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La collera dell’imbrogliato, di Paul Krugman (New York Times 29 aprile 2016)

 

Wrath of the Conned

Paul Krugman APRIL 29, 2016

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Maybe we need a new cliché: It ain’t over until Carly Fiorina sings. Anyway, it really is over — definitively on the Democratic side, with high probability on the Republican side. And the results couldn’t be more different.

Think about where we were a year ago. At the time, Hillary Clinton and Jeb Bush were widely seen as the front-runners for their parties’ nods. If there was any dissent from the commentariat, it came from those suggesting that Mr. Bush might be supplanted by a fresher, but still establishment, face, like Marco Rubio.

And now here we are. But why did Mrs. Clinton, despite the most negative media coverage of any candidate in this cycle — yes, worse than Donald Trump’s — go the distance, while the G.O.P. establishment went down to humiliating defeat?

Personalities surely played a role; say what you like (or dislike) about Mrs. Clinton, but she’s resilient under pressure, a character trait notably lacking on the other side. But basically it comes down to fundamental differences between the parties and how they serve their supporters.

Both parties make promises to their bases. But while the Democratic establishment more or less tries to make good on those promises, the Republican establishment has essentially been playing bait-and-switch for decades. And voters finally rebelled against the con.

First, about the Democrats: Their party defines itself as the protector of the poor and the middle class, and especially of nonwhite voters. Does it fall short of fulfilling this mission much of the time? Are its leaders sometimes too close to big-money donors? Of course. Still, if you look at the record of the Obama years, you see real action on behalf of the party’s goals.

Above all, you have the Affordable Care Act, which has given about 20 million Americans health insurance, with the gains biggest for the poor, minorities and low-wage workers. That’s what you call delivering for the base — and it’s surely one reason nonwhite voters have overwhelmingly favored Mrs. Clinton over a challenger who sometimes seemed to dismiss that achievement.

And this was paid for largely with higher taxes on the rich, with average tax rates on very high incomes rising by about six percentage points since 2008.

Maybe you think Democrats could and should have done more, but what the party establishment says and what it does are at least roughly aligned.

Things are very different among Republicans. Their party has historically won elections by appealing to racial enmity and cultural anxiety, but its actual policy agenda is dedicated to serving the interests of the 1 percent, above all through tax cuts for the rich — which even Republican voters don’t support, while they truly loathe elite ideas like privatizing Social Security and Medicare.

What Donald Trump has been doing is telling the base that it can order à la carte. He has, in effect, been telling aggrieved white men that they can feed their anger without being forced to swallow supply-side economics, too. Yes, his actual policy proposals still involve huge tax cuts for the rich, but his supporters don’t know that — and it’s possible that he doesn’t, either. Details aren’t his thing.

Establishment Republicans have tried to counter his appeal by shouting, with growing hysteria, that he isn’t a true conservative. And they’re right, at least as they define conservatism. But their own voters don’t care.

If there’s a puzzle here, it’s why this didn’t happen sooner. One possible explanation is the decadence of the G.O.P. establishment, which has become ingrown and lost touch. Apparatchiks who have spent their whole careers inside the bubble of right-wing think tanks and partisan media may suffer from the delusion that their ideology is actually popular with real people. And this has left them hapless in the face of a Trumpian challenge.

Probably more important, however, is the collision between demography and Obama derangement. The elite knows that the party must broaden its appeal as the electorate grows more diverse — in fact, that was the conclusion of the G.O.P.’s 2013 post-mortem. But the base, its hostility amped up to 11 after seven years of an African-American president (who the establishment has done its best to demonize) is having none of it.

The point, in any case, is that the divergent nomination outcomes of 2016 aren’t an accident. The Democratic establishment has won because it has, however imperfectly, tried to serve its supporters. The Republican establishment has been routed because it has been playing a con game on its supporters all along, and they’ve finally had enough.

And yes, Mr. Trump is playing a con game of his own, and they’ll eventually figure that out, too. But it won’t happen right away, and in any case it won’t help the party establishment. Sad!

 

La collera dell’imbrogliato, di Paul Krugman

New York Times 29 aprile 2016

Può darsi che abbiamo bisogno di un nuovo cliché: la partita non è chiusa sinché Carly Fiorina canta [1]. In ogni modo, i giochi sono fatti per davvero – in modo definitivo dal lato dei democratici, con alte probabilità per i repubblicani. E i risultati non potevano essere più diversi.

Pensate a che punto eravamo un anno fa. A quel tempo, Hillary Clinton e Jeb Bush erano considerati generalmente come i candidati favoriti, sulla base delle indicazioni dei loro partiti. Se c’era qualche dissenso nei commenti, veniva da coloro che suggerivano che Bush potesse essere soppiantato da un volto più giovane, seppure ancora del gruppo dirigente del Partito, come quello di Marco Rubio.

E adesso siamo qua. Ma perché la signora Clinton, nonostante la prevalente copertura negativa dei media su ogni candidato in questa fase – nel suo caso, in effetti, peggiore di quella di Donald Trump – arriva al traguardo, mentre il gruppo dirigente del Partito Repubblicano ha patito una sconfitta umiliante?

Certamente le personalità giocano un ruolo; dite quello che vi piace (o non vi piace) della Clinton, ma è capace di resistere alle pressioni, un tratto del carattere considerevolmente scarso nell’altro schieramento. Ma fondamentalmente esso consiste nelle principali differenze tra i partiti e nei modi nei quali essi sono in sintonia con i loro sostenitori.

Entrambi i partiti fanno promesse alle loro basi. Ma mentre il gruppo dirigente democratico più o meno cerca di corrispondere a quelle promesse, il gruppo dirigente repubblicano da decenni sostanzialmente gioca come con gli specchietti per le allodole. E, alla fine, gli elettori si sono ribellati all’imbroglio.

Anzitutto, a proposito dei democratici:  il loro partito si definisce come il protettore dei poveri e della classe media, e in particolare degli elettori non bianchi. Non è all’altezza, in molte occasioni, di mantenere questa missione? I suoi dirigenti, talvolta, sono in eccessiva intimità con i contribuenti del grande capitale? É evidente. Eppure, se guardate alla testimonianza degli anni di Obama, constatate una reale iniziativa a favore degli obbiettivi del Partito.

Soprattutto, vi trovate la Legge sulla Assistenza Sostenibile, che ha dato l’assicurazione sanitaria a circa 20 milioni di americani, con i maggiori guadagni da parte dei poveri, delle minoranze e dei lavoratori con bassi salari. É quello che si può definire come un portare a compimento qualcosa per la base – ed è sicuramente una ragione per la quale gli elettori non bianchi hanno in modo schiacciante favorito la signora Clinton, su uno sfidante che talvolta è apparso trattare con sufficienza tale risultato.

E quella legge è stata pagata in gran parte con tasse più elevate sui ricchi, con le aliquote fiscali medie sui redditi più alti che è salita, a partire dal 2008, di circa sei punti percentuali.

Potete pensare che i democratici avrebbero potuto e dovuto fare di più, ma tra quello che il partito dice e quello che fa c’è almeno, grosso modo, una coerenza.

Tra i repubblicani, le cose sono molto diverse. Il loro partito ha storicamente vinto le elezioni appellandosi alla ostilità razziale e all’ansia per i valori, ma la sua effettiva agenda politica è destinata a servire gli interessi dell’1 per cento dei più ricchi – cosa che neppure gli elettori repubblicani sostengono, mentre detestano per davvero le idee del gruppo dirigente, quali la privatizzazione della Previdenza Sociale e di Medicare.

Quello che Donald Trump sta facendo è raccontare alla base che essa può ordinare a suo piacimento. In effetti, ha raccontato ai bianchi che hanno subito danni che possono alimentare la loro rabbia senza essere costretti, in aggiunta, a mandar giù l’economia dei conservatori. É vero, le sue effettive proposte politiche includono ancora ampi tagli fiscali per i ricchi, ma i suoi sostenitori non lo sanno – ed è possibile che non lo sappia neanche lui. I dettagli non sono la sua specialità.

I repubblicani del gruppo dirigente hanno cercato di contrastare il suo successo strepitando, con crescente isteria, che egli non è un conservatore vero. Ed hanno ragione, almeno per come definiscono il conservatorismo. Ma i loro stessi elettori non se ne curano.

Se in questo c’è un mistero, è perché non è successo prima. Una possibile spiegazione è la decadenza del gruppo dirigente del Partito Repubblicano, che è diventato chiuso ed ha perso i contatti. Gli individui dell’apparato che hanno speso le intere loro carriere dentro la bolla dei gruppi di ricerca della destra e dei media vicini al partito possono essere affetti dall’illusione che la loro ideologia sia effettivamente popolare tra la gente in carne ed ossa. E questo li ha lasciati interdetti di fronte ad una sfida come quella di Trump.

Tuttavia, è forse più importante la collisione tra la demografia e il disorientamento obamiano.  I gruppi dirigenti sanno che, con un elettorato che diventa diverso, il Partito deve ampliare la sua attrattiva – di fatto, l’analisi sulle cause della sconfitta del Partito Repubblicano condotta nel 2013 arrivò a questa conclusione. Ma la base, la cui ostilità è cresciuta dopo 11 anni di Presidenza di un afroamericano (che il gruppo dirigente ha fatto del suo meglio per demonizzare) non ha consentito niente del genere.

In ogni caso, il punto è che i risultati divergenti dei processi della nomination del 2016 non sono un incidente. Il gruppo dirigente democratico ha vinto perché esso ha, per quanto imperfettamente, cercato di corrispondere ai suoi sostenitori. Il gruppo dirigente repubblicano è andato per la sua strada perché ha giocato una partita ingannevole con i suoi sostenitori sin dall’inizio, ed essi alla fine ne hanno avuto abbastanza.

Ed è vero che il signor Trump sta giocando anch’egli una partita ingannevole, e che essi alla fine lo capiranno. Ma non accadrà subito, e in ogni caso non aiuterà il gruppo dirigente del Partito. Deprimente!

 

 

 

[1] Carly Fiorina è stata, in queste primarie, una candidata dei repubblicani, poi ritirata. In questi giorni è stata indicata da Ted Cruz, che resta l’ultima non molto probabile alternativa a Trump, come sua candidata alla Vicepresidenza, e si è esibita in uno show televisivo cantando una canzone.

 

 

 

 

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