2008, one of the ads Hillary Clinton ran during the contest for the Democratic nomination featured an imaginary scene in which the White House phone rings at 3 a.m. with news of a foreign crisis, and asked, “Who do you want answering that phone?” It was a fairly mild jab at Barack Obama’s lack of foreign policy experience.

As it turned out, once in office Mr. Obama, a notably coolheaded type who listens to advice, handled foreign affairs pretty well — or at least that’s how I see it. But asking how a would-be president might respond to crises is definitely fair game.

And military emergencies aren’t the only kind of crisis to worry about. That 3 a.m. call is one thing; but what about the 8 a.m. call – the one warning that financial markets will melt down as soon as they open?

For make no mistake about it: The world economy is still a dangerous place. Financial reform has, I’d argue, made our system somewhat more robust than it was in 2008, but fumbling the response to a shock could still have disastrous consequences. So what do we know about the shocks we might face, and how the people who might be president would respond?

Right now there are two fairly obvious potential economic flash points: China and oil.

Many economists, myself included, have been pointing out for a while that China has a severely unbalanced economy, with too little consumer spending and unsustainable levels of investment. So far, unfortunately, China hasn’t made much progress in dealing with this fundamental imbalance; instead, it has papered over the problem with a huge expansion of credit. Now, with capital fleeing the country at the rate of a trillion dollars per year, it may well be headed for a bust. And China is a big enough player that a bust there could have major spillovers to the rest of the world.

Then there’s a potential oil crisis, very different from the ones we used to have: the problem now is a glut, not a shortage, with many producers having run up large debts they probably can’t repay. You could say that shale oil is the new subprime.

Nobody knows how big these problems could become, or what other potential crises we’re missing. But it seems all too likely that the next president will have to deal with some kind of financial turmoil. How will she or he perform?

At this point there are three candidates who have a serious chance of receiving their party’s presidential nomination. Barring the political equivalent of a meteor strike, Mrs. Clinton will be the Democratic nominee. Donald Trump is the clear front-runner on the G.O.P. side, but if he falls short of an outright majority on the first ballot, Ted Cruz might still pull it out. So what do we know about their economic policy skills?

Well, Mrs. Clinton isn’t just the most knowledgeable, well-informed candidate in this election, she’s arguably the best-prepared candidate on matters economic ever to run for president. She could nonetheless mess up — but ignorance won’t be the reason.

On the other side, I doubt that anyone will be shocked if I say that Mr. Trump doesn’t know much about economic policy, or for that matter any kind of policy. He still seems to imagine, for example, that China is taking advantage of America by keeping its currency weak — which was true once upon a time, but bears no resemblance to current reality.

Oh, and coping with crisis in the modern world requires a lot of international cooperation. Things like currency swap lines (don’t ask) played a much bigger role than most people realize in avoiding a second Great Depression. How well do you think that kind of cooperation would work in a Trump administration?

Yet things could be worse. The Donald doesn’t know much, but Ted Cruz knows a lot that isn’t so. In a world in which gold bugs have been wrong every step of the way, repeatedly predicting runaway inflation that fails to materialize, he demands a gold standard to produce a “sound dollar.” He chose, as his senior economic adviser, Phil Gramm — an architect of financial deregulation who helped set the stage for the 2008 crisis, then dismissed warnings of recession when that crisis came, calling America a “nation of whiners.”

Mr. Cruz is, in other words, a man of firm economic convictions — convictions that are utterly divorced from reality and impervious to evidence, to a degree that’s unusual even among Republicans. A financial crisis with him in the White House could be, let’s say, an interesting experience.

I don’t know how much play the candidates’ readiness for economic emergencies will get in the general election. There will, after all, be so many horrifying positions, on everything from immigration to Planned Parenthood, to dissect. But let’s try to make some room for this issue. For that 8 a.m. call is probably coming, one way or another.

 

La chiamata alle otto del mattino, di Paul Krugman

New York Times 25 aprile 2016

Nel passato 2008, uno degli spot pubblicitari con i quali Hillary Clinton si candidava durante la competizione per la nomination democratica mostrava una scena immaginaria nella quale il telefono della Casa Bianca squillava alle 3 del mattino con la notizia di una crisi all’estero, e chiedeva: “Chi volete risponda a quella telefonata?” Era una punzecchiatura abbastanza bonaria verso la mancanza di esperienza in politica estera di Barack Obama.

Come si scoprì, una volta in carica Obama, un individuo dotato di notevole sangue freddo che ascolta i consigli, gestì gli affari esteri abbastanza bene – o almeno così pare a me. Ma chiedersi come un Presidente sia capace di rispondere alle crisi è sicuramente un esercizio legittimo.

E le emergenze militari non sono il solo genere di crisi di cui preoccuparsi. Quella chiamata alle 3 del mattino è una faccenda; ma che dire di una chiamata alle 8 del mattino, quella che mette in guardia da un prossimo crollo dei mercati finanziari, al momento della loro apertura?

Perché non si deve fare alcun errore al proposito: l’economia mondiale è ancora un luogo pericoloso. La riforma finanziaria, direi, ha reso in qualche modo più robusto il nostro sistema rispetto a come era nel 2008, ma farfugliare la risposta dinanzi ad uno shock potrebbe ancora avere conseguenze disastrose. Dunque, cosa sappiamo sugli shock che potremmo affrontare, e come gli individui che potrebbero essere Presidenti risponderebbero?

In questo momento ci sono due abbastanza evidenti punti critici: la Cina e il petrolio.

Molti economisti, incluso il sottoscritto, hanno per un certo periodo messo in evidenza che la Cina ha un’economia seriamente squilibrata, con una spesa dei consumatori troppo piccola e livelli insostenibili di investimenti. Sino a questo punto, sfortunatamente, la Cina non ha fatto molti progressi nel gestire questo fondamentale squilibrio; ha piuttosto nascosto il problema con una vasta espansione del credito. Adesso, con i capitali che fuggono dal paese ad un ritmo di mille miliardi di dollari all’anno, essa può ben essere indirizzata verso un crollo. E la Cina è un protagonista grande a sufficienza perché un crollo in quel paese abbia importanti ripercussioni nel resto del mondo.

Poi c’è una crisi potenziale del petrolio, assai diversa da quelle che eravamo abituati ad avere: il problema oggi è un eccesso, non una scarsità, con molti produttori che hanno contratto ampi debiti che probabilmente non sono nelle condizioni di ripagare. Potreste dire che il petrolio dagli scisti è il nuovo subprime.

Nessuno sa quanto questi problemi possano diventare grandi, o quali altre crisi potenziali stiamo dimenticando. Ma sembra anche troppo probabile che il prossimo Presidente dovrà misurarsi con qualche genere di disordine finanziario. Come, lui o lei, si comporteranno?

A questo punto ci sono tre candidati che hanno serie possibilità di ricevere dal loro partito la candidatura presidenziale. Escludendo l’equivalente politico dell’impatto di una meteora, la signora Clinton sarà il candidato democratico. Dal lato del Partito Repubblicano, Donald Trump è il chiaro favorito, ma se egli mancasse una aperta maggioranza alla prima votazione, Ted Cruz potrebbe ancora aggiudicarsela. Cosa sappiamo, dunque, delle loro competenze economiche?

Ebbene, la Clinton non è soltanto la più esperta e attrezzata candidata in questa elezione, è probabilmente la più preparata candidata sulle faccende economiche che sia mai stata in lizza per la Presidenza. Ciononostante potrebbe  fare un disastro – ma non per una ragione di ignoranza.

Dall’altra parte, dubito che qualcuno rimarrà sorpreso se affermo che il signor Trump non sappia granché di politica economica, come del resto di ogni altro genere di politica. Ad esempio, egli sembra che si stia ancora immaginando che la Cina stia avvantaggiandosi sull’America tenendo debole la sua valuta – che una volta era vero, ma non ha alcun rapporto con la realtà attuale.

Inoltre, misurarsi con una crisi nel mondo contemporaneo richiede molta cooperazione internazionale. Cose come le linee di  currency swap (non chiedetevi cosa siano [1]) hanno giocato un ruolo molto più grande nell’evitare una seconda Grande Depressione di quello che la maggioranza delle persone comprende. Quanto pensate che quel genere di cooperazione potrebbe funzionare in una Amministrazione Trump?

Tuttavia le cose potrebbero andar peggio. ‘Il Donald’ non sa molto, ma Cruz conosce una quantità di cose che nella realtà non esistono. In un mondo nel quale i fanatici della parità aurea hanno sbagliato ad ogni passo, predicendo ripetutamente una inflazione fuori controllo che non si è materializzata, egli rivendica un ‘gold standard’ per generare un “dollaro forte”. Ha scelto, come suo consulente economico, Philip Gramm – un architetto della deregolamentazione finanziaria che contribuì a preparare la scena della crisi del 2008, poi liquidò le messe in guardia su una recessione quando arrivò la crisi, chiamando l’America una “nazione di piagnucoloni”.

In altre parole, Cruz è un uomo di ferme convinzioni economiche – convinzioni che sono completamente estranee alla realtà ed impermeabili ai fatti, in una misura che sembra inusuale persino tra i repubblicani. Una crisi finanziaria con lui alla Casa Bianca, dirò così, sarebbe una esperienza interessante.

Non so che peso avrà nelle elezioni generali la preparazione alle emergenze economiche dei candidati. Dopo tutto, ci saranno tante cose orripilanti da considerare, dall’emigrazione a Planned Parenthood [2]. Ma consentitemi di fare un po’ di spazio a questo tema. Perché, in un modo o nell’altro, quella telefonata alle 8 del mattino è destinata ad arrivare.

 

[1] Il ‘swap’ è un contratto attraverso il quale due parti si scambiano strumenti finanziari. Il “currency swap” è uno “swap” che concerne lo scambio di capitale ed interesse in una valuta, contro capitale ed interesse in un’altra valuta.

[2] Ovvero, al tema della procreazione consapevole, che negli ultimi mesi è entrato nel dibattito politico per gli attacchi molto aggressivi della destra americana verso la associazione Planned Parenthood (“Genitorialità Programmata”).

 

 

 

By


Commenti dei Lettori (0)


E' possibile commentare l'articolo nell'area "Commenti del Mese"