Paul Krugman APRIL 22, 2016
The Treasury Department picked an interesting moment to announce a revision in its plans to change the faces on America’s money. Plans to boot Alexander Hamilton off the $10 bill in favor of a woman have been shelved. Instead, Harriet Tubman — one of the most heroic figures in the history of our nation, or any nation — will move onto the face of the $20 bill.
She will replace Andrew Jackson, a populist who campaigned against elites but was also, unfortunately, very much a racist, arguably an advocate of what we would nowadays call white supremacy. Hmm. Does that make you think about any currently prominent political figures?
But let me leave the $20 bill alone and talk about how glad I am to see Hamilton retain his well-deserved honor. And I’m not alone among economists in my admiration for our first Treasury secretary. In fact, Stephen S. Cohen and J. Bradford DeLong have an excellent new book, “Concrete Economics,” arguing that Hamilton was the true father of the American economy.
Full disclosure: I know next to nothing about Hamilton the man and his life story. Nor, I’m sorry to say, have I managed to see the musical. But I have read Hamilton’s pathbreaking economic policy manifestoes, in particular his 1790 “First Report on the Public Credit,” a document that remains amazingly relevant today.
In that report, Hamilton proposed that the federal government assume and honor all of the debts individual states had run up during the Revolutionary War, imposing new tariffs on imported goods to raise the needed revenue. He believed that doing so would produce important benefits, which I’ll get to in a minute.
First, however, I think it’s interesting to ask how such a proposal would be received today.
On the left, it would surely be denounced as a bailout — a giveaway to speculators who had purchased devalued debt for pennies on the dollar, and would reap large capital gains. Indeed, a fair bit of the report is devoted to explaining why trying to prevent such windfall gains, via “discrimination between the different classes of creditors,” would be impractical and unwise.
Meanwhile, on the right — well, Hamilton was calling for a tax increase, which modern conservatives oppose under any and all circumstances. Luckily for him, there was no Club for Growth to demand his impeachment.
But why did Hamilton want to take on those state debts? Partly to establish a national reputation as a reliable borrower, so that funds could be raised cheaply in the future. Partly, also, to give wealthy, influential investors a stake in the new federal government, thereby creating a powerful pro-federal constituency.
Beyond that, however, Hamilton argued that the existence of a significant, indeed fairly large national debt would be good for business. Why? Because “in countries in which the national debt is properly funded, and an object of established confidence, it answers most of the purposes of money.” That is, bonds issued by the U.S. government would provide a safe, easily traded asset that the private sector could use as a store of value, as collateral for deals, and in general as a lubricant for business activity. As a result, the debt would become a “national blessing,” making the economy more productive.
This argument anticipates, to a remarkable degree, one of the hottest ideas in modern macroeconomics: the notion that we are suffering from a global “safe asset shortage.” The private sector, according to this argument, can’t function well without a sufficient pool of assets whose value isn’t in question — and for a variety of reasons, there just aren’t enough such assets these days.
As a result, investors have been bidding up the prices of government debt, leading to incredibly low interest rates. But it would be better for almost everyone, the story goes, if governments were to issue more debt, investing the proceeds in much-needed infrastructure even while providing the private sector with the collateral it needs to function. And it’s a very persuasive story to just about everyone who has looked hard at the evidence.
Unfortunately, policy makers won’t do the right thing, largely because they keep listening to fiscal scolds — people who insist that public debt is a terrible thing even when borrowing costs almost nothing. The influence of these scolds, their virtual veto over fiscal policy, somehow persists even though their predictions of soaring interest rates and runaway inflation keep not coming true.
The point is that Alexander Hamilton knew better.
Unfortunately, Hamilton isn’t around to help counter foolish debt phobia. But maybe reminding policy makers of his wisdom is one way to chip away at the wall of folly that still constrains policy. And having his face out there every time someone pulls out a ten can’t hurt, either.
Nel debito di Hamilton, di Paul Krugman
New York Times 22 aprile 2016
Il Dipartimento del Tesoro ha scelto un momento interessante per annunciare una revisione nei suoi programmi di cambiamento sui volti che compaiono sul denaro americano. Il proposito di far fuori Alexander Hamilton [1] a favore di una donna sui biglietti da 10 dollari è stato accantonato. Harriet Tubman [2] – una delle figure più eroiche della nazione, se non di tutte le nazioni – si sposterà invece sul biglietto da 20 dollari.
Ella prenderà il posto di Andrew Jackson, un populista che faceva campagne contro le élite, ma sfortunatamente era anche molto razzista, probabilmente un sostenitore di quella che di questi tempi chiameremmo supremazia bianca. Vi viene forse in mente un qualche attuale preminente personaggio politico?
Ma lasciamo da parte la banconota dei 20 dollari e parliamo di quanto sia contento di constatare che Hamilton mantenga il suo ben meritato onore. Né sono l’unico tra gli economisti ad ammirare il nostro primo Segretario al Tesoro. Stephen S. Cohen e Brad DeLong pubblicano un eccellente nuovo libro, “Economia concreta”, nel quale sostengono effettivamente che Hamilton fu il vero padre dell’economia americana.
Riconosco pienamente di non saper quasi niente su Hamilton uomo e sulla sua vita. Né, spiacente di dirlo, mi sono dato da fare per vedere il musical [3]. Ma ho letto i rivoluzionari manifesti di politica economica di Hamilton, il particolare il suo “Primo Rapporto sul Credito Pubblico”, un documento che resta sorprendentemente rilevante ai nostri giorni.
In quel rapporto, Hamilton proponeva che il Governo Federale assumesse e onorasse tutti i debiti che gli Stati singoli avevano assunto durante la Guerra Civile, imponendo nuove tariffe sui beni importati per raccogliere le entrate necessarie. Egli credeva che così facendo si sarebbero prodotti benefici importanti, sui quali verrò immediatamente.
Prima, tuttavia, penso che sia interessante chiedersi come una proposta del genere sarebbe accolta oggi.
A sinistra, sarebbe sicuramente denunciata come un salvataggio – un regalo agli speculatori che avevano acquistato debito svalutato per centesimi al posto di dollari, e raccoglievano grandi guadagni. Infatti, un bel po’ del rapporto è dedicato a spiegare perché cercare di impedire una tale manna di guadagni, attraverso “la discriminazione tra le diverse classi di creditori”, non sarebbe stato né pratico né saggio.
In pari tempo, a destra – ebbene, Hamilton si pronunciava per aumenti delle tasse, ai quali i conservatori odierni si oppongono in qualsiasi circostanza. Fortunatamente per lui, non c’era un ‘Club per la crescita’ a metterlo in stato d’accusa.
Ma perché Hamilton si volle far carico di quei debiti degli Stati? In parte per costruire una reputazione nazionale di creditori affidabili, in modo tale che nel futuro i fondi sarebbero stati raccolti economicamente. In parte anche per dare ad investitori sani ed influenti un interesse nel nuovo Governo Federale, in tal modo creando un potente seguito a favore della Federazione.
Oltre a ciò, tuttavia, Hamilton sostenne che l’esistenza di un significativo, in effetti discretamente ampio debito nazionale, sarebbe stata positiva per gli affari. Perché? Perché “nei paesi nei quali il debito nazionale è finanziato in modo corretto, ed è oggetto di consolidata fiducia, esso risponde a gran parte degli scopi della moneta”. Vale a dire, i bond emessi dal Governo deli Stati Uniti avrebbero fornito asset sicuri e facilmente scambiabili, che il settore privato poteva utilizzare come deposito di valore, come garanzia per gli accordi, e in generale come lubrificante della attività economica. Di conseguenza, il debito sarebbe diventato una “benedizione nazionale”, rendendo l’economia più produttiva.
Questo argomento anticipa, in misura considerevole, una delle idee più attraenti nella macroeconomia odierna: il concetto secondo il quale staremmo soffrendo di “una mancanza di asset sicuri”. Secondo questo argomento, il settore privato non può funzionare senza un sufficiente complesso di asset dal valore indubitabile – e per una varietà di ragioni, di questi tempi tali asset non sarebbero sufficienti.
Di conseguenza, gli investitori si sono impegnati in un rilancio dei prezzi del debito pubblico, portando a tassi di interesse incredibilmente bassi. Ma sarebbe meglio quasi per tutti, continua quella spiegazione, se i Governi avessero emesso maggiore debito pubblico, investendo i ricavi in infrastrutture estremamente necessarie e al tempo stesso fornendo al settore privato il collaterale di cui ha bisogno per funzionare. E si tratta di un racconto assai persuasivo, in pratica per chiunque abbia osservato con impegno i fatti.
Sfortunatamente, gli operatori pubblici non faranno la cosa giusta, in gran parte perché continuano ad ascoltare le Cassandre della finanza pubblica – coloro che insistono che il debito pubblico è una cosa terribile, anche quando indebitarsi non costa quasi niente. L’influenza di queste Cassandre, il loro veto virtuale sulla politica della finanza pubblica, in qualche modo persiste anche se le loro previsioni di tassi di interesse che vanno alle stelle e di una inflazione fuori controllo continuano a non avverarsi.
Il punto è che Alexander Hamilton aveva più giudizio di loro.
Sfortunatamente, non abbiamo in giro un Hamilton che aiuti a contrastare la sciocca fobia del debito. Ma forse rammentare agli operatori pubblici la sua saggezza è un modo per sgretolare il muro di follia che ancora condiziona la politica. E in ogni caso avere a portata di mano la sua faccia ogni volta che si tirano fuori dieci dollari, non può far danno.
[1] In estrema sintesi – da Wikipedia – nacque nel 1755 e morì nel 1804. Collaboratore di George Washington, considerato una dei Padri Fondatori degli Stati Uniti, uno degli interpreti più influenti della Costituzione americana, fondatore del Partito Federalista. Primo Segretario al Tesoro, fu l’architetto della politica di finanziamento del debito degli Stati da parte del Governo Federale, della costituzione di una Banca Nazionale, di un sistema di tariffe e di relazioni amichevoli con l’Inghilterra. Fu oppositore del Partito Democratico-Repubblicano di Thomas Jefferson e James Madison.
[2] Sempre da Wikipedia, Harriet Tubman, nata nel 1822 e morta nel 1913, du una abolizionista, una combattente di battaglie umanitarie, una eroina della Guerra Civile americana, che combatté con compiti di perlustrazione e di spionaggio, Da giovane era sfuggita alla schiavitù ed aveva compiuto tredici missioni per salvare circa settanta famiglie di schiavi. Dopo la guerra, fu una dirigente del movimento per il suffragio alle donne.
[3] Hamilton è un musical con musiche, testi e libretto di Lin-Manuel Miranda. Ispirato alla vita di Alexander Hamilton, uno dei Padri Fondatori degli Stati Uniti d’America, si basa sulla biografia omonima del 2004 dello storico Ron Chernow. È uno dei nove musical su 83 ad aver vinto il Premio Pulitzer per la drammaturgia.
By mm
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